Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5903 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 5903 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 11917-2024 proposto da:
NOME COGNOME domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, nella qualità di titolare dell’impresa individuale RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
contro
ricorrente –
Oggetto
QUALIFICAZIONE
RAPPORTO LAVORO SUBORDINATO
R.G.N. 11917/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 15/01/2025
CC
avverso la sentenza n. 486/2023 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 10/11/2023 R.G.N. 396/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Alessandria, ha ritenuto sussistenti tra NOME COGNOME, titolare della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE, e NOME COGNOME tre rapporti di lavoro subordinato, per lo svolgimento di mansioni di commessa addetta alle vendite, nei periodi 22.8.2011-21.8.2012, 27.8.2012-dicembre 2016 e aprile 2017-settembre 2019, con conseguente dichiarazione di prescrizione dei crediti retributivi attinenti al primo periodo e condanna al pagamento delle differenze retributive per gli ultimi due periodi.
La Corte di appello, premesso che l’onere della prova della continuità dell’attività, ove i periodi di lavoro dedotti dal lavoratore siano solo in parte documentati da regolare assunzione, spetta al lavoratore stesso, ha, in sintesi, osservato, che -sulla base del quadro probatorio acquisito poteva ritenersi raggiunta la prova della sussistenza di tre, distinti, periodi di lavoro, per lo svolgimento di mansioni di commessa, con orario di lavoro part time (specificamente accertato per ciascun rapporto); ha, infine, escluso la sussistenza di una giusta causa di dimissioni.
Per la cassazione di tale sentenza la lavoratrice ha proposto ricorso affidato a quattro motivi. Il titolare della ditta ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod.proc.civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 246, 115 e 116 c.p.c. nonché nullità della sentenza per omessa motivazione in relazione alla dichiarazione di inattendibilità e inutilizzabilità di alcune dichiarazioni testimoniali risultando apodittica e abnorme l’affermazione della Corte territoriale che ha ritenuto di privilegiare le deposizioni dei testimoni che non fossero legati da stretta parentela con le parti (nella specie, il compagno convivente e la cognata della lavoratrice ricorrente), giungendo ad una immotivata asserzione di inutilizzabilità delle testimonianze delle persone legate da vincoli di parentela.
Con il secondo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3, 4, 5, cod.proc.civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697, 2113, 2935, 2948, nullità della sentenza per omessa motivazione, omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, con riguardo alla dichiarazione di prescrizione dei crediti relativi al primo rapporto di lavoro. La Corte di appello ha errato ad attribuire l’onere della prova della cesura temporanea del rapporto di lavoro in capo alla lavoratrice, la quale ha, comunque, assolto a tutti i suoi oneri di allegazione e di prova, mentre il datore di lavoro non ha assolto il suo onere probatorio circa il fatto estintivo del rapporto di lavoro continuativo e ininterrotto (considera ta l’inaffidabilità dei prospetti paga prodotti i quali, esaminata attentamente la voce ‘descrizione’ ivi contenuta, rivelano la continuità del suddetto rapporto, da ritenersi confermata altresì delle deposizioni dei testimoni).
Con il terzo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3, 4, 5, cod.proc.civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nullità della sentenza per omessa motivazione, omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, con riguardo all’accertamento dell’orario di lavoro svolto dalla lavoratrice. La Corte di appello non ha considerato le deposizioni, concordanti, dei due testi ritenuti non attendibili (il compagno convivente della lavoratrice e la cognata) nonché le altre deposizioni, che -se valutate complessivamente e in maniera ‘incrociata’ deponevano per lo svolgimento di un orario di lavoro pieno, e non part time.
Con il quarto motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod.proc.civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e nullità della sentenza per omessa motivazione, con riguardo all’accertamento della insussistenza di una giusta causa delle dimissioni rese dalla lavoratrice, avendo, la lavoratrice stessa, dimostrato di aver ricevuto una retribuzione inadeguata rispetto alle mansioni e all’orario di lavoro ed avendo, la Corte territoriale, reso una motivazione contraddittoria ove ha ritenuto di escludere che la lettera di dimissioni lamentasse solamente ‘l’irregolarità nel pagamento dello stipendio’ e non anche la sua inadeguatezza.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
5.1. Contrariamente a quanto afferma la ricorrente in questa sede, le deposizioni del compagno convivente e della cognata della lavoratrice non sono state aprioristicamente omesse dal giudice, ma sono state ammesse dal giudice di primo grado, e solo successivamente, in sede di complessiva valutazione del materiale istruttorio da parte del giudice di appello, sono state (al pari della deposizione della moglie del titolare della
ditta individuale, di tenore diametralmente opposto) ritenute meno attendibili, rispetto agli altri elementi di prova raccolti, sulla scorta anche del legame di parentela tra i testimoni e le parti, oltre che in base al tenore delle deposizioni.
5.2. La Corte territoriale ha effettuato, dunque, una valutazione comparata con tutti gli elementi di prova emersi in sede istruttoria e – come più volte ribadito da questa Corte – in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito dì individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (così Cass. n. 16499 del 2009; Cass. n. 11176 del 2017, per la quale, nel quadro del principio, espresso nell’art. 116 c.p.c., di libera valutazione delle prove – salvo che non abbiano natura di prova legale -il giudice civile ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti; il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purché risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati).
Tutti gli altri residui motivi di ricorso sono inammissibili per plurime ragioni.
6.1. I motivi sono inammissibili perché la ricorrente richiama formalmente e promiscuamente le censure contenute nel n. 3), nel n. 4) e nel n. 5) del primo comma dell’art. 360 c.p.c., ma, secondo questa Corte, tale modalità di formulazione
risulta non rispettosa del canone della specificità del motivo allorquando -come nella specie nell’ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione, non risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, deter minando una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure (v., in particolare, Cass. n. 7394 del 2010, n. 20355 del 2008, n. 9470 del 2008; v. anche Cass. SS.UU. n. 17931 del 2013).
6.2. Deve, poi, rimarcarsi che in tema di ricorso per Cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa (riguardante, nella specie, la continuità del rapporto di lavoro e l’osservanza di un determinato orario di lavoro) è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito; inoltre, per i giudizi, come il presente, ai quali si applica ratione temporis l’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. nel testo successivo alla modifica di cui all’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, (convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134) -che ha molto limitato l’ambito di applicabilità del controllo di legittimi tà sulla motivazione -la censura dell’indicata valutazione è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la relativa motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed
immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili, oppure in cui si riscontri l’omesso esame di un fatto storico decisivo, con la conseguente riduzione al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione (vedi per tutte: Cass. Sez. Un. n. 8053 del 2014; Cass. Sez. Un. n. 19881 del 2014; Cass. n. 12928 del 2014). Evenienze che nel caso di specie non si verificano avendo, la sentenza impugnata, ampiamente esaminato i fatti controversi ed accertato, sulla base della documentazione prodotta e delle numerose deposizioni testimoniali acquisite, la discontinuità dei diversi rapporti di lavoro, la mansione svolta e l’orario di lavoro osservato.
6.3. In sintesi, le censure formulate come violazione o falsa applicazione di legge o come nullità della sentenza per omessa motivazione o come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio mirano, in realtà, alla rivalutazione dei fatti e del compendio probatorio operata dal giudice di merito operazione non consentita in sede di legittimità.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 15 gennaio