Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 3402 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3   Num. 3402  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18992/2020 R.G. proposto da: COGNOME NOME, domiciliato ex lege in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (EMAIL), giusta procura speciale in calce al ricorso.
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ricorrente – contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, domiciliati ex lege in in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME
(EMAIL), giusta procura speciale in calce al controricorso.
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avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 1406/2020 depositata il 22 aprile 2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/11/2023
dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME  NOME  ingiungevano  a  COGNOME  NOME  il  pagamento  di somme loro spettanti, oltre interessi,  a titolo di rimborso spese relative al periodo in cui avevano militato quali calciatori dilettanti presso la RAGIONE_SOCIALE, di cui il COGNOME era presidente pro tempore, sulla base di un assegno bancario di euro 11.500,00, a loro intestato ed a loro mani, privo di data ma a firma di COGNOME NOME.
Proponeva  opposizione  il  COGNOME,  in  particolare  sostenendo che  i  rimborsi  spese  erano  già  stati  da  lui  corrisposti  e  che l’assegno in forza del quale era stato emesso il decreto ingiuntivo era stato da lui denunciato smarrito.
Resistevano gli ingiungenti chiedendo il rigetto dell’opposizione.
1.2 Con sentenza del 15 ottobre 2015 il Tribunale di Napoli, ritenuto che l’opponente aveva provato di aver pagato gli atleti e che questi non avevano invece provato di aver diritto ad ulteriori somme,  ritenuto  inoltre  che  l’assegno  prodotto  era  risultato denunciato smarrito e che gli opposti non avevano provato che l’assegno  era  stato  loro  consegnato  prima  della  denuncia  di smarrimento,  accoglieva l’opposizione e  revocava il decreto ingiuntivo opposto.
 Avverso  questa  sentenza  gli  atleti  proponevano  appello
avanti alla Corte d’Appello di Napoli.
Si costituiva resistendo NOME NOME.
2.1 Con sentenza n. 1406/2020 del 22 aprile 2020, La Corte d’Appello  di  Napoli,  in  accoglimento  dell’appello  ed  in  riforma della sentenza  impugnata,  rigettava l’opposizione di  COGNOME NOME e confermava il decreto ingiuntivo.
Avverso tale sentenza COGNOME NOME propone ora ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
Resistono con controricorso COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
 La  trattazione  del  ricorso  è  stata  fissata  in  adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
 Con  il  primo  motivo  il  ricorrente  denuncia  violazione  e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.
Censura l’impugnata sentenza nella parte in cui non ha fatto buon governo dell’onere della prova di cui all’art. 2697 cod. civ.; afferma in particolare, citando precedenti di questa Suprema Corte, che ove il debitore convenuto per il pagamento di un debito dimostri di aver corrisposto una somma di denaro idonea alla estinzione del medesimo, spetta al creditore, che agisce in giudizio sostenendo che il pagamento sia da imputare all’estinzione di un debito diverso, provare di quest’ultimo l’esistenza, nonché le condizioni necessarie per la dedotta diversa imputazione ai sensi dell’art. 1193 cod. civ.
 Con  il  secondo  motivo  il  ricorrente  denuncia  nullità  della sentenza  per  violazione  e/o  falsa  applicazione  degli  artt.  132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ. e 111, comma 6 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.
Censura  l’impugnata  sentenza  nella  parte  in  cui  -statuendo
che era onere del COGNOME dimostrare che i pagamenti da lui effettuati erano interamente estintivi di ogni pretesa avanzata dagli appellanti, per inferirne che la prova che il credito azionato dagli appellanti non fosse dovuto ricadeva dunque interamente su esso appellato, il quale, avendo eccepito il pagamento, si era assunto l’onere di provare il fatto estintivo della pretesa azionataesibisce una motivazione meramente apparente e/o comunque contenente affermazioni irriducibilmente contraddittorie circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
 Con  il  terzo  motivo  il  ricorrente  denuncia  nullità  del procedimento e della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 342, 329, comma 2, 115 cod. proc. civ., nonché 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.
Censura la sentenza impugnata là dove statuisce, nonostante la denegata efficacia ex art. 1988 cod. civ. dell’assegno posto in ingiunzione, che era onere del COGNOME dimostrare che i pagamenti  da  lui  effettuati  erano  interamente  estintivi  di  ogni pretesa  avanzata  dagli  appellanti  e  che  le  somme  da  essi richieste non erano dovute.
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia omesso esame circa  fatti  decisivi  per  il  giudizio  che  hanno  formato  oggetto  di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.
Lamenta che la corte territoriale ha omesso di considerare i documenti  tutti,  assegni  e  ricevute,  da  lui  prodotti  in  giudizio nonché le dichiarazioni da lui medesimo  rese in sede di interrogatorio formale.
 Con  il  quinto  motivo  il  ricorrente  denuncia  violazione  e/o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.
Deduce  che  l’impugnata  sentenza,  pur  avendo  escluso  che
l’assegno posto in ingiunzione potesse attribuire agli opposti il beneficio dell’inversione dell’onere della prova ex art. 1988 cod. civ., al termine della propria motivazione erroneamente valorizzava a livello indiziario le seguenti circostanze: la denuncia di smarrimento dell’assegno, invero non dirimente; l’irrilevanza della assenza di data dell’assegno, per la considerazione, non condivisibile, che il COGNOME poteva aver falsamente denunciato lo smarrimento dell’assegno ed averlo consegnato agli ignari appellanti anche dopo la denuncia; la singolarità della condotta del COGNOME di detenere, senza darne alcuna motivazione, un assegno firmato in bianco. Lamenta che in tal modo la Corte territoriale non ha fatto corretta applicazione del contenuto normativo enucleabile dagli artt. 2727 e 2729 cod. civ., perché è ricorsa ad argomentazioni elusive della regola di corretta sussunzione sotto i tre caratteri della presunzione (gravità, precisione e concordanza) dei fatti concreti ritenuti dal primo giudice rispondenti a quei requisiti.
 I  primi  tre  motivi,  che  per  la  loro  connessione  possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.
La ricorrente, nonostante la formale invocazione del vizio di violazione e/o falsa applicazione di legge, sostanzialmente sollecita una revisione delle valutazioni di fatto e dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie compiuti dal giudice di merito, da ritenere preclusa in questa sede in quanto estranea al giudizio di cassazione (cfr., quanto al riesame del merito, Cass., Sez. Un., 25/10/2013, n. 24148 e, quanto alla revisione dell’apprezzamento delle prove, Cass., del 24/05/2006, n. 12362; conf. Cass., 23/05/2014, n. 11511; Cass., 13/06/2014, n. 13485).
In  ogni  caso,  non  è  dato  ravvisare  alcuna  illecita  inversione dell’onere  della  prova  da  parte  del  giudice  di  appello,  che  ha richiamato il consolidato orientamento di questa Corte, di cui alla
sentenza 20/08/2019, n. 21512 -anche menzionata nel ricorso-, secondo  cui  il  creditore  può  limitarsi  a  provare  l’esistenza  del credito e spetta al debitore la prova dell’adempimento (il principio è consolidato a partire dalla nota Cass., Sez. Un., 30/10/2001, n. n. 13533).
L’odierno ricorrente richiama in particolare l’ulteriore principio secondo cui <>, applicabile tuttavia ad una ipotesi diversa da quella oggetto di causa, in cui la corte territoriale, con motivazione congrua, priva di contraddizioni e scevra di vizi logico-giuridici, ha sottolineato che il debitore ha eccepito di aver adempiuto, così riconoscendo l’esistenza del rapporto su cui si fonda la pretesa delle controparti, ma non è poi riuscito a dimostrare di aver esattamente adempiuto in relazione alla intera pretesa creditoria vantata ex adverso.
 Il  quarto  motivo,  nonostante  la  formale  invocazione  del paradigma  di cui al n. 5 dell’art. 360  cod. proc. civ., è inammissibile.
Si risolve infatti, per come formulato, nel sollecitare questa Corte ad un riesame delle questioni di fatto e delle risultanze probatorie, precluso nella presente sede di legittimità, tenuto conto che, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, la disposizione di cui all’ art. 360, n. 5, c.p.c., che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia) ed
espressamente precisa che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie (Cass. Sez. Un., 07/04/2014, nn. 8053 e 8054; Cass., Sez. Un., n. 19881/2014, n. 25008/2014 e n. 417/2015). E’ stato inoltre precisato che il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento, con la conseguenza che la denunzia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni -che invece l’odierno ricorrente solo genericamente prospetta- per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa (Cass., 05/12/2014, n. 25756; Cass., 26/06/2018, n. 16812).
Anche l’ulteriore doglianza circa l’omessa considerazione delle risultanze dell’interrogatorio formale è inammissibile ex art. 360 bis cod. proc. civ., stante il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui l’interrogatorio formale è un mezzo diretto a provocare la confessione giudiziale di fatti sfavorevoli all’autore della confessione, ad esclusivo vantaggio del soggetto deferente, mentre non può costituire prova di fatti favorevoli alla parte che lo rende (v. di recente Cass., 24 ottobre 2023, n. NUMERO_DOCUMENTO).
8. Il quinto motivo è inammissibile.
Prospetta infatti lo svolgimento, da parte della corte d’appello,  di  un  errato  ragionamento  presuntivo,  ma  facendo
riferimento soltanto ad alcuni passaggi della motivazione, ove solo ad abundantiam viene evidenziata l’irrilevanza della denuncia di smarrimento dell’assegno, privo di data, e la singolarità per cui il COGNOME detenesse assegni firmati in bianco <>. Invero, la ragione principale del decidere, rispetto alla quale la motivazione si consolida, è quella per cui il debitore COGNOME ha riconosciuto l’esistenza del rapporto su cui l’avversaria pretesa si fonda senza riuscire a provare di avere esattamente adempiuto.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, L’omessa impugnazione di tutte le rationes decidendi rende infatti inammissibili le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand’anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre non impugnate, all’annullamento della decisione stessa (Cass., 06/07/2020, n. 13880, Cass., 14/08/2020, n. 17182, Cass., 24/10/2019, n. 27339, Cass., 14/10/2020, n. 22183, Cass. 13 giugno 2018, n. 15399, Cass. Sez. Unite, 20 dicembre 2017, n. 30589, Cass., Sez. Un., 03/11/2016, n. 22226, Cass., Sez. Un., 09/01/2014, n. 264, Cass., Sez. Un., 29/03/2013, n. 7931, Cass. 13/09/2017, n. 21250; Cass., Sez. Un., 26/01/2011, n. 1765).
In conclusione, il ricorso è inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna  il  ricorrente  al  pagamento,  in  favore  dei controricorrenti,  delle  spese  del  giudizio  di  legittimità,  che liquida in euro 2.300,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in
euro 200,00, ed accessori di legge.
Ai  sensi  dell’art.  13  comma  1  quater  del  d.P.R.  n.  115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per  il  versamento,  da  parte  del  ricorrente,  dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza