Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2085 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2085 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9585/2021 proposto da:
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME pec EMAIL;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, incorporante per fusione di RAGIONE_SOCIALE, nuova denominazione sociale di RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato AVV_NOTAIO;
– controricorrente –
NOME COGNOME;
– intimato –
avverso la sentenza n. 124/2021 della CORTE D’APPELLO DI ROMA AQUILA, depositata il 25/01/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6/12/2023 dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME;
Ritenuto che,
con sentenza resa in data 25/1/2021, la Corte d’appello di L’Aquila ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME per la condanna di NOME COGNOME al risarcimento dei danni derivati dal preteso inesatto e negligente adempimento, da parte di quest’ultimo, delle proprie obbligazioni connesse all’incarico di commercialista allo stesso affidato dal COGNOME;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come del tutto correttamente il primo giudice avesse rilevato la mancata dimostrazione, da parte del COGNOME, degli inadempimenti contestati a carico del COGNOME, con il conseguente inevitabile rigetto della relativa domanda e la conseguente condanna dello stesso al rimborso delle spese dei due gradi del giudizio di merito;
avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d’impugnazione;
la RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, chiamata in causa dal COGNOME a fini di manleva) resiste con controricorso;
NOME COGNOME non ha svolto difese in questa sede;
NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memoria;
considerato che,
dev’essere preliminarmente disattesa l’eccezione di improcedibilità del ricorso sollevata dalla RAGIONE_SOCIALE alla pag. 3-4 del controricorso, avendo il ricorrente tempestivamente e ritualmente depositato la documentazione ivi indicata;
con il primo motivo, il ricorrente si duole della nullità della sentenza impugnata per motivazione apparente ed apodittica, nonché per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 nn. 4 e 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale disatteso il gravame proposto dal COGNOME sull’errato presupposto concernente il mancato assolvimento dell’onere probatorio relativo all’attestazione della responsabilità contrattuale del COGNOME e dei danni derivati dal relativo inadempimento, dovendo ritenersi già acquisiti, agli atti del giudizio, gli estremi documentali idonei a consentire una valutazione positiva in ordine alla sottrazione del COGNOME ai propri obblighi contrattuali e ai danni conseguiti da tale presupposto: estremi documentali nella specie totalmente trascurati da parte del giudice a quo ;
il motivo è infondato;
osserva il Collegio come, ai sensi dell’art. 132, n. 4, c.p.c., il difetto del requisito della motivazione si configuri, alternativamente, nel caso in cui la stessa manchi integralmente come parte del documento/sentenza (nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere, siccome risultante dallo svolgimento processuale, segua l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione), ovvero nei casi in cui la motivazione, pur formalmente comparendo come parte del documento, risulti articolata in termini talmente contraddittori o incongrui da non consentire in nessun modo di individuarla, ossia di riconoscerla alla stregua della corrispondente giustificazione del decisum ;
infatti, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto , poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili;
in ogni caso, si richiede che tali vizi emergano dal testo del provvedimento, restando esclusa la rilevanza di un’eventuale verifica conAVV_NOTAIOa sulla sufficienza della motivazione medesima rispetto ai contenuti delle risultanze probatorie ( ex plurimis , Sez. 3, Sentenza n. 20112 del 18/09/2009, Rv. 609353 – 01);
ciò posto, nel caso di specie, è appena il caso di rilevare come la motivazione dettata dalla corte territoriale a fondamento della decisione impugnata sia, non solo esistente, bensì anche articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente il percorso logico, avendo la corte d’appello dato conto, in termini lineari e logicamente coerenti, dei contenuti ascrivibili alle fonti di prova esaminate e del grado della relativa attendibilità sulla base di criteri interpretativi e valutativi dotati di piena ragionevolezza e congruità logica;
l’ iter argomentativo compendiato dal giudice a quo sulla base di tali premesse è pertanto valso a integrare gli estremi di un discorso giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, come tale del tutto idoneo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dal ricorrente;
quanto alla pretesa sussistenza del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. -premessa l’inammissibilità dell’evocazione di tale vizio in caso di c.d.
doppia decisione conforme di merito (come nel caso di specie) ai sensi dell’art. 348ter c.p.c. -osserva il Collegio che nel caso in esame (relativo all’impugnazione di una sentenza pubblicata dopo la data del 11/9/12) trova applicazione il nuovo testo dell’art. 360, n. 5, c.p.c. (quale risultante dalla formulazione dell’art. 54, co. 1, lett. b), del d.l n. 83/2012, conv., con modif., con la legge n. 134/2012), ai sensi del quale la sentenza è impugnabile con ricorso per cassazione ‘per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’ ;
secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, tale norma, se da un lato ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della motivazione in sé (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la Corte di cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo , di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Sez. 2 – , Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018, Rv. 651028 – 01);
dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, l’odierna doglianza del ricorrente deve ritenersi inammissibile anche perché diretta a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360 n. 5 cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede;
con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 88, 91 e 92 c.p.c., nonché per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente disatteso il gravame proposto dal COGNOME avverso la relativa condanna al rimborso, in favore della RAGIONE_SOCIALE, delle spese relative al primo grado di giudizio, nonostante l’evidente difetto di causalità tra la chiamata in causa della compagnia assicuratrice, da parte del COGNOME e la proposizione dell’originaria azione risarcitoria del COGNOME, non avendo il giudice d’appello (così come il giudice di primo grado) considerato l’intercorsa conclusione, tra il RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, prima della chiamata in causa di quest’ultima, di una transazione con la quale dette parti avevano determinato l’integrale estinzione del rapporto di garanzia;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio -ferma la già rilevata inammissibilità dell’evocazione del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. in caso di doppia
decisione conforme di merito ai sensi dell’art. 348ter c.p.c. -come, con riguardo al vizio di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c., il ricorrente abbia prospettato una pretesa falsa applicazione delle norme sulla regolazione delle spese di lite in forza di una ricostruzione dei fatti di causa del tutto diversa rispetto a quella fatta propria dal giudice di merito;
ciò posto, appare del tutto evidente l’impossibilità di procedere al riconoscimento di un vizio di falsa applicazione di legge (in senso proprio) là dove il ricorrente prospetti una ricostruzione della fattispecie concreta diversa da quella operata dal giudice a quo , poiché, in tal caso, non già di una falsa applicazione di legge si tratterebbe, bensì di un differente apprezzamento degli elementi probatori acquisiti e, conseguentemente, dell’evocazione di un vizio di motivazione al di fuori dei ristretti limiti imposti dall’art. 360 n. 5 c.p.c. per la relativa denuncia;
peraltro, pur quando volesse procedersi alla verifica dell’eventuale ricorso di un vizio rilevante ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., occorre rilevare il mancato assolvimento, da parte del ricorrente, degli oneri di puntuale e completa allegazione del ricorso imposti dall’art. 366 n. 6 c.p.c., non avendo il COGNOME provveduto a richiamare o allegare nella loro interezza i contenuti della transazione intercorsa tra il RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE anche al fine di riscontrare l’eventuale decisività del denunciato preteso omesso esame di tale atto negoziale da parte del giudice a quo , in particolare sotto il profilo dell’eventuale possibilità, per il COGNOME, di far valere pretese o ragioni particolari nei confronti della propria assicurazione non coperte dalla transazione (come peraltro desumibile dagli stessi contenuti del controricorso della RAGIONE_SOCIALE: cfr pag. 9 del controricorso);
con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente disposto la condanna del COGNOME al rimborso delle spese relative al grado di appello in favore di RAGIONE_SOCIALE, in assenza di alcuna integrale soccombenza del primo, avendo il giudice d’appello disatteso talune delle eccezioni preliminari avanzate dalla compagnia assicuratrice al fine di paralizzare l’impugnazione dell’odierno ricorrente, con la conseguente erroneità dell’omessa compensazione delle spese in ragione della reciprocità della soccombenza;
il motivo è inammissibile;
osserva preliminarmente il Collegio come l’odierno ricorrente abbia prospettato la censura in esame sulla base di una nozione di ‘ soccombenza reciproca ‘ giuridicamente errata, dovendo trovare applicazione, al riguardo, l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità alla cui stregua la nozione di soccombenza reciproca che consente la compensazione parziale o totale delle spese processuali, sottende – anche in relazione al principio di causalità – una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate, che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti, ovvero l’accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, allorché essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri (Sez. U, Sentenza n. 32061 del 31/10/2022);
ferma tale premessa, deve ritenersi in ogni caso dirimente, ai fini del riscontro dell’inammissibilità della censura in esame, il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità ai sensi del quale, in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato
uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se aAVV_NOTAIOata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Sez. U, Sentenza n. 14989 del 15/07/2005, Rv. 582306 -01 e successive conformi);
sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, deve essere pronunciato il rigetto del ricorso; le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 5.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione