Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2807 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2807 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 7853/2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME, COGNOME NOME;
-ricorrente – contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, quali eredi di COGNOME NOME, già titolare dell’omonima RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME;
-controricorrenti – avverso la sentenza n. 2266/2020 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 10/09/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
1.Su ricorso della RAGIONE_SOCIALE, il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE con decreto n. 2336/2012 ingiungeva alla RAGIONE_SOCIALE di pagare la somma di euro 12.937,74 oltre interessi e spese, in relazione a prestazioni di assistenza svolte dalla RAGIONE_SOCIALE ingiungente (assistenza predisposizione documentazione premio unico 2004; premi UE – premio unico aziendale 2005 e assistenza predisposizione documentazione premio unico aziendale 2006), di cui alla fattura, recante il suddetto importo.
Avverso il decreto ingiuntivo proponeva opposizione NOME COGNOME, che, oltre a contestare la domanda attorea, proponeva domanda riconvenzionale di risarcimento del danno sul presupposto che le prestazioni dovute non erano state correttamente eseguite.
La causa veniva istruita mediante acquisizione della documentazione prodotta dalle parti (e della relazione informativa, ordinata dal giudice ad RAGIONE_SOCIALE), nonché mediante audizione di testimoni. Due distinti ordini di esibizione, diretti dal Tribunale a parte opposta RAGIONE_SOCIALE, di copia della convenzione (intercorsa tra l’RAGIONE_SOCIALE e il RAGIONE_SOCIALE), nonché del brogliaccio-raccolta dati relativo agli anni in contestazione (2004-2006) e della RAGIONE_SOCIALE, di cui alla deposizione del teste COGNOME, non venivano eseguiti.
Il Tribunale con sentenza n. 2774/2017:
-rigettava l’opposizione, e, quindi,
-confermava il decreto ingiuntivo opposto (e con esso l’accoglimento della domanda di pagamento, formulata da RAGIONE_SOCIALE) e condannava parte opponente alla rifusione delle spese processuali.
A fondamento della sua decisione il giudice di primo grado argomentava che: a) il RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE sono due soggetti giuridici distinti e che i testi COGNOME e COGNOME avevano affermato che RAGIONE_SOCIALE avesse svolto in favore di NOME COGNOME attività diversa rispetto a quella di competenza del CCA, confermando i capitoli da 1 a 8 della memoria istruttoria; b) dalla relazione RAGIONE_SOCIALE 11 maggio 2015 si desumeva che non fosse vietato lo svolgimento di attività da parte della RAGIONE_SOCIALE (se è vero che i centri di assistenza agricola possono espletare attività convenzionate tramite apposite società di servizi come RAGIONE_SOCIALE, tali attività convenzionate non coincidono con quella che nel caso specifico aveva svolto la convenuta opposta); c) provate le prestazioni, i testi COGNOME e COGNOME avevano confermato che la clientela fosse a conoscenza dei costi di tali prestazioni; d) la domanda riconvenzionale di risarcimento doveva essere rigettata perché, a prescindere dal fondamento della pretesa, non era provato il danno sofferto (che avrebbe potuto essere dimostrato con un minimo di diligenza e non avrebbe potuto essere provato equitativamente).
Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva impugnazione NOME COGNOME insistendo per la revoca del decreto ingiuntivo ed il risarcimento del danno. A fondamento dell’appello deduceva che: a) le prestazioni svolte da RAGIONE_SOCIALE, società ausiliaria del RAGIONE_SOCIALE, erano identiche a quelle svolte dal RAGIONE_SOCIALE e oggetto delle convenzioni fra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE. Le convenzioni che regolano i rapporti fra RAGIONE_SOCIALE e i centri autorizzati di assistenza agricola stabiliscono i compensi a carico dell’organismo erogatore.
CCA e società ausiliarie non possono richiedere ai loro iscritti compensi ulteriori rispetto a quelli ricevuti da RAGIONE_SOCIALE. L’art. 2 della RAGIONE_SOCIALE 17.10.05 prevede che CCA espleti direttamente o tramite società di servizi attività che comprendono l’acquisizione e l’elaborazione delle domande e delle dichiarazioni, la verifica della presenza, completezza, conformità e corrispondenza dei documenti da allegare obbligatoriamente alle c.d. domande di aiuto. L’art. 10 della convenzione stabilisce che i relativi compensi siano a carico di RAGIONE_SOCIALE. Gli atti esecutivi prevedono a loro volta che la documentazione inerente la domanda sia inserita in apposito fascicolo aziendale che deve essere posto a disposizione del produttore unitamente alla documentazione nello stesso contenuta da parte del CAA e delle società di Servizi. I testi COGNOME e COGNOME non avevano riferito di attività diversa rispetto a quella di competenza del CCA perché la società appellata avrebbe semplicemente reperito, raccolto e riordinato la documentazione consegnata dal produttore; b) le prove testimoniali non chiariscono le attività compiute da RAGIONE_SOCIALE Non era stata prodotto alcun documento per permettere di comprendere in cosa consisterebbero le gravose incombenze. I testi avevano dichiarato che il cliente portava la documentazione e che non rientrata tra i compiti della società di servizi la verifica della documentazione. La raccolta e il reperimento dei documenti erano quindi attività svolta dallo stesso cliente. Ammesso che la società avesse agito sulla base di un mandato verbale non aveva fornito alcun rendiconto sullo svolgimento del mandato; c) nel mandato scritto, depositato dall’ingiungente, era espressamente indicato che CAA si avvaleva per i servizi resi della società ausiliaria RAGIONE_SOCIALE Il COGNOME aveva affidato a NOME l’incarico di compiere per suo conto, anche tramite le sue
strutture territoriali, le domande di amissioni ai benefici regionali, nazionali e comunitari. L’unico rapporto esistente era avvenuto fra COGNOME e COGNOME; d) di aver eccepito l’assoluta incomprensibilità dei tariffari allegati alle delibere del CdA d’RAGIONE_SOCIALE e l’impossibilità di comprendere la congruità degli importi addebitati. La società di servizi non aveva provato quali attività fra quelle elencate avesse svolto e aveva richiesto per le diverse annualità corrispettivi sempre diversi; e) quanto alla domanda riconvenzionale di risarcimento del danno, RAGIONE_SOCIALE aveva contraddittoriamente eccepito la propria carenza di legittimazione passiva e chiesto il pagamento delle competenze. Nel caso di specie sussistevano “anomalie” confermate anche dai testi. Se come sostiene il giudice di primo grado fra le parti era intercorso un rapporto di mandato, allora è innegabile che il mandatario avrebbe dovuto svolgere l’incarico con la diligenza del buon padre di famiglia; f) il giudice non aveva deciso sull’eccezione di prescrizione degli interessi moratori richiesti dalla società di servizi. Le spese di primo grado avrebbero dovuto essere poste a carico della società di servizi attesa l’erroneità della sentenza.
Si costituiva l’RAGIONE_SOCIALE che, nel chiedere il rigetto dell’appello principale, in via di appello incidentale reiterava l’eccezione di difetto di legittimazione passiva rispetto alla domanda di risarcimento del danno. Secondo l’assunto di parte appellata: a) gli incarichi che interessano ai fini della decisione erano meramente verbali e riguardavano attività “non convenzionata” e quindi non compresa fra i compensi riconosciuti da RAGIONE_SOCIALE in favore del CCA. La società di servizi aveva svolto una complessa attività di reperimento della documentazione prodromica alla presentazione delle domande di contributo. Le prove chiare e circostanziate confermavano che la
raccolta e il riordino dei documenti fosse stata curata proprio dalla società di servizi. La documentazione non aveva potuto essere prodotta perché non più nella disponibilità d’RAGIONE_SOCIALE I dati precisi e puntuali contenuti nei tariffari consentivano di superare le eccezioni sulla quantificazione del compenso. Contraddittoria era la posizione della committente che aveva riconosciuto di aver pagato analoghe prestazioni anche a RAGIONE_SOCIALE. B) Il Tribunale aveva statuito sul merito della domanda riconvenzionale di risarcimento del danno senza decidere sulla eccezione preliminare di carenza di legittimazione. La società di servizi non poteva essere chiamata a risarcire danni per errori asseritamente presenti nella domanda premio PAC 1998 o per anomalie nelle domande 2005 e 2006, perché era stata costituita nel 1999 ed aveva svolto soltanto l’attività preparatoria alla presentazione della documentazione. Laddove il CCA si avvalga di terzi per lo svolgimento del proprio incarico, rimane comunque l’unico soggetto direttamente responsabile.
La Corte di appello di Venezia con sentenza n. 2266/2020:
in parziale riforma della sentenza di primo grado, revocava il decreto ingiuntivo opposto e rigettava la domanda di pagamento, formulata da RAGIONE_SOCIALE, compensando interamente le spese processuali e condannando RAGIONE_SOCIALE a restituire all’RAGIONE_SOCIALE quanto ricevuto in esecuzione della sentenza del giudice di primo grado;
confermava nel resto la impugnata sentenza.
3.Avverso la sentenza della corte territoriale RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso.
Hanno resistito con controricorso NOME COGNOME e COGNOME NOME, quali eredi di COGNOME NOME.
Per l’odierna udienza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte mentre i Difensori delle parti hanno depositato memorie a sostegno delle rispettive ragioni
Il Collegio si è riservato il deposito della motivazione nel termine
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.RAGIONE_SOCIALE articola in ricorso tre motivi.
1.1. Con il primo motivo, che formula in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c., denuncia omesso esame circa un fatto decisivo e controverso tra le parti.
Sottolinea che la corte territoriale ha rigettato la domanda di pagamento, azionata in via ingiuntiva, sulla base delle seguenti argomentazioni:
<< La sentenza motiva sia sulle prestazioni eseguite sia sulla entità del compenso esclusivamente per relationem facendo riferimento ad alcune deposizioni testimoniati. I capitoli I -8 della memoria istruttoria 19 aprile 2013 richiamano una generica attività di reperimento, raccolta e riordino di documentazione, distinte domande di contributo e la fattura prodotta nella fase monitoria … . Le dichiarazioni dei testi NOME COGNOME e NOME COGNOME appaiono poco significative perché si risolvono in risposte laconiche ('Si, è vero ") su capitoli altrettanto generici. È come se i testi si fossero limitati a confermare il contenuto della fattura. Il capitolato e le risposte generiche, e di conseguenza la motivazione della sentenza, eludono il problema fondamentale d'individuare in cosa fosse consistita l'attività di raccolta della documentazione. Le convenzioni RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE prevedevano tra i compiti che la CAA avrebbe espletato direttamente o tramite società ausiliarie l 'attività di acquisizione ed elaborazione delle domande e di verifica
della presenza, della completezza e conformità e corrispondenza della documentazione da allegare. Non si esclude che possano sussistere prestazioni d'RAGIONE_SOCIALE non svolte nella veste di società di servizio della CAA ma la difesa d'RAGIONE_SOCIALE con le prove offerte non le ha individuate e tanto meno ha permesso di verificare la congruità del corrispettivo. La prova è del tutto autoreferenziale: si fonda su una fattura e su testi che hanno riferito fatti generici, come tali insuscettibili di qualsiasi verifica. Non essendo stato chiarito quali prestazioni siano state compiute diventa anche impossibile un confronto fra tali prestazioni e il prezziario della società di servizi.".
Si duole che la corte territoriale, tanto affermando, ha omesso di prendere atto della discussione avvenuta tra le parti sul se l'attività, per la quale l'RAGIONE_SOCIALE chiedeva di essere pagata, rientrasse o meno fra quelle svolte direttamente dal CAA (cioè da un ente per conto di cui l'RAGIONE_SOCIALE operava) e già retribuite da RAGIONE_SOCIALE. In particolare, si duole che la corte territoriale ha ritenuto erroneamente che essa RAGIONE_SOCIALE non avesse individuato le prestazioni svolte, mentre essa RAGIONE_SOCIALE aveva indicato -in modo preciso, analitico e dettagliato -le attività su cui fondava la propria domanda, tanto che la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva preso puntuale posizione sulla questione, dando atto di conoscere bene quali fossero le attività poste a base della richiesta di pagamento.
1.2. Con il secondo motivo denuncia, in relazione all'art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione di norme di diritto in riferimento agli artt. 244 e 253 c.p.c., nella parte (sopra riportata) in cui la corte territoriale ha ritenuto le risultanze probatorie testimoniali, emerse in primo grado, non idonee a provare quali siano state le attività da essa effettivamente svolte.
Sostiene che la corte testimoniale, tanto affermando quanto alla presunta genericità dei capitoli di prova testimoniale (riprodotti in ricorso), ha errato nell'interpretare le norme di diritto riguardanti le modalità di deduzione dei capitoli testimoniali, il necessario e sufficiente grado di specificità degli stessi e la loro corretta lettura avendo omesso di correlarli alla lettura degli atti e dei documenti di causa (ai quali i capitoli puntualmente rimandavano).
1.3. Con il terzo motivo denuncia, in relazione all'art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione di norme di diritto in riferimento agli art. 244 e 253 c.p.c., nella parte (sopra riportata) in cui la corte territoriale ha ritenuto che <>.
Sostiene che la corte territoriale, tanto affermando quanto alla presunta genericità delle risultanze testimoniali, ha erroneamente interpretato le norme di diritto riguardanti le modalità di assunzione dei testi, la valutazione delle risposte degli stessi e la loro piena e corretta comprensione, anche in correlazione agli altri atti e documenti di causa, a cui, come rilevato, rimandavano i singoli capitoli di prova.
Il ricorso è inammissibile.
2.1. La Corte territoriale nella impugnata sentenza – dopo aver riportato il contenuto della fattura azionata in via ingiuntiva e dopo aver riassunto il percorso motivazionale seguito dal giudice di primo grado, le censure di parte appellante e le difese di parte appellata -ha accolto i primi due motivi di appello, e, per l’effetto ha ritenuto non accoglibile la domanda di pagamento formulata dalla RAGIONE_SOCIALE sul presupposto di non aver agito quale società ausiliaria del
centro di assistenza agricola. In particolare, la corte di merito, ad esito di una complessiva valutazione delle risultanze istruttorie (pp. 11-12), ha ritenuto che, pur non potendosi escludere prestazioni svolte dalla RAGIONE_SOCIALE non nella veste di società di servizio della CAA, dette prestazioni non erano state provate né nell’ an e neppure nel quantum : <>.
2.2. Ciò posto, occorre aggiungere che, come è noto, il giudizio di Cassazione, a differenza dell’appello, non ha effetto devolutivo, nel senso che non introduce una rinnovazione del giudizio e non può pertanto riguardare questioni attinenti il merito della vertenza, essendo questa Corte soltanto giudice di legittimità. Il ricorso in cassazione è un rimedio di legalità: la sua funzione è quella di rendere immune il giudizio di merito da eventuali errori nei quali il giudice di merito sia incorso nello svolgimento del giudizio ( errores in procedendo ) oppure nell’applicazione delle norme di diritto ( errores in judicando ).
Conseguentemente, la valutazione e la interpretazione delle risultanze istruttorie costituiscono un apprezzamento di fatto che è demandato al sindacato del giudice di merito, ma che è sottratto al sindacato di legittimità di questa Corte, a nulla rilevando che quelle risultanze potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito (Cass. n. 7394/2010, n.
13954/2007, n. 12052/2007, n. 7972/2007, n. 5274/2007, n. 2577/2007, n. 27197/2006, n. 14267/2006, n. 12446/2006, n. 9368/2006, n. 9233/2006, n. 3881/2006, Rv. 587214; e così via, sino a risalire a Cass. n. 1674/1963, la quale affermò il principio in esame, poi ripetutamente ribadito: e cioè che ‘la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione’).
Difatti, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà del controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., tra le tante, Cass. n. 26145/2023, n. 331/2020, n. 21098/2016, n. 27197/2011)
2.3. Orbene, nel caso di specie, parte ricorrente, attraverso le diverse censure articolate in ricorso, si è inammissibilmente spinta a prospettare la rinnovazione, in questa sede di legittimità, del riesame nel merito della vicenda oggetto di lite, come tale sottratto alle prerogative della Corte di cassazione.
In particolare, quanto al vizio di cui all’art. 360 comma 1 n. 5, evocato da parte ricorrente nell’illustrazione del primo motivo, si rileva che: secondo l’interpretazione comune data a questa norma, nella formulazione vigente, la parte ricorrente deve indicare, nel rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366 comma 1 numero 6 e 369
comma 2 numero 4 c.p.c.: ‘il fatto storico’, discusso e controverso, il cui esame sia stato omesso; il ‘dato’, testuale o extratestuale, da cui risulti l’esistenza di detto fatto storico, di cui sia stato omesso l’esame; il ‘come’ e il ‘quando’ detto fatto storico sia stato oggetto di discussione tra le parti; la ‘decisività’ del fatto stesso. Tanto non è dato constatare nel caso di specie, nel quale parte ricorrente lamenta sostanzialmente l’omesso esame di elementi istruttori, dimenticando di indicare il fatto storico, principale o secondario, che non sarebbe stato preso in considerazione nella sentenza impugnata.
Occorre ribadire che, contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, la corte territoriale nella impugnata sentenza si è posta il problema se le attività, per le quali la RAGIONE_SOCIALE chiedeva di essere pagata dalla RAGIONE_SOCIALE rientrassero o meno fra quelle svolte dal CAA o da società ausiliarie dello stesso, giungendo alla conclusione che la RAGIONE_SOCIALE non aveva dimostrato di aver eseguito, sulla base di specifici accordi contrattuali, nell’interesse dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, attività diverse da quelle di competenza di una società ausiliaria di un centro di assistenza agricola.
Quanto poi ai motivi secondo e terzo, rubricati quali violazione dell’art. 360 primo comma numero 3 c.p.c., occorre ribadire che, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, quando è denunciata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della sentenza, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante l’indicazione delle norme che si asserisce essere state violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni, intese motivatamente a dimostrare in quale modo determinate affermazioni di diritto, contenute nella sentenza impugnata, debbano ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con
l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità.
Nulla di tutto questo nel caso di specie, nel quale la ricorrente non ha dedotto l’erronea ricognizione, da parte della sentenza impugnata, delle fattispecie astratte recate dalle norme di legge denunciate (non ha cioè posto un problema interpretativo delle stesse), ma ha allegato un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa (censura questa che inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito).
Contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, va dato atto che la corte territoriale con motivazione immune da vizi logici e giuridici ha riformato la sentenza di primo grado ad esito delle seguenti valutazioni di merito insindacabili in sede di legittimità: <>.
In definitiva, parte ricorrente, attraverso le censure critiche articolate con i motivi in esame, si è inammissibilmente spinta a prospettare la rinnovazione, in questa sede di legittimità, del riesame nel merito della vicenda oggetto di lite, come tale sottratto alle prerogative della Corte di cassazione. E, al di là del formale richiamo
ad uno dei vizi deducibili in sede di legittimità, le censure sollevate nel ricorso -nel riproporre considerazioni già svolte e puntualmente respinte e nel risolversi in apprezzamento di mero fatto, non censurabile in sede di legittimità – sono dirette a denunciare la congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese sostenute da parte resistente, nonché la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P. Q. M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, spese che liquida in euro 3000 per compensi, oltre, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2023, nella camera di