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Onere della prova: chi deve dimostrare l’adempimento?

Una società di ingegneria ha citato in giudizio un ente pubblico per il mancato pagamento di alcuni studi di fattibilità. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, sottolineando che l’onere della prova dell’avvenuto adempimento contrattuale grava su chi richiede il pagamento. Poiché la società non ha mai depositato in giudizio gli studi realizzati, non ha potuto dimostrare il proprio diritto al compenso, rendendo la sua domanda infondata.

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Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Onere della Prova: Dimostrare per Ottenere

Nel mondo dei contratti e degli appalti, affermare di aver eseguito una prestazione non è sufficiente per ottenere il pagamento. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: l’onere della prova dell’adempimento spetta a chi agisce in giudizio per richiedere il corrispettivo. Senza prove concrete, la domanda è destinata a fallire. L’ordinanza in esame offre un chiaro esempio di come la mancata produzione di documenti decisivi possa compromettere irrimediabilmente l’esito di una causa.

I fatti di causa

Una associazione temporanea di imprese (ATI) specializzata in ingegneria citava in giudizio un Ente Pubblico per ottenere il saldo del compenso relativo a un appalto. L’oggetto del contratto era la redazione di cinque studi di fattibilità e attività di supporto tecnico. Sebbene il tribunale di primo grado avesse inizialmente dato ragione all’ATI, condannando l’Ente al pagamento, la situazione si è ribaltata in appello.

L’Ente Pubblico, infatti, non solo si opponeva alla richiesta di pagamento, ma aveva anche tentato di risolvere il contratto per inadempimento, lamentando carenze qualitative e metodologiche negli studi prodotti. La Corte d’Appello, riformando la prima sentenza, ha respinto la domanda di pagamento dell’ATI.

La decisione della Corte d’Appello e l’onere della prova

Il punto cruciale della decisione di secondo grado, poi confermata dalla Cassazione, risiede proprio nell’onere della prova. I giudici d’appello hanno evidenziato che l’ATI, pur chiedendo il pagamento per gli studi di fattibilità, non aveva mai depositato tali elaborati nel corso del giudizio. Come poteva il giudice valutare l’esatto adempimento del contratto senza poter esaminare il risultato del lavoro svolto?

La Corte ha ritenuto che l’ATI non avesse assolto al proprio onere della prova, come previsto dall’art. 2697 del codice civile. Non è il debitore (l’Ente Pubblico) a dover dimostrare il mancato o inesatto adempimento, ma è il creditore (l’ATI) che deve provare di aver eseguito la prestazione a regola d’arte per poter pretendere il compenso.

Le motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’ATI, confermando la decisione d’appello. Le motivazioni sono nette e istruttive.

In primo luogo, i ricorrenti non hanno colto la ratio decidendi della sentenza impugnata. La loro domanda non è stata respinta per un’errata distribuzione dell’onere della prova, ma perché tale onere, correttamente posto a loro carico, non è stato soddisfatto. La mancata produzione dei documenti (gli studi di fattibilità) ha reso impossibile qualsiasi valutazione sul merito della prestazione.

In secondo luogo, la Cassazione ha chiarito che la Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) non può sopperire alle carenze probatorie delle parti. Anche se un consulente tecnico può acquisire documenti non prodotti in giudizio, ciò è possibile solo per prove accessorie e non per quelle principali che costituiscono il fondamento del diritto reclamato. Gli studi di fattibilità erano la prova cardine dell’adempimento e dovevano essere prodotti dall’ATI.

Infine, la Corte ha respinto anche il ricorso incidentale dell’Ente Pubblico, il quale lamentava il mancato accoglimento della sua domanda di risoluzione contrattuale. I giudici hanno spiegato che la Corte d’Appello aveva correttamente ritenuto che l’inadempimento dell’ATI, per quanto esistente, non fosse sufficientemente grave da giustificare la risoluzione del contratto, e questa valutazione di merito non è sindacabile in sede di legittimità.

Le conclusioni

Questa ordinanza è un monito per tutti gli operatori economici: in caso di contenzioso contrattuale, è imperativo essere in grado di dimostrare con prove tangibili l’avvenuto e corretto adempimento delle proprie obbligazioni. Affidarsi a presunzioni o sperare che una CTU possa colmare le proprie lacune probatorie è una strategia perdente. L’onere della prova non è una mera formalità processuale, ma il pilastro su cui si fonda la tutela di un diritto. Chi chiede un pagamento deve essere pronto a dimostrare, documenti alla mano, di meritarlo.

Chi deve provare l’adempimento in una causa per il pagamento del corrispettivo di un appalto?
Secondo la sentenza, l’onere della prova grava sul creditore, ovvero sulla parte che richiede il pagamento. Quest’ultima deve dimostrare di aver eseguito correttamente la prestazione contrattuale per avere diritto al compenso.

Un consulente tecnico (CTU) può acquisire d’ufficio i documenti che la parte non ha prodotto in giudizio?
No, non quando si tratta dei documenti che costituiscono la prova principale dei fatti posti a fondamento della domanda. La CTU non può sostituirsi alla parte nell’adempiere all’onere probatorio che le spetta per i fatti costitutivi del suo diritto.

Se un giudice rigetta la domanda di risoluzione del contratto di una parte, significa che l’altra parte ha automaticamente adempiuto?
No. La sentenza chiarisce che il rigetto della domanda di risoluzione del contratto (in questo caso, quella del Comune) non implica automaticamente il riconoscimento dell’adempimento dell’altra parte (l’ATI). Le due valutazioni sono distinte: un inadempimento può esistere ma non essere considerato così grave da giustificare la risoluzione del contratto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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