Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2009 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 2009 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 28/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 25338-2023 proposto da:
CURATELA COGNOME DI COGNOME NOME, in persona del Curatore pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE COATTA AMMINISTRATIVA, in persona del Commissario Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5992/2023 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 22/09/2023 R.G.N. 6015/2015;
Oggetto
Fallimento
R.G.N. 25338/2023
COGNOME
Rep.
Ud.05/12/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/12/2024 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
Con la sentenza n. 5447 del 2011, la Corte d’appello di Roma, I Sezione Civile, – confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva dichiarato inammissibile per indeterminatezza della domanda l’opposizione allo stato passivo della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione coatta amministrativa, proposta dalla Curatela del Fallimento di COGNOME NOME NOME. La Corte argomentava che la lettura del ricorso rendeva evidente l’indeterminatezza della domanda giustamente ritenuta dal Tribunale, per la mancanza di indicazioni specifiche sulla natura ed entità di ciascuna delle indennità vantate in relazione all’intercorso rapporto di agenzia. La Corte condivideva inoltre l’applicazione operata dal Tribunale degli articoli 164 terz’ultimo comma e 163 numeri 3 e 4 c.p.c., ritenendo che l’esigenza di determinatezza della domanda sottesa a tali disposizioni operasse anche nell’ambito del giudizio di opposizione allo stato passivo. Inoltre, si specificava che l’integrazione della domanda effettuata dall’opponente nel corso del giudizio di primo grado non poteva superare ai sensi dell’art. 164 penultimo comma c.p.c. la decadenza ormai maturata, con il decorso del termine di 15 giorni previsto per la proposizione dell’opposizione allo stato passivo dell’art. 98 della Legge fallimentare, nel testo applicabile ratione temporis . Infine, si precisava che, vertendosi in materia processuale, non poteva valere il richiamo all’art. 2969 c.c., che preclude al giudice il rilievo ufficioso della decadenza, trattandosi di disposizione che riguarda le decadenze operanti sul piano sostanziale.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14269/2015, in accoglimento del primo motivo (avente ad oggetto l’eccezione, da parte della Curatela del fallimento di COGNOME Giuseppe Antonio, della nullità della sentenza per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo della
contro
versia, lamentando che la Corte territoriale aveva giustificato la propria decisione con una motivazione meramente apparente, senza dare riscontro alle doglianze di essa appellante che aveva valorizzato la circostanza che il conteggio delle somme dovute, ritenuto mancante, fosse stato allegato all’istanza di ammissione al passivo, ritualmente prodotta) rilevava che la Corte d’appello non aveva esaminato le specifiche argomentazioni proposte dalla Curatela al fine di censurare la statuizione di inammissibilità dell’opposizione adottata dal Tribunale, con le quali si riferiva: i) che nel ricorso in opposizione era indicata la durata del rapporto di agenzia ed era specificato l’importo richiesto a titolo di indennità relative al suo scioglimento; ii) che il ricorso faceva specifico riferimento alla domanda di ammissione allo stato passivo della Firs ed ai conteggi ad essa allegati, redatti sulla base dell’Accordo Nazionale Ana-Ania del 1981, con riferimento ai dati risultanti dai documenti contabili dell’agenzia e della Firs; iii) che la domanda di ammissione ed i conteggi erano stati prodotti quali allegati al ricorso in opposizione; che tali conteggi (riprodotti alle pagg. 4 ss. del ricorso per cassazione) specificavano la natura e l’entità di ciascuna delle indennità vantate dall’opponente-appellante. La Corte di Cassazione riteneva, pertanto, che la decisione della Corte distrettuale risultava sostanzialmente priva di motivazione, non essendo state esplicitate in modo chiaro, univoco ed esaustivo le ragioni della decisione in rapporto alle censure prospettate, ma risultando solo una tautologica negazione della loro fondatezza; sottolineava, in merito alle regole che avrebbero dovuto governare il giudizio della Corte d’appello, che doveva ritenersi che le disposizioni del codice di rito avevano valenza di legge generale, rispetto alla speciale normativa prevista dalla legge fallimentare con riguardo ai procedimenti giurisdizionali in essa contemplati (principio condiviso in motivazione da Cass. S.U. n. n. 25174 del 2008), con la conseguenza che dette disposizioni generali erano applicabili anche al procedimento di opposizione allo stato passivo, in difetto di diversa previsione; riteneva la necessità di richiamare, quindi, anche con riferimento all’opposizione allo stato passivo i principi dettati dalla giurisprudenza
condivisa e consolidata in sede di legittimità riguardo al rito del lavoro secondo la quale per aversi nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per mancata determinazione dell’oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto su cui si fonda la domanda stessa, non era sufficiente l’omessa indicazione dei corrispondenti elementi in modo formale, ma era necessario che, attraverso l’esame complessivo dell’atto – che competeva al giudice del merito ed era censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione -, fosse impossibile l’individuazione esatta della pretesa dell’attore e il convenuto non avrebbe potuto apprestare una compiuta difesa, specificando che la suddetta nullità doveva essere esclusa nell’ipotesi in cui la domanda avesse per oggetto spettanze retributive, allorché l’attore avesse indicato il periodo di attività lavorativa, l’orario di lavoro, l’inquadramento ricevuto ed avesse altresì specificato la somma complessivamente pretesa e i titoli in base ai quali fossero state richieste le spettanze, rimanendo irrilevante la mancata formulazione di conteggi analitici o la mancata notificazione, con il ricorso, del conteggio prodotto dal lavoratore. Analogamente, con riferimento al rito ordinario, la Corte di Cassazione opinava che la nullità dell’atto di citazione per “petitum” omesso od assolutamente incerto, ai sensi dell’art. 164, quarto comma, cod. proc. civ., postulasse una valutazione caso per caso, dovendosi tener conto, a tal fine, del contenuto complessivo dell’atto di citazione, dei documenti ad esso allegati, nonché, in relazione allo scopo del requisito di consentire alla controparte di apprestare adeguate e puntuali difese, della natura dell’oggetto e delle relazioni in cui, con esso, si trovasse la controparte. In ossequio a tali principi, ispirati alla strumentalità delle forme processuali, la Corte di legittimità sottolineava che l’esame della Corte territoriale avrebbe dovuto avere ad oggetto il contenuto dell’atto introduttivo, integrato dai documenti ivi richiamati e ad esso allegati; ciò tanto più in quanto proprio sulla base dei documenti allegati al ricorso il credito era stato ritenuto insussistente dal Commissario liquidatore e, quindi, non ammesso al passivo della
procedura; l’omissione di tale complessiva valutazione, determinante al fine di individuare gli esatti estremi della lacuna addebitata all’opponente, era di per sé idonea a determinare la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che avrebbe dovuto procedere all’esame del contenuto complessivo del ricorso, nonché dei documenti ad esso allegati, al fine di valutare se essi rendessero possibile, o meno, la precisa individuazione della pretesa dell’attore e consentissero al convenuto di apprestare una compiuta difesa, così compiendo la valutazione che risulta omessa nella sentenza impugnata e quelle, ulteriori, eventualmente conseguenti.
Riassunto il giudizio dalla Curatela del Fallimento, la Corte di appello di Roma, espletata una consulenza tecnica di ufficio, con la sentenza n. 5992/2023, statuiva che, pur ritenendo sufficientemente determinata la domanda di opposizione allo stato passivo se letta unitamente all’istanza di ammissione, doveva rilevarsi che, sulla base della documentazione prodotta in primo grado, il credito non poteva dirsi provato in quanto, come sottolineato dal consulente tecnico di ufficio, i conteggi prodotti erano privi di qualsiasi documentazione di supporto che consentisse una seria verifica degli importi richiesti.
Avverso la sentenza di secondo grado la Curatela del RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Giuseppe Antonio proponeva ricorso per cassazione affidato a sei motivi, cui resisteva con controricorso la intimata che eccepiva, in via preliminare, la tardività del ricorso in qu anto presentato oltre i termini previsti dall’art. 99 legge fall.
Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cpc e 2697 cc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, in relazione alla ‘non contestazione dei fatti principali allegati’ e ‘all’onere di contestazione specifica del quantum della pretesa creditoria’; si eccepisce la nullità della sentenza per non essere stati
ritenuti come ‘non contestati’ i conteggi allegati alla domanda di ammissione al passivo relativi al quantum della pretesa creditoria e dunque ammessa la quantificazione delle singole voci di credito fatta valere appunto con l’istanza di ammissione al passivo.
Con il secondo motivo si censura, sempre sul dedotto profilo della ‘non contestazione’ la violazione del diritto di difesa e l’omessa pronuncia, in relazione all’art. 112 e 132 n. 4 cpc e 24 Cost, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, perché in ogni caso la Corte territoriale non si era espressa sulla questione sollevata da essa Curatela in ordine al difetto di contestazione dei conteggi e, dunque, sull’ammissione dei fatti allegati a supporto della domanda di ammissione.
Con il terzo motivo si obietta, sempre con riferimento alla ‘non contestazione’, il vizio di motivazione apparente in relazione all’art. 132 n. 4 cpc e 111 Cost. nonché l’error in procedendo , ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, per avere la Corte territoriale, con una motivazione stringata e palesemente insufficiente, ritenuto che i conteggi fossero privi di documentazione di supporto che consentisse una serie verifica degli importi richiesti.
Con il quarto motivo si lamenta, sulla presunta necessità di rimessione in termini ai fini della produzione di nuovi documenti, l’omesso giudizio di indispensabilità sui documenti prodotti in appello nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 cpc e la violazione del diritto di difesa ex art. 24 Cost, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n.3 e n. 4 cpc; si rappresenta che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto che la produzione di nuovi documenti avrebbe dovuto essere autorizzata, a seguito di una specifica istanza, senza svolgere alcun giudizio sulla effettiva indispensabilità degli stessi.
Con il quinto motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 194 cpc, con riferimento all’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, sulla presunta impossibilità di acquisire la documentazione prodotta in appello in sede di CTU contabile, riv olta all’accertamento dei crediti da lavoro, a seguito peraltro di specifica istanza formulata fin dal primo grado di giudizio di consentire all’ausiliario la ricerca dei
documenti necessari all’espletamento del mandato presso gli uffici della Firs o, in subordine, a seguito di ordine di esibizione.
Con il sesto motivo si eccepisce, ex art. 360 co. 1 n. 3 e n. 4 cpc, la nullità della sentenza per violazione degli artt. 91 e 92 cpc in tema di regole relative alle spese processuali nonché la motivazione apparente, per avere la Corte territoriale erroneamente applicato le suddette disposizioni pervenendo ad una condanna complessiva di tutti i gradi senza spiegare le ragioni delle proprie valutazioni tanto da configurare un vizio di motivazione apparente.
Preliminarmente va respinta l’eccezione di tardività del ricorso, oggetto del presente giudizio, perché presentato oltre i termini previsti dall’art. 99 u.c. legge fall.
Tale termine (trenta giorni dalla comunicazione a cura della Cancelleria) riguarda, infatti, il decreto motivato del Tribunale che abbia deciso sull’opposizione, impugnazione o revocazione proposta avverso il provvedimento che rende esecutivo lo stato passivo e non il ricorso per cassazione in riassunzione presentato avverso una sentenza della Corte di appello emessa a seguito di rinvio disposto in sede di legittimità, per il quale si applicano gli ordinari termini di impugnazione.
Ciò premesso, i primi cinque motivi, da esaminare congiuntamente per la loro interferenza, non sono fondati.
E’ opportuno premettere che, n el procedimento di opposizione allo stato passivo in cui sia costituita la procedura si applica il principio di non contestazione che, quando riguardi l’accertamento di pretese retributive di cui il ricorrente abbia fornito propri conteggi, opera distintamente, risultando irrilevante la non contestazione attinente all’interpretazione della disciplina legale o contrattuale della quantificazione, mentre rileva quella che ha ad oggetto i fatti da accertare nel processo (Cass. n. 19481/2022). Infatti, in tema di insinuazione allo stato passivo, nel valutare il conteggio dei crediti operato dal lavoratore opponente occorre distinguere tra la componente fattuale e quella normativa dei calcoli, restando irrilevante, ex art. 115 c.p.c., l’eventuale non contestazione
del curatore sull’interpretazione della disciplina legale o contrattuale, la cui cognizione rientra nel potere-dovere del giudice di qualificazione giuridica dei fatti da accertare nel processo Cass. n. 15339/2020).
Orbene, nel caso di specie, le censure proposte da parte ricorrente si sostanziano, essenzialmente, in una critica all’accertamento di fatto, congruamente motivato dai giudici di rinvio, che hanno rilevato la totale assenza di idonea documentazione relativa ai conteggi, rite et recte depositata in primo grado (pagg. 4 e 5, punti 4 e 5, della gravata sentenza).
Quanto, poi, alla produzione successivamente avvenuta in appello, in esatta applicazione dei principi di produzione di nuovi documenti in sede di gravame, ratione temporis vigenti, gli stessi sono stati considerati inutilizzabili in quanto privi del carattere di indispensabilità, atteso che questi avrebbero dovuto rivestire una influenza causale più incisiva rispetto a quella delle prove già rilevanti sulla decisione finale della controversia (Cass. n. 16745/2014; Cass. n. 15488/2020), mentre, invece, nelle fattispecie in esame, non solo vi era stata la originaria mancanza di una qualsivoglia idonea produzione posta a fondamento della pretesa, ma, anche in grado di appello e del successivo giudizio di rinvio, non erano state esplicitate le ragioni per le quali i documenti, già preesistenti, non fossero stati tempestivamente prodotti e non vi era stata una rituale richiesta onde provocare una valutazione di indispensabilità da parte del Collegio.
La totale carenza di documentazione prodotta in primo grado e di una sua tempestiva indicazione, in sede di gravame, ai fini di una sua acquisizione, non consentiva, altresì, anche una integrazione della documentazione stessa ad opera del consulente tecnico contabile.
Il sesto motivo, infine, è anche esso non meritevole di accoglimento avendo la Corte distrettuale applicato il criterio della soccombenza globale (pag. 6, punto 6, della impugnata sentenza).
Va ribadito che, in materia di attribuzione delle spese, fuori dell’ipotesi in cui sia violato il principio della soccombenza – per il quale è vietato, ai sensi dell’art 91 cod. proc civ, condannare
alle spese la parte totalmente vittoriosa – la statuizione è rimessa al criterio insindacabile del giudice di merito, senza che sia possibile alcuna censura in sede di legittimità, neppure al fine di accertare l’esistenza o meno di giusti motivi che possano consigliare, ai sensi dell’art 92 cod. proc. civ, la compensazione totale o parziale delle spese del procedimento.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 dicembre 2024