Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15017 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15017 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 04/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23374/2022 R.G., proposto da
SOCIETÀ RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato,
–
ricorrente –
contro
COMUNE DI COGNOME ,
-intimato – per la cassazione della sentenza n. 109/2022 della CORTE d’APPELLO di Messina pubblicata il 25.2.2022;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 17.2.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Patti, con sentenza n. 4362/2010, revocato il decreto ingiuntivo opposto dal Comune di Librizzi, condannava l’ente locale a pagare alla Società RAGIONE_SOCIALE il compenso per la esecuzione del servizio di
Contratto d’opera professionale -Credito per prestazioni eseguite – Prova
accertamento e liquidazione dell’ICI per l’anno 1994, affidato con delibera sindacale del 16.11.1996 n. 64/T, che prevedeva un compenso fisso per ogni pratica trattata e uno variabile, pari al 30% della maggiore imposta accertata. Il Giudice di primo grado riteneva tuttavia provato solo lo svolgimento di 670 pratiche, contro le 1.351 indicate in fattura, e non anche l’importo preteso per la maggiore imposta accertata.
La Corte d’appello di Messina, con sentenza n. 563/2017, pubblicata il 24.5.2017, in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla società, riteneva invece raggiunta, sulla scorta delle dichiarazioni testimoniali assunte, la prova delle somme riscosse dal Comune pari a lire 5.867.700 (euro 3.030,41), riconoscendo quindi dovuto l’importo di euro 909,10 corrispondente alla quota variabile del compenso (pari al 30% del riscosso). Il giudice di secondo grado confermava per il resto la decisione di prime cure, poiché la mera fattura non costituiva prova del maggior numero di pratiche trattate, come allegato dalla società, ma contestate dal Comune.
Con ordinanza n. 17930/2019, pubblicata il 4.7.2019, la Corte di Cassazione accoglieva parzialmente il ricorso proposto dalla società e annullava la sentenza della Corte d’appello di Messina nella parte in cui aveva confermato la decisione prime cure anche sul capo concernente la liquidazione del corrispettivo in “quota fissa”, ritenendo erroneamente non impugnata tale statuizione.
Riassunta la causa dalla società, la Corte d’appello di Messina con sentenza n. 109/2022, pubblicata il 25.2.2022, rigettava la domanda proposta per assenza di prova.
Per la cassazione della sentenza della Corte ricorre Società RAGIONE_SOCIALE sulla base di due motivi. Il Comune di Librizzi è rimasto intimato.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 2697, 2709, 2710, 2727 e 2729 cod. civ., nonché dell’art. 116 cod. proc. civ.
La ricorrente deduce che il Comune di Librizzi in sede di opposizione al decreto ingiuntivo contestò solamente ‘il lavoro e la professionalità della società’ , ma non il numero delle pratiche lavorate. La Corte d’appello , erroneamente, ha ritenuto il credito non debitamente provato, avendo escluso il valore probatorio della fattura n. 121/2000 mai contestata prima dall’amministrazione comunale, la quale aveva provveduto all’annotazione nei suoi registri , salvo sollevare dei rilievi pretestuosi a distanza di oltre un anno dal suo ricevimento. Rilievi, questi ultimi, ampiamente contraddetti dalla C.T.U. disposta nel corso del giudizio di primo grado.
1.1. Il motivo è inammissibile.
La ricorrente nell’intestazione del motivo ha indicato una serie disposizioni, in relazione alle quali per un verso nulla ha esplicato, come nel richiamo agli artt. 2727 e 2729 cod. civ. in materia di presunzioni, mentre per altro verso l’evocazione degli artt. 2697 cod. civ. e 116 cod. proc. civ. è avvenuta in modo del tutto improprio.
1.2. Va richiamato il principio fatto proprio dalle Sezioni Unite di questa Corte, ai sensi del quale la violazione dell’articolo 2697 cod. civ. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni (v. Cass., sez. un., 5 agosto 2016, n. 16598, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto; Cass., VI-3, 23 ottobre 2018, n. 26769; sez. lav., 19 agosto 2020, n. 17313; 15 ottobre 2024, n. 26739).
Richiamato quanto si legge in Cass. 17930/2019 (alla base del giudizio di rinvio) a proposito della contestazione ‘a tutto campo’ fatta dall’amministrazione comunale, ‘volta a negare qualsiasi corrispettivo, con la conseguenza che l’onere della prova dei fatti costituivi del diritto, ossia non soltanto del corretto
adempimento del servizio ma degli elementi fattuali cui era ricollegata la determinazione del quantum, non poteva che ricadere sulla società opposta’ , la Corte d’appello si è attenuta al l’indicato schema della scomposizione della fattispecie assumendo essere tenuta la ricorrente, quale creditrice del corrispettivo per una prestazione di servizi, a dover dare la prova del fatto costitutivo della sua pretesa. Quest’ultima , come si legge nella sentenza impugnata, ‘non ha provato, né ha chiesto di provare con d ocumenti o altro, il maggior numero di pratiche evase, rispetto a quelle per cui è stato riconosciuto il compenso’.
1.3. Del pari impropriamente la ricorrente ha lamentato la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ.
Invero, n ell’ambito del ricorso per cassazione una questione di violazione o di falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (v. Cass., 10 giugno 2016, n. 11892; 8 ottobre 2019, n. 25027; 31 agosto 2020, n. 18092; 22 settembre 2020, n. 19798; Cass., sez. un., 30 settembre 2020, n. 20867).
Analogamente, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., che dà rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio, né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132, comma secondo, n. 4, cod. proc. civ. – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (v. Cass. 11892/2016 cit.).
Il motivo in esame, nel denunciare la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma primo, n., 3, cod. proc. civ. si discosta dal perimetro sopra delineato e mira scopertamente alla rivisitazione del giudizio di fatto.
1.4. La ricorrente, inoltre, in violazione dell’art. art. 366, comma primo, n. 6, cod. proc. civ., senza spiegare dove e quando lo avrebbe allegato e provvedere alla riproduzione del contenuto dell’atto processuale e della documentazione di supporto, ha riferito che la fattura in contestazione sarebbe stata annotata dall’amministrazione comunale ‘nei registri contabili’.
Sennonché, in base all’art. 366, comma primo, n. 6, cod. proc. civ. è doverosa, al fine del rispetto del principio di specificità, l’indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali si fonda il motivo e l’illustrazione del contenuto rilevante, provvedendo alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass., sez. un., 27 dicembre 2019, n. 34469; Sez, III, 16 marzo 2012, n. 4220). Per mera completezza si rileva, in fine, che nell’illustrazione del motivo al di à dell’assenza di rilievi espliciti, come già rilevato – non si rintraccia alcunché che possa ricondursi al modo di dedurre la violazione delle norme sulle presunzioni siccome indicato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 17845 del 2018 (si vedano, non risultando massimata sul punto, i paragrafi 4 e ss. della motivazione).
Con il secondo motivo si denunci a, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ogget to di discussione tra le parti.
La ricorrente si duole per l’omessa valutazione da parte della Corte d’appello dell’esito della disposta C.T.U., dalla quale era emerso che l’incarico era stato svolto nel rispetto di quanto previsto nell’offerta fatta al Comune, svolgendo il lavoro ‘con diligenza professionale’ .
2.1. Il motivo è inammissibile non corrispondendo affatto allo schema della fattispecie invocata.
Il vizio di cui all’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. nella sua attuale formulazione presuppone la sussistenza di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, non considerato dal giudice del gravame. La ricorrente non indica un fatto, ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico -naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (e in tal senso va inteso, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, v., tra le molte, Cass., sez. VI-1, ord., 26 gennaio 2022, n. 2268, il fatto cui fa riferimento il n. 5 dell’art. 360 come novellato).
La giurisprudenza di questa Corte, con indirizzo ormai unanime, ha chiarito come non rientrino nella nozione di fatto: (a) le argomentazioni o deduzioni difensive; (b) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti; (c) una moltitudine di fatti e circostanze o il vario insieme dei materiali di causa (v. Cass. civ., sez. I, ord., 29 febbraio 2024, n. 5375; Cass., sez. V, ord., 23 febbraio 2024, n. 4942; Cass., sez. III, ord., 15 febbraio 2024, n. 4163; Cass., sez. lav., ord., 22 gennaio 2024, n. 2226; Cass., sez. III, ord., 14 dicembre 2023, n. 35106).
La ricorrente ha lamentato l’omessa valutazione da parte della Corte d’appello dell’esito della disposta C.T.U. , sì che, non avendo indicato il fatto decisivo pretermesso, tale intendendosi un fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo), od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale, v. Cass. 24 gennaio 2020, n. 12387; 16 gennaio 2020, n. 791; 8 settembre 2016, n. 1776; 26 luglio 2017, n. 18391.), nei sensi sopra precisati, il motivo si configura come inammissibile in quanto piega verso un riesame del merito della decisione ben al di là del possibile controllo della motivazione limitato entro il «minimo costituzionale» ammesso dalle Sezioni Unite di questa Corte (v. Cass. civ., sez. un., 7 aprile 2014, nn. 8053/8054 ‘ è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione’ ).
3.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Nulla per le spese per essere rimasto intimato il Comune di Librizzi.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (Cass., sez. un., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della Corte