Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6982 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6982 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 32788/2019
promosso da
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al ricorso per cassazione;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari n. 2005/2019, pubblicata il 25/09/2019 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/10/2023 dal Consigliere NOME COGNOME; letti gli atti del procedimento in epigrafe.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 25/01/2002 la RAGIONE_SOCIALE (poi RAGIONE_SOCIALE e, da ultimo, RAGIONE_SOCIALE) conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Foggia la Banca Commerciale s.p.a. (successivamente Banca RAGIONE_SOCIALE s.p.a. e, da ultimo, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a.), per sentire dichiarare l’invalidità parziale di alcuni contratti di apertura di credito e di conto corrente che prevedevano interessi anatocistici capitalizzati trimestralmente, con conseguente ricostruzione del rapporto dareavere e condanna della banca al pagamento delle somme indebitamente addebitate o riscosse unitamente agli interessi legali.
Nel contraddittorio delle parti, veniva disposta CTU, all’esito della quale la ausa veniva rimessa in decisione.
Con sentenza n. 677/2011, il Tribunale di Foggia rigettava la domanda per il mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte della correntista, con compensazione delle spese di lite.
Quest’ultima proponeva appello, censurando il giudizio espresso dal Tribunale in ordine alla inidoneità probatoria degli estratti conto scalari, evidenziando che il CTU aveva comunque ritenuto possibile determinare con esattezza le somme indebitamente percepite dalla banca sulla scorta dei documenti in atti, aggiungendo che non aveva rilievo il fatto che mancassero gli estratti conto relativi al periodo anteriore al 1991, perché la domanda di ripetizione era stata proposta con riferimento a un arco temporale che partiva proprio dal 1991. L’appellante chiedeva, inoltre, che gli interessi venissero calcolati senza capitalizzazione e che venisse pronunciata la nullità parziale dei contratti in questione.
La Corte d’appello, nel contraddittorio delle parti, chiedeva chiarimenti al CTU per spiegare i criteri utilizzati per calcolare interessi e CMS nei tre anni 1991-1993, in relazione ai quali erano stati acquisiti solo estratti conto scalari, per rispondere ai rilievi della banca a proposito delle commissioni di massimo scoperto e del tasso creditore e per svolgere un supplemento di indagine escludendo ogni forma di capitalizzazione.
Depositata la consulenza integrativa, in seguito al deposito degli scritti difensivi, la Corte d’appello riformava la decisione di primo grado, dichiarando la nullità parziale del contratto di conto corrente n. 4316570.01.71 e dei conti ad esso collegati, in relazione alla pattuizione della capitalizzazione trimestrale degli interessi, e condannava la banca a restituire alla correntista la somma di € 356.503,73, oltre interessi legali dalla data della domanda, unitamente alle spese di lite e di CTU di entrambi i gradi di giudizio.
Avverso tale decisione la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi di ricorso.
Si è difesa con controricorso la RAGIONE_SOCIALE.
Parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis .1 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza impugnata ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., in relazione agli artt. 99 e 112 c.p.c., per aver il giudice d’appello, a fronte di una domanda giudiziale avente ad oggetto solo la contestazione anatocistica, recepito gli esiti di una consulenza tecnica che ha riesaminato e ricalcolato anche tassi passivi, CMS, valuta e spese del conto principale e dei conti accessori, riconoscendo alla parte attrice un bene della vita più ampio di quello richiesto.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in relazione agli artt. 2697 c.c., 2033 c.c. e 112 c.p.c., per
avere il giudice di appello posto l’onere probatorio a carico della parte convenuta in giudizio, facendo erroneamente discendere dalla insufficienza della documentazione prodotta dal correntista, una pronuncia di condanna del convenuto, anziché di rigetto della domanda.
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in relazione agli artt. 2697 c.c., 136, 177, 157, 191 e 195 c.p.c., per avere il giudice d’appello erroneamente fatto discendere, dalla decadenza della parte convenuta dalla facoltà di proporre rilievi alla consulenza tecnica, la conclusione circa il raggiungimento dell’onere probatorio da parte dell’attore e l’intangibilità delle conclusioni raggiunte dal CTU.
Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in relazione agli artt. 2934, 2935 c.c. e 112 c.p.c., per avere il giudice d’appello respinto l’eccezione di prescrizione dell’azione di ripetizione formulata dalla Banca, facendo decorrere il relativo termine dalla chiusura del conto, piuttosto che dalle rimesse solutorie.
2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Parte ricorrente ha dedotto che la decisione impugnata è viziata perché ha recepito la consulenza tecnica d’ufficio che ha rettificato (anche) la valuta, commissioni di massimo scoperto e tassi del conto principale e dei conti accessori (p. 12 del ricorso per cassazione), come pure esplicitato a p. 9 della relazione peritale depositata in grado di appello, mentre invece avrebbe dovuto limitarsi ad individuare le somme derivanti dalla capitalizzazione trimestrale degli interessi, essendo la domanda incentrata solo sulla prospettazione di tale causa di invalidità parziale dei contratti inerenti il rapporto bancario in questione.
Si deve tuttavia tenere presente che la Corte d’appello ha posto due distinti argomenti a sostegno della decisione sul punto adottata.
In primo luogo, la menzionata Corte ha affermato la tardività delle censure mosse con la comparsa conclusionale, in quanto ritenute attinenti al merito tecnico dell’indagine peritale, da formulare nella prima difesa utile secondo quanto previsto dall’art. 157 c.p.c.
In secondo luogo, la stessa Corte ha rilevato che il CTU si è attenuto al quesito postogli, finalizzato alla esclusione di ogni forma di capitalizzazione degli interessi, precisando quanto segue: «Ed infatti, dal raffronto tra gli allegati alla relazione integrativa di CTU, costituiti dai prospetti relativi agli anni dal 1994 al 1999, e quelli allegati alla CTU espletata in primo grado, è dato evincere che il calcolo è stato operato considerando le medesime date di valuta (in base ai documenti contrattuali a disposizione) e le medesime voci di addebito/credito, dovendo necessariamente essere ricalcolati interessi e commissione di massimo scoperto, come pattuiti, onde epurarli dalla capitalizzazione annuale» (p. 7 della sentenza impugnata).
In altre parole, la Corte territoriale ha evidenziato che, una volta accertata l’indebita capitalizzazione trimestrale degli interessi, ai fini del ricalcolo, strumentale alla restituzione delle somme non dovute, il CTU ha dovuto necessariamente operare un riconteggio, epurando gli importi capitalizzati trimestralmente, incidenti ovviamente sull’ammontare delle somme poi annotate a titolo di interessi e di commissioni di massimo scoperto, pur applicando gli interessi e le commissioni ‘come pattuiti’ e alle stesse date di valuta.
La censura non si è confrontata con quest’ultima argomentazione e dunque deve ritenersi inammissibile.
Com’è noto, infatti, qualora la sentenza del giudice di merito si basi su due distinte rationes decidendi , ciascuna di per sé sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, colui che impugna per cassazione tale sentenza ha l’onere di impugnarle entrambe, a pena di inammissibilità del ricorso, in quanto l’eventuale accoglimento del motivo di ricorso avverso una di esse non potrebbe comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione (cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 17182 del 14/08/2020)
Nessuno specifico riferimento è, inoltre, compiuto a concreti interventi sulle risultanze del conto non riconducibili all’operazione di ricalcolo come sopra effettuata, sicché, per il resto, la censura deve ritenersi del tutto generica.
3. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Parte ricorrente ha censurato la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto di poter accogliere la domanda della correntista anche in assenza di completa produzione della documentazione comprovante le operazioni annotate, per mancanza degli estratti conto relativi al periodo iniziale del rapporto di conto corrente, affermando che poteva tenersi come punto di partenza quel saldo passivo risultante dall’estratto del conto più risalente nel tempo (p. 10 della sentenza impugnata).
3.1. Proprio in base alle regole di riparto dell’onere della prova occorre tuttavia distinguere le conseguenze della mancata documentazione delle movimentazioni del conto a seconda che ad agire sia la banca (per il pagamento del saldo a debito del correntista) o il correntista (per ottenere la restituzione delle somme pagate e non dovute).
Secondo un orientamento ormai consolidato, infatti, ove sia la banca ad agire in giudizio e il primo degli estratti conto prodotti rechi un saldo iniziale a debito del cliente, è consentito valorizzare tutte le prove atte a fornire indicazioni certe e complete che diano
giustificazione del saldo maturato al principio del periodo per cui risultano prodotti gli estratti conto; è possibile, poi, prendere in considerazione quegli ulteriori elementi che, pur non fornendo indicazioni atte a ricostruire l’evoluzione del rapporto, consentono quantomeno di escludere che il correntista, nel periodo per cui gli estratti sono mancanti, abbia maturato un indeterminato credito, piuttosto che un debito, nei confronti della banca; in quest’ultima ipotesi è possibile assumere, come dato di partenza per la rielaborazione delle successive operazioni documentate, il saldo zero; in mancanza di elementi nei due sensi indicati, la domanda andrà respinta per il mancato assolvimento dell’onere della prova incombente sulla banca che ha intrapreso il giudizio (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 11543 del 02/05/2019).
Ove invece sia il correntista ad agire in giudizio per la ripetizione e il primo degli estratti conto prodotti rechi un saldo iniziale a suo debito, è del pari legittimo ricostruire il rapporto con le prove che offrano indicazioni certe e complete e che diano giustificazione del saldo riferito a quel momento. È inoltre possibile prendere in considerazione quegli ulteriori elementi che consentano di affermare che il debito nel periodo non documentato sia inesistente o inferiore al saldo iniziale del primo degli estratti conto prodotti, o che addirittura in quell’arco di tempo sia maturato un credito per il cliente stesso. In mancanza di elementi nei due sensi indicati dovrà assumersi, come dato di partenza per le rielaborazioni delle successive operazioni documentate, il detto saldo (così Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 11543 del 02/05/2019; v. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 37800 del 27/12/2022; cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 35979 del 07/12/2022).
Il totale rigetto della domanda, nella prima ipotesi, e non nella seconda, si spiega facilmente perché, ove la banca è attrice, essa deve fornire una base certa per la rielaborazione del conto e tale base non è offerta se la medesima non riesce ad eliminare
l’incertezza quanto al fatto che al momento iniziale del periodo rendicontato il correntista potesse essere creditore di un importo di indeterminato ammontare; ove la banca assume la veste di convenuta invece, è il correntista a dover dissolvere l’incertezza relativa al pregresso andamento del rapporto, sicché, in assenza di contrari riscontri, la base di calcolo potrà attestarsi sul saldo iniziale del primo degli estratti conto acquisiti al giudizio, che, nel quadro delle risultanze di causa, è il dato più sfavorevole allo stesso attore (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 11543 del 02/05/2019).
Diverso è, naturalmente, il caso in cui tanto la banca che il correntista si facciano attori, in modo che nella medesima causa si fronteggino due diverse domande, l’una spiegata in via principale e l’altra in via riconvenzionale (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 22387 del 05/08/2021 e Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 23852 del 29/10/2020).
3.2. Nel caso di specie il giudice di merito si è uniformato ai principi sopra menzionati, nella parte della decisione censurata con il motivo in esame, ove, a fronte della sola domanda del correntista, ha preso in considerazione l’estratto conto più risalente che recava una esposizione a debito del correntista, da quest’ultimo non contestata.
Il terzo motivo è inammissibile.
4.1. Dalla lettura della sentenza impugnata si evince chiaramente che, contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, la Corte di merito non si è trincerata dietro l’allegazione di una tardiva critica della banca, per non rispondere alla censura relativa alla prospettata inattendibilità del ‘metodo sintetico’ di calcolo utilizzato con riferimento al periodo 1991-1993, in presenza dei soli scalari di conto corrente. La Corte di appello ha, infatti, esaminato nel merito le censure della ricorrente relative a tale metodo, evidenziando il procedimento in concreto impiegato e le ragioni che
l’hanno indotta a recepirne i risultati (p. 11 della sentenza impugnata).
4.2. Inoltre, occorre tenere presente che, ai fini della prova del pagamento suscettibile di restituzione, non dopo qualche incertezza, il giudice di legittimità si è consolidato nel ritenere che il correntista che agisce in giudizio per la ripetizione non è tenuto a documentare le singole rimesse suscettibili di restituzione solo mediante la produzione di tutti gli estratti conto periodici, ben potendo la prova dei movimenti desumersi aliunde , vale a dire attraverso le risultanze di altri mezzi di prova in grado di fornire indicazioni certe e complete, ed anche ricorrendo all’ausilio di una consulenza d’ufficio (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 20621 del 19/07/2021; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 29190 del 21/12/2020).
Si è, in particolare, affermato che gli estratti conto non forniscono la prova legale di fatti relativi al rapporto di conto corrente, i quali sono suscettibili di prova libera, potendo anche essere dimostrati da argomenti di prova o elementi indiretti, che compete al giudice di merito valutare nell’ambito del suo prudente apprezzamento (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 29190 del 21/12/2020; v. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 22290 del 25/07/2023).).
L’estratto conto, quale atto riassuntivo delle movimentazioni del conto corrente, può senza dubbio offrire la prova del saldo del conto stesso, in combinazione con le eventuali controdeduzioni di controparte e le ulteriori risultanze processuali, ma se tali movimentazioni sono ricavabili anche da altri documenti, come i cosiddetti riassunti scalari, attraverso la ricostruzione operata dal consulente tecnico d’ufficio, secondo l’insindacabile accertamento in fatto del giudice di merito, ciò è sufficiente alla integrazione della prova di cui il correntista richiedente è onerato (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 10293 del 18/04/2023).
Nella specie, la Corte di merito ha preso atto della allegazione della banca in ordine all’unicità del rapporto intercorso sul c/c il n. 4316570.01.71 e alla pattuizione dell’anatocismo (p. 7 della sentenza impugnata) e, acquisiti gli estratti scalari, ha fatto proprio il metodo sintetico utilizzato nella disposta CTU per individuare gli importi addebitati in conto, spiegandone le ragioni.
Ogni critica a tale giudizio di fatto attiene alla valutazione di merito operata dal giudice, come tale non censurabile in cassazione.
5. Il quarto motivo di ricorso è infondato.
Parte ricorrente ha dedotto di non avere mai affermato che il riferimento alla natura ripristinatoria delle rimesse in qualche suo atto, ove esistente, poteva essere frutto di un errore materiale o di trascrizione e comunque era irrilevante, essendo comunque correttamente proposta l’eccezione di prescrizione.
5.1. Questa Corte ha ritenuto, in tema di rapporti di conto corrente bancario, che, qualora a fronte di un’azione di ripetizione dell’indebito esercitata dal correntista la banca convenuta eccepisca la prescrizione del diritto di credito sul presupposto della natura solutoria delle rimesse, l’esistenza di un contratto di apertura di credito che consenta di attribuire semplice natura ripristinatoria della provvista alle rimesse oggetto della ripetizione dell’indebito e, conseguentemente, di far decorrere il termine di prescrizione a far data dalla chiusura del rapporto, costituisce una eccezione in senso lato, come tale rilevabile d’ufficio dal giudice anche in grado di appello, purché l’affidamento risulti dai documenti legittimamente acquisiti al processo o dalle deduzioni contenute negli atti difensivi delle parti (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 20455 del 17/07/2023).
5.2. Nella specie, è la stessa ricorrente che, nel descrivere lo svolgimento del processo, ha riportato le conclusioni della correntista, contenute nell’atto di citazione, ove era richiesta la declaratoria di nullità parziale dei singoli contratti di apertura di
credito e di conto corrente oggetto del rapporto tra l’attrice e l’istituto di credito convenuto (p. 4 del ricorso per cassazione).
Anche la sentenza impugnata riporta tali richieste dell’attrice in primo grado e, nella parte in cui menziona le difese dell’istituto di credito, reca la seguente precisazione: «…In via gradata la banca ribadisce l’intervenuta decorrenza del termine prescrizionale decennale dalla data di estinzione del conto, qualora i versamenti abbiano avuto solo finzioni ripristinatorie della provvista, così come accaduto palesemente e documentalmente nella fattispecie.» (p. 5 della sentenza impugnata).
La controricorrente ha richiamato nel controricorso le allegazioni difensive della convenuta, presenti nella comparsa di risposta in appello, di identico contenuto, producendo anche il relativo atto (doc. 4 fasc. controricorrente)
Deve pertanto ritenersi acquisito al processo che le rimesse operate in conto avessero natura ripristinatoria e che correttamente la Corte d’appello abbia escluso la prescrizione del credito restitutorio azionato nel 2002 con riferimento ad un conto che ha operato fino al 02/12/1999.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
Le spese di lite seguono la soccombenza.
In applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
P.Q.M. la Corte
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla controricorrente, che liquida in € 7.000,00 per compenso, oltre € 200,00 per esborsi ed accessori di legge;
dà atto, in applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione