Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 17976 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 17976 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 11784/2024 proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME e domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione;
-ricorrente –
contro
Regione Campania, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Napoli n. 223/2024, pubblicata il 22 gennaio 2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha proposto appello contro la decisione del Tribunale di Napoli che, nel contraddittorio delle parti, aveva respinto la domanda con la quale egli aveva chiesto di accertare e dichiarare, in relazione all’attività di Responsabile Unico del Procedimento svolta negli incarichi descritti in ricorso,
che aveva maturato un credito nei confronti della Regione Campania di € 434.686,98, con condanna della Regione a pagare il dovuto.
A sostegno della domanda aveva allegato di essere stato dipendente della Regione Campania con qualifica di Capo settore CIA e di essere stato nominato responsabile del procedimento con decreto dirigenziale n. 1032 del 2005, assumendo anche il ruolo di responsabile dei lavori, con la conseguenza che aveva diritto al compenso incentivante previsto dall’art. 18 della legge n. 109 del 1994, sostanzialmente confluito nell’art. 92, comma 5, del d.lgs. n. 163 del 2006.
La Corte d’appello di Napoli, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 223/2024, ha rigettato il gravame.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
La Regione Campania si è difesa con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c. in quanto la corte territoriale non avrebbe tenuto conto che, relativamente alla sua qualifica di RUP e di Responsabile dei lavori, in ordine ai lavori interessati e alla natura dei relativi incarichi si era ormai formato il giudicato, essendosi pronunciato sul punto il Tribunale di Napoli con statuizione non impugnata.
La censura è inammissibile.
Innanzitutto, difetta di specificità, in quanto nel ricorso è riportata una parte minima della sentenza di primo grado, dalla quale non è dato comprendere la portata della statuizione del Tribunale di Napoli che, comunque, aveva respinto il ricorso.
Inoltre, si osserva che, in tema di appello, la mancata impugnazione di una o più affermazioni contenute nella sentenza può dare luogo alla formazione del giudicato interno soltanto se le stesse siano configurabili come capi completamente autonomi, risolutivi di questioni controverse che, dotate di propria individualità ed autonomia, integrino una decisione del tutto
indipendente, e non anche quando si tratti di mere argomentazioni, oppure della valutazione di presupposti necessari di fatto che, unitamente agli altri, concorrano a formare un capo unico della decisione (Cass., Sez. 3, n. 27246 del 21 ottobre 2024).
Nella specie, nessuno degli elementi indicati dal ricorrente costituisce un capo autonomo della decisione, trattandosi, al massimo, di circostanze di fatto che, non da sole, ma assieme ad altre, avrebbero potuto, in via astratta, legittimare la sua domanda.
Peraltro, il giudice di appello ha rigettato il gravame principalmente soprattutto perché ha rilevato che, quanto al primo incarico, il compenso erogato era esaustivo mentre, in ordine a quelli successivi, difettavano in generale i presupposti di legge del diritto azionato.
In particolare, per gli incarichi ulteriori, le allegazioni difensive concernenti l’opera, i lavori da realizzare e il compenso erano generiche e, comunque, il regolamento regionale da applicare era posteriore al loro conferimento.
Con il secondo motivo il ricorrente contesta la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115, 416, 436 e 437 c.p.c., atteso che la corte territoriale non avrebbe fatto corretta applicazione del principio di non contestazione.
In particolare, critica l’affermazione di controparte, contenuta nella sua memoria difensiva di appello, con la quale essa aveva evidenziato che non era stata fornita allegazione e prova degli elementi costitutivi della pretesa azionata, sostenendone la tardività.
In ogni caso, il relativo onere della prova avrebbe dovuto essere posto a carico di controparte, in ragione del principio di vicinanza della prova.
La deduzione è inammissibile, considerato che, fra le varie rationes decidendi della decisione di appello, vi è quella concernente la genericità delle allegazioni difensive del ricorrente, che ha carattere preliminare rispetto a ogni discorso concernente la ripartizione dell’onere della prova e che è rilevabile d’ufficio dal giudice.
Inoltre, sulla base di questa premessa, non avrebbe potuto operare, nella specie, il principio di non contestazione, venendo in rilievo deduzioni generiche.
Infatti, in tema di principio di non contestazione, il relativo onere, in ordine ai fatti costitutivi del diritto, si coordina con l’allegazione dei medesimi e, considerato che l’identificazione del tema della decisione dipende in pari misura dall’allegazione e dall’estensione delle relative contestazioni o non contestazioni, ne consegue che l’onere di contribuire alla fissazione del thema decidendum opera identicamente rispetto all’una o all’altra delle parti in causa, sicché, a fronte di una generica deduzione da parte del ricorrente, la difesa della parte resistente non può che essere altrettanto generica e, dunque, idonea a far permanere gli oneri probatori gravanti sulla controparte (Cass., Sez. 1, n. 10629 del 19 aprile 2024).
Con il terzo motivo il ricorrente contesta la nullità della sentenza per vizio della motivazione, in quanto avrebbe recepito acriticamente le conclusioni del CTU.
Soprattutto, la corte territoriale non avrebbe spiegato il motivo per il quale sarebbe stata ritenuta inidonea la documentazione da lui prodotta e sarebbe stata superata la sua richiesta di acquisire informazioni presso la Regione Campania.
Inoltre, non avrebbe risposto alle critiche del suo CTP.
La censura è inammissibile perché non idonea a superare la valutazione di genericità delle allegazioni della parte.
Peraltro, si evidenzia che, nel ricorso, le contestazioni mosse alla CTU in appello sono riportate in maniera non specifica, rendendo impossibile ogni loro valutazione.
Il ricorso è dichiarato inammissibile.
Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
La Corte,
dichiara inammissibile il ricorso;
-condanna il ricorrente a rifondere le spese di lite, che liquida in € 12.000,00 per compenso ed € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%;
-ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 21