LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Onere della prova: chi deve dimostrare cosa nel lavoro?

Una lavoratrice ha citato in giudizio il suo datore di lavoro per differenze retributive, sostenendo di aver lavorato a tempo pieno e di meritare un inquadramento superiore. I tribunali hanno respinto la sua richiesta, affermando che l’onere della prova per le ore aggiuntive e le mansioni superiori spetta al dipendente. La Corte di Cassazione ha confermato questa decisione, dichiarando il ricorso inammissibile perché la lavoratrice non ha fornito prove sufficienti e ha tentato di modificare inammissibilmente la sua domanda legale nel corso del processo.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 21 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Onere della Prova: Chi Deve Dimostrare Cosa in una Causa di Lavoro?

In una causa per differenze retributive, a chi spetta dimostrare i fatti? Al lavoratore che afferma di aver lavorato di più o al datore di lavoro che nega? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un principio fondamentale del diritto processuale: l’onere della prova. Comprendere questo concetto è cruciale per chiunque intenda far valere i propri diritti in tribunale, poiché l’esito di una causa dipende spesso dalla capacità delle parti di provare le proprie affermazioni.

I Fatti del Caso: La Richiesta della Lavoratrice

Una dipendente di una società cooperativa, assunta con un contratto part-time di 35 ore settimanali e inquadrata nel V livello del CCNL Pubblici Esercizi, citava in giudizio il proprio datore di lavoro. La lavoratrice sosteneva di aver di fatto lavorato a tempo pieno e di aver svolto mansioni superiori (cuoca) rispetto a quelle contrattuali (aiuto cuoca), che le avrebbero dato diritto a un inquadramento nel IV livello. Di conseguenza, chiedeva il pagamento di cospicue differenze retributive, inclusi straordinari, mensilità aggiuntive, ferie e permessi non goduti.

La Decisione dei Giudici di Merito

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno respinto le richieste della lavoratrice. Secondo i giudici, le prove raccolte durante il processo non erano sufficienti a dimostrare né lo svolgimento di un orario di lavoro superiore a quello contrattuale, né l’esercizio costante di mansioni riconducibili al livello superiore rivendicato. Inoltre, la lavoratrice non aveva fornito la prova di non aver goduto di ferie, festività e riposi, presupposto indispensabile per poter richiedere la relativa indennità sostitutiva.

L’Onere della Prova secondo la Cassazione

La lavoratrice ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando un’errata attribuzione dell’onere della prova. A suo avviso, sarebbe stato compito del datore di lavoro dimostrare di aver corrisposto tutto quanto dovuto. La Suprema Corte ha però rigettato questa tesi, dichiarando il ricorso inammissibile e chiarendo in modo definitivo la ripartizione degli oneri probatori.

Le Motivazioni della Suprema Corte

I giudici di legittimità hanno ribadito un principio consolidato: spetta al lavoratore che agisce in giudizio per ottenere il pagamento di differenze retributive dimostrare i fatti costitutivi del proprio diritto. In questo caso specifico, la lavoratrice avrebbe dovuto provare:
1. L’esecuzione di lavoro straordinario: doveva dimostrare di aver lavorato oltre le 35 ore settimanali previste dal suo contratto.
2. Lo svolgimento di mansioni superiori: doveva provare di aver eseguito in modo continuativo e prevalente i compiti propri del IV livello, e non solo in maniera occasionale.
3. Il mancato godimento di ferie e riposi: doveva dimostrare di aver lavorato durante i giorni destinati a ferie, festività e riposi.

Solo una volta che il lavoratore ha fornito queste prove, scatta l’onere del datore di lavoro di dimostrare di aver pagato correttamente le somme dovute. Poiché la lavoratrice non ha superato questo primo scoglio probatorio, le sue domande sono state correttamente respinte.

La Corte ha inoltre rilevato un ulteriore vizio nel ricorso. La lavoratrice sosteneva di aver ‘ridotto’ la sua domanda in appello, chiedendo il pagamento delle differenze retributive basate sul suo contratto part-time effettivo. Tuttavia, la Corte ha qualificato questa mossa non come una semplice riduzione, ma come una mutatio libelli, cioè una domanda nuova e diversa basata su una causa petendi (ragione giuridica) differente. Una simile modifica è inammissibile nei gradi superiori del giudizio.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza un principio fondamentale per le controversie di lavoro: ‘chi afferma, prova’. Un lavoratore non può limitarsi ad affermare di aver lavorato di più o di aver svolto mansioni superiori; deve essere in grado di dimostrarlo con prove concrete (testimoni, documenti, ecc.). Questa decisione sottolinea l’importanza di una corretta impostazione della causa fin dal primo grado e della raccolta meticolosa di tutte le prove necessarie a supportare le proprie richieste. Per i datori di lavoro, invece, rimane cruciale mantenere una documentazione precisa di orari, pagamenti e godimento di ferie per potersi difendere efficacemente.

A chi spetta l’onere della prova se un lavoratore chiede il pagamento di ore di straordinario o differenze retributive per mansioni superiori?
Secondo la sentenza, l’onere della prova spetta al lavoratore. È lui che deve dimostrare di aver effettivamente svolto lavoro straordinario o mansioni superiori rispetto a quelle previste dal suo contratto.

Cosa deve provare il datore di lavoro in una causa per differenze retributive?
Il datore di lavoro ha l’onere di provare di aver corrisposto la retribuzione dovuta, ma solo dopo che il lavoratore ha dimostrato i fatti su cui si fonda la sua richiesta (es. le ore di straordinario effettuate).

È possibile modificare la propria domanda nel corso del processo, ad esempio riducendola?
Non è possibile se la modifica cambia il fondamento giuridico della richiesta (la causa petendi). La Corte ha chiarito che chiedere differenze basate sul contratto part-time è una domanda nuova e diversa rispetto a quella basata su un presunto lavoro a tempo pieno, e quindi è inammissibile se introdotta tardivamente nel processo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati