Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20349 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20349 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 10200-2021 proposto da:
NOME COGNOME NOME, in proprio e nella qualità di titolare dell’ormai cessata omonima ditta, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 29/2021 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 29/01/2021 R.G.N. 351/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Oggetto
Differenze retributive
R.G.N. 10200/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 14/05/2025
CC
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Reggio Calabria, decidendo sull’appello proposto da COGNOME NOME contro la sentenza del Tribunale di Locri n. 74/2018, in parziale riforma di detta sentenza, che confermava in relazione al rigetto relativamente alla domanda di condanna al versamento dei contributi, condannava NOME al pagamento dell’importo di € 100.585,46 per differenze retributive ed € 11.927,10 per TFR, per un totale complessivo pari ad € 112.512,56, olt re ad interessi e rivalutazione dalla scadenza di ciascuna mensilità al soddisfo (e per il TFR dalla cessazione del rapporto al soddisfo), oltre alle spese del primo grado, che liquidava in € 6.378,00, con iva, cpa e spese generali, e della CTU nella misura definita dal Tribunale; condannava l’appellata anche al pagamento delle spese del secondo grado, come liquidate.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, dopo aver dato conto di quanto considerato e deciso dal primo giudice, riesaminava la risultanze processuali e concludeva che una molteplicità di elementi convergeva nel senso dell’affermazione della natura subordinata della prestazione resa dal COGNOME in favore della COGNOME; il che, unitamente al ruolo assolutamente non esecutivo o marginale nell’attività di impresa, descritto dai testi, concorreva nel far ritenere che il lavoratore fosse inserito stabil mente nell’attività di impresa e che il potere direttivo fosse esercitato in forma attenuata come consono ad un’attività di responsabilità quale appariva quella affidata al COGNOME.
2.1. Riteneva, ancora, stante il ruolo sostanzialmente apicale svolto dal COGNOME nell’ambito dell’impresa di cui era titolare la COGNOME, di ravvisare le condizioni per inquadrare il suo ruolo nel primo livello professionale del CCNL commercio da lui
richiesto; la Corte, infatti, si discostava dall’opinione espressa dal C.T.U. sulla riconducibilità delle mansioni di fatto svolte al terzo livello professionale.
In definitiva, sulla base dei conteggi eseguiti dal C.T.U. di primo grado, riteneva dovute al lavoratore le somme indicate in dispositivo.
Avverso tale decisione NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
Ha resistito l’intimato con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 414 cpc, in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., per la omessa produzione integrale del c.c.n.l.’. Deduce che il ricorrente ‘non ha as solto al proprio onere probatorio’, perché ‘manca agli atti del processo la fonte normativa di riferimento perché non risulta depositato il CCNL applicabile, salvo la produzione per estratto degli artt. 97 c.c.n.l. 2004 e 100 c.c.n.l. 2008, per i dipendenti delle aziende del terziario e delle distribuzioni, né tanto meno il ricorrente stesso ha sollecitato al Tribunale l’esercizio del potere di cui all’art. 421 c.p.c.’. Secondo la stessa, inoltre, il difetto di produzione del contratto collettivo comporta anche la nullità del ricorso ex artt. 156 2° comma e 414 c.p.c. e conseguentemente del procedimento per carenza di un elemento essenziale della domanda.
Con il secondo motivo denuncia ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. nullità della sentenza e del procedimento ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione degli artt. 194 e 195 c.p.c. e degli artt. 87 e 90 disp. att. c.p.c.; nullità della sentenza per violazione del contraddittorio’. Deduce che, in mancanza del c.c.n.l. il giudice non avrebbe potuto decidere nel merito della pretesa azionata dal lavoratore, né il consulente tecnico poteva fondare il suo elaborato su un c.c.n.l. mai acquisito in giudizio, essendo tale contratto fonte del diritto, un elemento costitutivo della domanda da provare secondo le regole generali dell’onere probatorio ex art. 2697 cod. civ.
Con il terzo motivo, ‘ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4’, ‘eccepisce la nullità della sentenza resa in violazione degli artt. 112 e 365 cpc perché si potevano riconoscere al ricorrente solo somme nei limiti della domanda originaria’. Lamenta che la Co rte d’appello abbia pronunciato ‘ extrapetita liquidando la retribuzione in una misura superiore a quella richiesta nel giudizio di primo grado. La domanda del sig. COGNOME si fondava su conteggi dallo stesso depositati che quantificavano gli importi richi esti nella misura massima di € 89.937,27 senza altre condizioni o riferimenti. Modificare questo importo in appello costituisce senza dubbio domanda nuova e come tale inammissibile’.
Con un quarto motivo ‘eccepisce l’omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., dal momento che il Giudice di Appello non ha considerato che il sig. COGNOME si è sempre qualificato agente di commercio’.
Il primo motivo è infondato.
Secondo un consolidato indirizzo di questa Corte, infatti, nel rito del lavoro, persino la mancata o errata indicazione del contratto collettivo da parte dell’istante che ne invochi l’applicazione non induce la nullità del ricorso introduttivo del giudizio ex art. 414 c.p.c. (cfr., tra le altre, Cass. n. 3143/2019).
Nel caso di specie, la stessa ricorrente per cassazione rappresenta che l’attore aveva depositato un estratto degli articoli di due CCNL dei quali aveva precisamente indicato gli anni ed il settore.
E in proposito mette conto aggiungere che, per altro costante indirizzo di legittimità, l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi è imposto a pena di improcedibilità del ricorso dall’art. 369, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. con esclusivo riferimento al giudizio di cassazione (v. Cass. n. 4350 del 2015; n. 6255 del 2019) e detto onere può dirsi soddisfatto solo dalla produzione del testo integrale del contratto collettivo, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 c. c. (v. anche Cass. n. 10434 del 2006; n. 14461 del 2006; n. 8037 del 2007; n. 3027 del 2009; n. 16295 del 2010 in motivazione); mentre un analogo onere non è imposto nel giudizio di merito nel quale, ove si ritenesse indispensabile l’acquisizione del testo integrale del contratto collettivo, si potrebbe fare ricorso all’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio (v. Cass. n. 14527 del 2021, in motivazione).
Pertanto, in disparte la considerazione che la ricorrente neanche deduce di aver eccepito la nullità del ricorso
introduttivo della controparte nel corso dei gradi di merito (cfr. anche pagg. 2-4 del ricorso per cassazione), certamente deve essere esclusa detta nullità.
8.1. Neppure, inoltre, la mancata produzione del testo integrale delle cennate fonti collettive può far concludere che l’attore non avesse assolto gli oneri probatori a suo carico.
Per quanto sopra detto, infatti, era rimessa al discrezionale apprezzamento officioso dei giudici di merito ex art. 421 c.p.c. verificare se, in rapporto a quanto allegato e provato dalle parti, fosse indispensabile l’acquisizione del testo integrale dei C CNL applicabili al rapporto.
Il secondo motivo è inammissibile sotto vari profili.
La ricorrente vi deduce anche che: ‘il CTU, in violazione di legge: – ha indagato su questioni non prospettate dalle parti, violando un duplice principio, quello che addossa alle stesse l’onere di allegazione e quello che impedisce al giudice di valutare questioni non portate alla sua attenzione dai litiganti (Cass. 1020/2006); -ha accertato fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione, violando il principio dell’onere della prova incombente sui litiganti (Cass. 4729/2015)’ … e che ‘ha introdotto documenti non prodotti a tempo debito dalla parte interessata per dimostrare il proprio diritto o eccezione’.
10.1. In parte qua la censura difetta totalmente dei requisiti di specificità/autosufficienza del ricorso per cassazione.
Per vero, non solo la ricorrente non ha trascritto, né richiamato almeno nelle parti salienti, gli atti processuali, a cominciare dal testo della relazione di consulenza tecnica di ufficio, cui allude, ma neanche precisa: quali sarebbero le
questioni non prospettate dalle parti su cui avrebbe indagato il CTU; quali fatti costitutivi (della domanda o dell’eccezione) lo stesso avrebbe accertato; e quali documenti avrebbe introdotto non prodotti a tempo debito dall’una o dall’altra parte; che quesiti fossero stati posti al consulente; se e quali rilievi o eccezioni fossero stati formulati rispetto all’operato di quest’ultimo, anche nell’ambito del contraddittorio tecnico con il consulente, attualmente disciplinato dal comma terzo dell’art. 195 c.p.c. novellato, norma della quale pure la ricorrente assume la violazione.
10.2. E tanto vale anche per gli argomenti che la ricorrente nell’ambito della censura in esame riferisce alla mancata acquisizione del CCNL.
Richiamandosi, infatti, quanto già considerato nel disattendere il primo motivo di ricorso circa l’irrilevanza in sé della mancata produzione di copia integrale dei CCNL, la ricorrente in proposito non considera che la Corte territoriale, come già accennat o in narrativa, si era discostata d’ufficio su aspetto specifico dall’opinione espressa dal CTU ‘sia perché condotta in difetto di allegazioni, sia perché compiuta esorbitando dai compiti affidatigli e svolgendo un compito valutativo che è di esclusiva spe ttanza giudiziale’ (v. facciata 15 della sua sentenza).
10.3. Giova considerare, allora, che le Sezioni unite di questa Corte hanno enunciato una serie di principi di diritto in tema e, per quello che può rilevare in questa sede, hanno insegnato che: ‘In materia di consulenza tecnica d’ufficio, l’accertamento d i fatti diversi dai fatti principali dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni, e salvo,
quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio, o l’acquisizione nei predetti limiti di documenti che il consulente nominato dal giudice accerti o acquisisca al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli in violazione del contraddittorio delle parti è fonte di nullità relativa rilevabile ad iniziativa di parte nella prima difesa o istanza successiva all’atto viziato o alla notizia di esso’, e che: ‘In materia di consulenza tecnica d’ufficio, l’accertamento di fatti principali diversi da quelli dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quando a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio, che il consulente nominato dal giudice accerti nel rispondere ai quesiti sottopostigli dal giudice viola il principio della domanda ed il principio dispositivo ed è fonte di nullità assoluta rilevabile d’ufficio o, in difetto, di motivo di impugnazione da farsi valere ai sensi dell’art. 161 c.p.c.’ (così Cass., sez. un., 28.2.20 22, n. 6500).
Ebbene, considerato che la consulenza tecnica d’ufficio in questione era stata disposta ed eseguita in primo grado, la ricorrente non deduce di aver formulato, nei termini secondo i casi delineati dalle Sezioni unite nell’ora cit. sentenza, la benché minima eccezione a riguardo su aspetti diversi da quello su cui si è poi espressa in via officiosa la Corte d’appello.
11. Il terzo motivo non è fondato.
Quanto al vizio di extrapetizione ex art. 112 c.p.c. che ivi deduce principalmente la ricorrente è sufficiente considerare che la Corte territoriale ha condannato l’allora appellata ‘al pagamento dell’importo di euro 100.585,46 per differenze retributi ve ed € 11.927,10 per TFR, per un totale complessivo
pari ad Euro 112.512,56, oltre ad interessi e rivalutazione dalla scadenza di ciascuna mensilità al soddisfo (e per il TFR dalla cessazione del rapporto al soddisfo)’, in modo perfettamente conforme a quanto richiesto dal lavoratore nella conclusione sub 1) del ricorso in appello, come riferisce la stessa ricorrente per cassazione (cfr. pag. 5 del suo ricorso ora in esame).
Circa il ben diverso vizio, pure fatto valere nell’ambito dello stesso motivo, dell’essere la suddetta domanda nuova, la ricorrente anzitutto in proposito si riferisce a norme all’evidenza non pertinenti al caso: in particolare, nella rubrica del motivo, ma anche nel suo svolgimento (a pag. 10), si assume la violazione dell’art. 365 c.p.c. (che disciplina la ‘Sottoscrizione del ricorso’ per cassazione) o dell’art. 345, comma primo, c.p.c., disposizione dettata per l’appello assoggettato al rito ordinario di cognizione.
In ogni caso, anche rispetto a quanto previsto dall’art. 437, comma secondo, c.p.c. per l’appello soggetto al rito del lavoro (applicato nella specie), la ricorrente neanche deduce che il diverso importo richiesto dal lavoratore in secondo grado riflettesse una modificazione dei fatti costitutivi di tale domanda, sì da costituire non un’ emendatio libelli , ma una mutatio libelli .
14. Il quarto motivo è inammissibile.
La rubrica della censura è difettosamente formulata in chiave di ‘omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.’, perché il vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. dev’essere fatto valere in base al mezzo di cu i
all’art. 360, comma primo, n. 4), c.p.c., deducendo per tale ragione la nullità della sentenza.
In ogni caso, la ricorrente lamenta che: ‘La Corte di Appello di Reggio Calabria ha omesso di considerare che dalle circostanze emerse in giudizio il sig. COGNOME VincenzoCOGNOME per come eccepito poteva semmai essere considerato (sub) agente di Commercio, circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi, su uno dei fatti principali della controversia (Cass. 22 gennaio 2018, n. 1539)’.
Ebbene, secondo un consolidato orientamento di questa Corte, più volte espresso anche Sezioni unite, l’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’o rdinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), specificandosi che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (così Sez. un. n. 8053/2014; Sez. un. n. 19881/2014); che in tale paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive o di censure proposte (Sez. un. n. 20399/2019). E’ stato, inoltre, precisato che non costituiscono fatti il cui omesso
esame possa cagionare il vizio in parola: a) le argomentazioni o deduzioni difensive; b) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze astrattamente rilevanti; c) una moltitudine di fatti e circostanze, o il vario insieme dei materiali di causa; d) le domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, ovvero i motivi di appello, i quali costituiscono i fatti costitutivi della domanda in sede di gravame (in tal senso, riassuntivamente, Cass. n. 18318/2022; ma v., ex plurimis , in termini analoghi Cass. n. 10321/2023; n. 5616/2023; n. 26364/2022).
Pertanto, anche riconducendo la censura all’ipotesi di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., la ricorrente, in realtà, non deduce l’omesso esame circa un fatto storico, principale o secondario, decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nei sensi sopra specificati, bensì si duole essenzialmente della qualificazione del rapporto come lavoro subordinato operata dalla Corte territoriale, proponendone una diversa, per giunta in base ad una propria lettura di difese delle parti e delle risultanze processuali, come risulta chiaramente dallo sviluppo del motivo (v. pagg. 12-14 del ricorso).
La ricorrente, in quanto soccombente dev’essere condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 7.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del