Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3310 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3310 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 31342/2019 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Ronchi dei Legionari (GO), alla INDIRIZZO, in persona della legale rappresentante NOME COGNOME, rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta a margine del ricorso, da ll’ AVV_NOTAIO, con cui elettivamente domicilia presso il suo indirizzo telematico EMAIL.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, con sede legale in Milano, alla INDIRIZZO, in persona del procuratore speciale AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, da ll’ AVV_NOTAIO, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO .
-controricorrente –
avverso la sentenza, n. cron. 514/2019, della CORTE DI APPELLO DI TRIESTE pubblicata il giorno 18/07/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno
27/10/2023 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto notificato il 26 giugno 2013, RAGIONE_SOCIALE citò, innanzi al Tribunale di Gorizia, RAGIONE_SOCIALE, con la quale aveva intrattenuto un rapporto di conto corrente affidato, chiedendo dichiararsi: i ) la invalidità e/o nullità parziale dei contratti di apertura di credito e di conto corrente oggetto del rapporto suddetto in relazione alle clausole di pattuizione di interesse anatocistico trimestrale degli interessi a debito ed alla indeterminatezza dei tassi di interesse praticati dalla banca; ii ) il carattere indebito delle spese addebitate (tra cui la commissione di massimo scoperto) e l’esistenza in conto corrente di addebiti non documentati. Domandò, conseguentemente, previa determinazione dell’esatto dare-avere tra le parti, la condanna del menzionato istituto di credito alla restituzione delle somme indebitamente addebitate e riscosse, oltre gli interessi, con riserva del risarcimento del maggior danno.
1.1. Si costituì la convenuta, eccependo l’intervenuta decadenza e/o prescrizione quanto ai pagamenti eseguiti dall’attrice nei dieci anni anteriori alla notifica dell’atto di citazione e concluse per il rigetto delle avverse istanze.
1.2. L’adito tribunale sollevò di ufficio la questione di nullità del contratto di conto corrente per mancanza della forma scritta ad substantiam e dei contratti di apertura di credito collegati, sulla quale le parti furono invitate a dedurre. Successivamente, disposta ed espletata una c.t.u. contabile, il medesimo tribunale, con sentenza del 2 gennaio 2018, n. 2: a ) dichiarò la nullità del contratto di conto corrente affidato mediante scopertura e dei contratti di apertura di credito allo stesso collegati per mancanza della forma scritta ad substantiam ; b ) accertò che il saldo del conto corrente suddetto, alla data di sua chiusura (1.12.2010), doveva intendersi a credito della RAGIONE_SOCIALE per € 158.690,27 e condannò RAGIONE_SOCIALE alla
restituzione di detta somma, oltre agli interessi legali dalla data di chiusura al saldo effettivo.
Pronunciando sui gravami, principale ed incidentale, promossi avverso questa decisione, rispettivamente, da RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE, l’adito Corte di appello di Trieste, con sentenza del 18 luglio 2019, n. 514, ne accolse il primo, respingendone il secondo, e rigettò le domande formulate da RAGIONE_SOCIALE, che condannò alla restituzione di quanto ricevuto, per capitale interessi e spese, in esecuzione della sentenza del tribunale ed al pagamento delle spese del doppio grado.
2.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte: i ) osservò che « la ‘rilevazione’ ex officio delle nullità negoziali (Cass. Civ. Sez. Unite Sent. 12/12/2014, n. 126242) sotto qualsiasi profilo, anche diverso da quello allegato dalla parte, ed altresì per lei ipotesi di nullità speciali o “di protezione”, è sempre obbligatoria, purché la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata ‘ragione più liquida”, e va intesa come indicazione alle parti di tale vizio. Nel caso di specie, la parte attrice in primo grado ha formulato domanda di nullità parziale dei contratti di conto corrente e di apertura del credito in relazione alle clausole di pattuizione dell’interesse anatocistico trimestrale degli interessi a debito ed indeterminatezza dei tassi praticati e indebito addebito delle spese compresa la clausola di massimo scoperto. Aveva pertanto contestato vizi relativi al contratto non al rapporto intercorso tra le parti. Come sostenuto dalla stessa appellata, ha formulato domanda di ripetizione di indebito pagamento, tanto che a riguardo ha censurato la sentenza proponendo appello incidentale, nella parte in cui ha determinato il saldo di conto corrente. La prova dell’esistenza della clausola contrattuale in punto interessi debitori, anatocistici. c.m.s., di cui si chiede la declaratoria di nullità non può prescindere dalla produzione in giudizio del contratto di conto corrente, poiché il giudice solo attraverso l’esame del testo contrattuale può accertare che il contratto effettivamente la contiene nei termini indicati da chi agisce e può valutarne la validità o la eventuale invalidità. Spetta, pertanto, al correntista fornire la prova della fondatezza della propria domanda attraverso la produzione in giudizio del documento
contrattuale relativo al rapporto di conto corrente, al fine di consentire la valutazione sul contenuto e sulla validità delle clausole contestate, nonché dei relativi estratti conto. È pacifico, come anche evidenziato dal giudice di prime cure, che nessun contratto è stato prodotto dall’attrice, odierna appellata, con la conseguenza che la stessa non ha assolto all’onere probatorio a proprio carico »; ii ) opinò che « La mancata produzione, poi, non può essere supplita né dall’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. rivolto alla banca, considerato che tale istanza deve ritenersi inammissibile qualora l’ordine abbia ad oggetto documenti direttamente accessibili alla parte ex art. 119 TUB, ossia documenti che la parte, nel diligente assolvimento dell’onere probatorio su di essa gravante, avrebbe dovuto previamente acquisire in via stragiudiziale, e dunque allegare agli atti di causa; né dalla consulenza tecnica d’ufficio svolta senza considerare la esistenza ed il contenuto delle pattuizioni delle parti. Nell’azione di ripetizione di indebito grava, invero, sull’attore l’onere di fornire la prova della mancanza della causa debendi, nonché dell’avvenuto pagamento e del collegamento causale tra l’inesistenza della causa e pagamento. L’attrice in primo grado non ha prodotto gli atti posti a fondamenti delle proprie domande e nulla ha dedotto in merito al contenuto delle clausole di cui ha chiesto la nullità, rendendo impossibile qualsiasi esame sulla loro liceità, o meno, e non assolvendo l’onere probatorio a proprio carico. Per questo le domande formulate in primo grado dall’attrice non posso essere accolte e, stante il rigetto delle stesse, non ricorrono i presupposti per il rilevo ex officio della nullità del contratto »; iii ) affermò, inoltre, che « la rilevabilità d’ufficio della nullità di un contratto, prevista dall’art. 1421 c.c., non comporta che il giudice sia obbligato ad un accertamento d’ufficio in tal senso, dovendo, invece, detta nullità risultare dal materiale probatorio legittimamente acquisito al processo, essendo i poteri officiosi del giudice limitati al rilievo della nullità e non intesi ad esonerare fa parte dall’onere probatorio gravante su di essa. Ne consegue che non risulta possibile accertare la nullità del contratto per mancanza della forma scritta ad substantiam, alla luce della mancanza in atti dello stesso conseguente al mancato assolvimento dell’onere della prova in ragione delle domande proposte dall’attrice »; iv ) respinse,
conseguentemente, il motivo di appello incidentale che aveva censurato la sentenza che, in presenza di domanda di indebito, aveva determinato il saldo del conto corrente. Affermò, infatti, che « la domanda non può essere accolta non avendo la parte assolto all’onere probatorio a proprio carico. Nei rapporti dì conto corrente bancario, il correntista che agisca in giudizio per la ripetizione dell’indebito è tenuto alla prova degli avvenuti pagamenti e della mancanza di una valida “causa debendi”. Per far valere la nullità di clausole contrattuali o la illegittimità degli addebiti, in vista della ripetizione di somme richieste dalla Banca in applicazione delle clausole nulle o, comunque, in forza di prassi illegittime, la parte attrice ha l’onere di allegare in maniera specifica i fatti posti alla base della domanda, nonché di fornire la relativa prova. Il correntista ha lo specifico onere di produrre il contratto costituente il titolo del rapporto dedotto in lite e gli estratti conto periodici, al fine di verificare sia il contenuto delle clausole contrattuali asseritamente nulle, sia l’effettiva applicazione delle poste indicate come indebite. Questo manca nel caso di specie e non risulta possibile ricorrere alla CTU per quanto sopra detto »; v ) considerò, infine, che « eccepita dalla banca la prescrizione dell’indebito per decorso del termine decennale dalle annotazioni passive in conto, quale fatto estintivo, essa ha l’onere di allegare l’inerzia, il tempo del pagamento ed il tipo di prescrizione invocata; e l’eccezione di prescrizione è validamente proposta quando la parte ne abbia allegato il fatto costitutivo, cioè l’inerzia del titolare, e manifestato la volontà di avvalersene. Ciò è avvenuto nel caso di specie. Se il tempo decorso dalle annotazioni passive integra il periodo necessario per il decorso della prescrizione, diviene onere del cliente provare il fatto impeditivo, consistente nell’esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quei versamenti come mero ripristino della disponibilità accordata e, dunque, possa spostare l’inizio del decorso della prescrizione alla chiusura del conto. Poiché la decorrenza della prescrizione dalla data del pagamento è condizionata al carattere solutorio, e non meramente ripristinatorio. dei versamenti, essa sussiste sempre in mancanza di un’apertura di credito; eccepita dalla banca la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito per decorso del termine decennale dal pagamento, è
onere del cliente provare l’esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quel pagamento come mero ripristino della disponibilità accordata. Ne consegue che deve essere accolto l’ultimo motivo di gravame proposto da RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE, va condannata a restituire alla RAGIONE_SOCIALE quanto dalla stessa ricevuto in esecuzione della sentenza di primo grado (che RAGIONE_SOCIALE ha dato atto di aver versato) per capitale, interessi e spese, oltre agli interessi legali dalla data del pagamento alla restituzione effettiva ».
Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE, affidandosi ad otto motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.. Ha resistito, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE s.p.a..
RAGIONI DELLA DECISIONE
I formulati motivi di ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:
I) « Nullità della sentenza ex art. 111 Cost. e/o 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e/o 118 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c .». Assume la ricorrente che: i ) « La motivazione dell’arresto qui gravato muove -come presupposto -dal mancato deposito in giudizio del contratto di conto corrente benché contenga l’affermazione che ‘Di contro, l’odierna appellata chiede il rigetto del gravame affermando a riguardo di avere riconosciuto di aver intrattenuto un rapporto di conto corrente e di non aver sottoscritto un contratto di conto corrente. . Ebbene la Corte di appello non ha mai esplicato -nemmeno implicitamente -nella sentenza qui impugnata in base a quale percorso logico-giuridico abbia ritenuto sussistente il contratto di conto corrente in forma scritta, contrariamente a quanto affermato dal tribunale, sviluppando, così le successive argomentazioni dando per scontata tale circostanza »; ii ) « La sentenza qui gravata, nell’accogliere il motivo di appello di RAGIONE_SOCIALE inerente il rigetto -in primo grado -dell’eccezione di prescrizione per le rimesse ultradecennali, ha affermato, in via di diritto , che ‘diviene one re del cliente provare il fatto impeditivo, consistente nell’esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quei versamenti come mero ripristino della disponibilità accordata’ e che ‘è onere del cliente provare l’esistenza di un contratto di apertura di crediti che
qualifichi quel pagamento come mero ripristino della disponibilità accordata’. Ebbene, al principio di diritto così enunciato, non si è fatto alcun riferimento al riscontro probatorio ed ai fatti di causa: la Corte territoriale, infatti, ha accolto il motivo sulla base del suddetto principio astratto di diritto senza raffrontare la situazione probatoria in concreto dalla quale sarebbe emerso che se l’apertura di credito non è in contestazione (come nel caso di specie) la natura ripristinatoria delle rimesse è presunta’ (sentenza di primo grado sub doc. 4/3par. 7.3). . Nella sentenza qui gravata, , la ricorrente si duole delle carenze e/o lacune nelle argomentazioni in cui è incorso il giudice di merito nonché delle illogicità, pure consistenti nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato estraneo al senso comune. È evidente che un tale laconico impianto motivazionale solo in punto astratto di diritto (senza riscontro con la realtà fattuale e processuale), per accogliere il motivo di appello riguardante l’eccezione di prescrizione delle rimesse ultradecennali, risulta apparente poiché già il Tribunale, in primo grado, aveva affermato che ‘se l’apertura di credito non è in contestazione (come nel caso di specie) la natura ripristinatoria delle rimesse è presunta’ , ma anche perché in causa risultavano plurimi elementi e, cioè, l’affermazione di RAGIONE_SOCIALE, contenuta a pag. 16 della comparsa di costituzione e risposta in primo grado del 15/11/2013 , nella quale si legge testualmente: ‘rilev ante far presente che il c/c per cui è causa era affidato’; la produzione della RAGIONE_SOCIALE Rischi Banca d’Italia e gli estratti conto ove era evidenziato l’affidamento in essere »;
II) « Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 198 e/o 210 e/o 212 e/o 61 c.p.c., 2697 e/o 2711, comma 2, c.c., nonché degli artt. 119 e/o 117 del d.lgs. n. 385/1993 (T.U.B.) e/o dell’art. 7 del d.lgs. n. 196/2003, con riferimento all’art. 1374 e/o 1375 c.c . e/o 115 e/o 116, comma 2, c.p.c. ed in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c .», per avere la corte di appello ritenuto inammissibile -rigettando il motivo di appello incidentale sul punto -l’istanza volta ad ottenere l’ordine, nei confronti dell’istituto bancario convenuto, di esibire in giudizio la documentazione relativa ai rapporti di
conto corrente per cui è causa, benché la stessa dovesse intendersi proposta anche ai sensi dell’art. 119 T.U.B. e/o dell’art. 7 del d.lgs. n. 196/2003;
III) « Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2033 e/o 2697 e/o 2726 e/o 2729 c.c., 61 e/o 115 e/o 116 e/o 34 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c .» per avere la corte territoriale ritenuto, erroneamente, che, nell’azione di ripetizione di indebito, la prova della causa debendi potesse essere data esclusivamente con la produzione del contratto di conto corrente, mentre, al contrario può essere provata con ogni mezzo;
IV) « Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 24 Cost., 2033 e/o 2697 e/o 2726 e/o 2729 e/o 1283 e/o 1284, comma 3, c.c., 61 e/o 115 e/o 167, comma 1, e/o 116 c.p.c., nonché degli artt. 119 e/o 117 del d.lgs. n. 385/1993 (T.U.B.), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. » laddove la corte distrettuale, in conseguenza di quanto esposto nel motivo che precede: a ) non ha ammesso, assunto e valutato i fatti e documenti allegati in causa dall’odierna ricorrente ( id est gli estratti conti correnti sub docc. da 1 a 267 in primo grado) al fine di dimostrare l’inesistenza della causa dedendi (che può essere provata con ogni mezzo), così come effettivamente accertati in sede di c.t.u. percipiente in primo grado, né applicando il principio di non contestazione il quale è anch’esso caratterizzato da un vincolo normativo che la medesima corte aveva l’onere di rispettare; b ) non si è avvalsa del principio secondo cui ‘ la mancata specifica contestazione di un fatto costitutivo del dedotto da parte di uno dei due contendenti lo rende incontroverso e non più bisognevole di prova “, con l’ovvia conseguenza che non può ritenersi decisiva ed ostativa al mancato accoglimento delle domande di NOME.COGNOME. la circostanza della omessa produzione in giudizio dei contratti di conto corrente per cui è causa in presenza dei corrispondenti estratti dei conti correnti;
V) « Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 e/o 2727 e/o 2033 c.c. e/o 115 e/o 116 e/o 61 e/o 62 c.p.c., 1283 e/o 1284, comma 3, c.c., nonché degli artt. 119 e/o 117 del d.lgs. n. 385/1993 (T.U.B), con riferimento agli artt. 1374 e/o 1375 c.c. e/o 1 16, comma 2, c.p.c. ed in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c .», perché la sentenza impugnata ha ritenuto che l’insussistenza della causa debendi sia in relazione diretta con i contratti di
conto corrente per cui è causa, mentre va individuata nell’accertamento in concreto dell’applicazione delle clausole nulle e non della loro mera pattuizione negoziale;
VI) « Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e/o 116 e/o 61 e/o 62 c.p.c., 1283 e/o 1284, comma 3, c.c., nonché degli artt. 119 c/o 117 del d.lgs. n. 385/1993 (T.U.B.) con riferimento agli artt. 1374 e/o 1375 c.c. e/o art. 116, comma 2, c.p.c. e d in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. », per avere la corte di appello invertito l’onere della prova in relazione alle domande giudizialmente proposte, spettando -semmai -all’intimata banca produrre in causa i contratti di conto corrente che rappresenterebbero il titolo degli addebiti oggetto di causa;
VII) « Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. », ascrivendosi alla corte distrettuale un errore di percezione poiché l’art. 115 cod. proc. civ. implicitamente vieta di fondare la decisione su prove immaginarie, cioè reputate dal giudice assenti, ma, in realtà offerte, o, viceversa;
VIII) « Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. », contestandosi alla corte distrettuale di non aver tenuto conto dei fatti storici compiutamente descritti, risultanti dagli atti di causa, la cui decisività « risiede nel fatto che ove la Corte di Appello avesse esaminato i qui dedotti fatti storici non avrebbe accolto ‘il motivo di gravame con il quale è stata censurata la sentenza per aver rigettat o l’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca relativa alle rimesse anteriori al decennio’ poiché i detti fatti storici erano idonei a provare sia l’esistenza di un contratto di apertura di credito che il relativo ammontare ».
1.1. Tali doglianze, ad avviso di questo Collegio, possono essere scrutinate congiuntamente perché, sebbene sotto diversi profili, investono tutti, sostanzialmente: i ) l’avvenuto rigetto, da parte della corte di appello, della domanda di ripetizione di indebito della odierna ricorrente per effetto della mancata produzione in giudizio, da parte di quest’ultima, dei contratti di conto corrente de quibus , ritenuta necessaria, invece, dalla corte suddetta
al fine di verificare, al loro interno, l’esistenza ed il concreto contenuto delle clausole riguardanti interessi debitori, anatocistici e commissioni di massimo scoperto la cui nullità era stata invocata dalla prima a fondamento della domanda suddetta. Ma ncata produzione cui non potevano supplire l’ordine di esibizione ex art. 210 cod. proc. civ. da rivolgersi alla banca (posto che la relativa istanza doveva giudicarsi inammissibile, perché avente ad oggetto documenti direttamente accessibili dalla parte ex art. 119 T.U.B., così che la stessa ben avrebbe potuto procurarseli in via stragiudiziale ed allegarli agli atti di causa), né la consulenza tecnica di ufficio, svolta senza considerare l’esistenza ed il contenuto delle pattuizioni delle parti; ii ) l’accoglimento dell’eccezione di prescrizione sollevata da RAGIONE_SOCIALE in relazione alle rimesse anteriori al decennio, non avendo il correntista provato l’esistenza di un contratto di apertura di credito al fine di qualificare come meramente ripristinatorie, e non solutorie, le rimesse suddette.
1.2. Le stesse, peraltro, si rivelano fondate, nei limiti di cui appresso, alla stregua dei più recenti princìpi ribaditi dalla giurisprudenza di legittimità, e qui assolutamente condivisi, in controversie, come quella in esame, aventi ad oggetto la ripetizione di indebito chiesta da un correntista nei confronti della banca presso cui intratteneva (o intrattiene) rapporti di conto corrente.
1.3. Giova ricordare, in proposito, che, come ancora recentemente chiarito da Cass. n. 12993 del 2023 e da Cass. n. 7697 del 2023 ( cfr . nelle rispettive motivazioni), « in linea generale, il correntista ha comunque un interesse di sicura consistenza a che si accerti, pure prima della chiusura del conto, la nullità o validità delle clausole anatocistiche, l’esistenza, o meno, di addebiti illegittimi operati in proprio danno e, da ultimo, l’entità del saldo (parziale) ricalcolato, depurato delle appostazioni che non potevano aver luogo. Tale interesse rileva, sul piano pratico, almeno in tre direzioni: quella della esclusione, per il futuro, di annotazioni illegittime; quella del ripristino, da parte del correntista, di una maggiore estensione dell’affidamento a lui concesso, siccome eroso da addebiti contra legem; quella della riduzione dell’importo che la banca, una volta rielaborato il saldo, potrà pretendere a seguito della cessazione del rapporto (allorquando, cioè,
dovranno regolarsi tra le parti le contrapposte partite di debito e credito) ». Sotto questi tre profili, la domanda di accertamento di cui si dibatte prospetta, dunque, per il soggetto che la propone, un sicuro interesse, in quanto è volta al conseguimento di un risultato utile, giuridicamente apprezzabile, che non può attingersi senza la pronuncia del giudice. Come lucidamente osservato dalle Sezioni Unite di questa Corte, il correntista, sin dal momento dell’annotazione in conto di una posta, avvedutosi dell’illegittimità dell’addebito in conto, ben può agire in giudizio per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso: e potrà farlo, se al conto accede un’apertura di credito bancario, proprio allo scopo di recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli ( cfr . Cass., SU, n. 24418 del 2010, in motivazione; nel medesimo senso, sempre in motivazione, Cass. n. 798 del 2013 e le più recenti Cass. n. 7697 del 2023 e Cass. n. 12993 del 2023).
1.3.1. Fermo quanto precede, la sentenza impugnata, come sopra riassunta nel § 2.1. dei ‘ Fatti di causa ‘, ha chiaramente considerato (correttamente) la declaratoria di nullità delle clausole contrattuali asseritamente recanti interessi debitori, anatocistici e commissioni di massimo scoperto, nonché la domanda di accertamento e rettifica dei saldi dei conti correnti in questione, come logicamente preliminari rispetto a quella di indebito, con onere della prova a carico esclusivo della parte attrice/appellante. In altri termini, la stessa ha ritenuto necessaria -per la decisione di tutte le istanze suddette -la produzione, innanzitutto, del contratto di conto corrente (oltre che degli estratti conto), sicché l’assenza del primo ha determinato il rigetto di quella domanda. La corte territoriale, invero, ha opinato che « non risulta possibile accertare la nullità del contratto per mancanza della forma scritta ad substantiam, alla luce della mancanza in atti dello stesso conseguente al mancato assolvimento dell’onere della prova in ragione delle domande proposte dall’attrice », e, conseguentemente: i ) ha rigettato la domanda di ripetizione di indebito della odierna ricorrente per effetto della mancata produzione in giudizio, da parte di quest’ultima, dei
contratti di conto corrente de quibus , ritenuta necessaria, invece, dalla corte medesima al fine di verificare, al loro interno, l’esistenza ed il concreto contenuto delle clausole riguardanti, appunto, interessi debitori, anatocistici e commissioni di massimo scoperto la cui nullità era stata invocata dalla correntista a fondamento della domanda suddetta; ii ) ha accolto l’eccezione di prescrizione sollevata da RAGIONE_SOCIALE in relazione alle rimesse anteriori al decennio, non avendo la correntista provato l’esistenza di un contratto di apertura di credito al fine di qualificare come meramente ripristinatorie, e non solutorie, le rimesse suddette.
1.4. Orbene, osserva il Collegio che la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di affermare, ripetutamente, che, nell’ipotesi in cui (come nella specie) è il cliente ad agire nei confronti della banca per la rideterminazione del saldo del proprio conto corrente e la ripetizione di quel danaro dato alla banca dall’inizio del corrispondente rapporto fino alla sua cessazione, sul presupposto di dedotte nullità di clausole del contratto di conto corrente relativa alla misura degli interessi ed al massimo scoperto, di applicazione di interessi in misura superiore a quella del tasso soglia dell’usura presunta (come determinato in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996), nonché di addebiti di danaro non previsti dal contratto, è il cliente stesso che deve provare, innanzitutto mediante il deposito degli estratti di conto corrente, in applicazione dell’art. 2697 cod. civ., la fondatezza dei fatti e delle domande di accertamento costituenti il presupposto anche dell’accoglimento della domanda di ripetizione di indebito oggettivo; con la conseguenza che, in mancanza di taluni estratti di conto corrente, egli perde semplicemente la possibilità di dimostrare il fondamento della domanda di restituzione di danaro da lui dato alla banca (per effetto di addebiti da questa operati) nel solo periodo di tempo compreso fra l’inizio del rapporto e quello cui si riferiscono gli estratti di conto corrente depositati (come significativamente puntualizzato da Cass. n. 10025 del 2023, « L’onere – cd. dovere libero, che r isponde alla figura logica dell’imperativo ipotetico, ‘se vuoi a], devi b]’ – è l’imposizione di una condotta per la realizzazione di un interesse proprio di colui che, essendone titolare, lo fa
valere in giudizio. La prova dell’indebito, pertanto, può darsi anche producendo solo una parte degli estratti conto ed utilizzando altri mezzi come la c.t.u. , secondo l’insindacabile accertamento in fatto del giudice di merito . Ma è evidente che, in tal caso, la somma dovuta dalla banca sarà di importo corrispondente a quello provato »); ben potendo il giudice accertare, di regola mediante consulenza tecnica d’ufficio, se vi siano addebiti alla banca non dovuti, secondo la prospettazione dell’attore, in quanto risultanti dagli estratti di conto da questi depositati ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 35979 del 2022; Cass. n. 7697 del 2023; Cass. n. 12993 del 2023).
1.4.1. Tale affermazione costituisce esplicitazione del principio, affatto consolidato, secondo cui il correntista che agisca in giudizio per la rideterminazione del saldo del proprio conto corrente e/o per la ripetizione dalla banca dell’indebito è tenuto a fornire la prova sia degli avvenuti pagamenti che della mancanza, rispetto ad essi, di una valida causa debendi : egli, quindi, ha l’onere di documentare l’andamento del rapporto con il deposito di tutti quegli estratti conto che evidenziano le singole rimesse suscettibili di ripetizione in quanto riferite a somme di danaro non dovute ( cfr . Cass. n. 12993 del 2023; Cass. n. 7697 del 2023; Cass. n. 30822 del 2018; Cass. n. 24948 del 2017; Cass. n. 7501 del 2012; Cass. n. 3387 del 2001; Cass. n. 2334 del 1998; Cass. n. 7027 del 1997; Cass. n. 12897 del 1995).
1.4.2. A conclusioni sostanzialmente analoghe, del resto, è pervenuta anche Cass. n. 37800 del 2022 (pure ribadita dalle già menzionate Cass. n. 7697 del 2023 e Cass. n. 12993 del 2023), la quale ha puntualizzato, affatto opportunamente, che « l’estratto conto, , non costituisce l’unico mezzo di prova attraverso cui ricostruire le movimentazioni del rapporto. Esso consente di avere un appropriato riscontro dell’identità e della consistenza delle singole operazioni poste in atto e, tuttavia, in assenza di un indice normativo che autorizzi una diversa conclusione, non può escludersi che l’andamento del conto possa accertarsi avvalendosi di altri strumenti
rappresentativi delle intercorse movimentazioni. In tal senso, a fronte della mancata acquisizione di una parte dei citati estratti, il giudice del merito potrebbe valorizzare, esemplificativamente, le contabili bancarie riferite alle singole operazioni o, a norma degli artt. 2709 e 2710 c.c., le risultanze delle scritture contabili (ma non l’estratto notarile delle stesse, da cui risulti il mero saldo del conto: Cass. 10 maggio 2007, n. 10692 e Cass. 25 novembre 2010, n. 23974): e, per far fronte alla necessità di elaborazione di tali dati, quello stesso giudice può avvalersi di un consulente d’ufficio, essendo sicuramente consentito svolgere un accertamento tecnico contabile al fine di rideterminare il saldo del conto in base a quanto comunque emergente dai documenti prodotti in giudizio (Cass. 1 giugno 2018, n. 14074, ove il richiamo a Cass. 15 marzo 2016, n. 5091; nel medesimo senso, Cass. 3 dicembre 2018, n. 31187; v. altresì Cass. 2 maggio 2019, n. 11543). Rilevano, altresì, la condotta processuale della controparte ed ogni altro elemento idoneo a costituire argomento di prova, ai sensi dell’art. 116 c.p.c.. Ne deriva che l’incompletezza della serie degli estratti conto si ripercuote comunque sul cliente, gravato dall’onere della prova degli indebiti pag amenti: in quanto, a quel punto, si comincia volta a volta dal ‘saldo a debito’, risultante dal primo estratto conto disponibile o da quelli intermedi dopo intervalli non coperti; oppure, ove lo deduca la stessa banca, si potrà partire dal cd. ‘saldo zero’ . In mancanza di elementi nei due sensi indicati, dovrà assumersi, come dato di partenza per la rielaborazione delle successive operazioni documentate, il predetto saldo iniziale degli estratti conto acquisiti al giudizio, che, nel quadro delle risultanze di causa, è il dato più sfavorevole allo stesso attore ».
1.5. Deve osservarsi, altresì, che, con specifico riferimento alle conseguenze dell’omessa produzione del contratto di conto corrente, la recente Cass. n. 9213 del 2023 (alla cui motivazione, per la parte qui di interesse, può farsi rinvio ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ.. In senso del tutto analogo si veda anche Cass. n. 12993 del 2023), riaffermato che deve ritenersi gravante sull’attore, che agisca per l’accertamento del corretto saldo di un conto corrente e per la restituzione di quanto versato in forza di clausole comunque invalide, la prova dell’inesistenza di una giusta causa
dell’attribuzione patrimoniale compiuta in favore del convenuto, ancorché si tratti di prova di un fatto negativo, ha rimarcato che, « nelle azioni suddette, colui che agisce allega la dazione senza causa di una somma di danaro non come adempimento di un negozio giuridico ma come spostamento patrimoniale privo di causa, sicché può assolvere l’onere della prova di questo fatto al di fuori dei limiti probatori previsti per i contratti, atteso che detti limiti sono applicabili solo al pagamento dedotto come manifestazione di volontà negoziale e non a quello prospettato come fatto materiale estraneo alla esecuzione di uno specifico rapporto giuridico. Invero, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, i limiti legali di prova di un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta ad substantiam o ad probationem -così come i limiti di valore previsti dall’art. 2721 cod. civ. per la prova testimoniale -operano esclusivamente quando il suddetto contratto sia invocato in giudizio come fonte di reciproci diritti ed obblighi tra le parti contraenti, e non anche quando se ne evochi l’esistenza come semplice fatto storico influente sulla decisione del processo (cfr. Cass. n. 5880 del 2021; Cass. n. 3336 del 2015; Cass. n. 566 del 2001) ». Principio, questo, vieppiù utilizzabile, allorquando, per contestare, tra l’altro, la debenza di interessi debitori asseritamente indeterminati (per quelli anatocistici, invece, varrebbe comunque la disciplina di cui all’art. 1283 cod. civ., come interp retato, in ambito di conto corrente bancario, dall’ormai consolidatasi giurisprudenza di legittimità), l’istante, per usare le parole della corte distrettuale, affermi « di aver riconosciuto di aver intrattenuto un rapporto di conto corrente e non di aver sottoscritto un contratto di conto corrente » ( cfr. pag. 6 della sentenza impugnata). Ciò non senza rimarcare, peraltro, l’assoluta illogicità della conclusione della medesima corte secondo cui « non risulta possibile accertare la nullità del contratto per mancanza della forma scritta ad substantiam, alla luce della mancanza in atti dello stesso conseguente al mancato assolvimento dell’onere della prova in ragione delle domande proposte dall’attrice »: non si comprende, infatti, come si possa pretendere la produzione in giudizio di un contratto, cioè del documento che
materialmente dimostri l’accordo tra le parti, ove chi domandi la nullità del primo ne deduca l’inesistenza per carenza di forma scritta ad substantiam .
1.5.1. È palese, pertanto, che la impugnata sentenza della corte giuliana, laddove ha ritenuto necessaria la produzione dei contratti di conto corrnte al fine di verificare, al loro interno, l’esistenza ed il concreto contenuto delle clausole riguardanti interessi debitori, anatocistici e commissioni di massimo scoperto la cui nullità era stata invocata dalla RAGIONE_SOCIALE a fondamento della sua domanda di ripetizione di indebito, non è coerente con il principio da ultimo riportato.
1.6. Con riguardo, poi, alla distinzione tra rimesse solutorie e rimesse ripristinatorie della provvista, nonché al riparto dei rispettivi oneri probatori ove la banca, convenuta in giudizio dal proprio correntista che ne invochi la condanna alla restituzione di quanto illegittimamente addebitatogli sul conto, ne eccepisca la prescrizione, le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 24418 del 2010 ( cfr . in motivazione), hanno spiegato che l’azione di ripetizione di indebito proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati: ciò in quanto il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del solvens, con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell’ accipiens .
1.6.1. La pronuncia muove dal rilievo per cui non può ipotizzarsi il decorso del termine di prescrizione del diritto alla ripetizione se non da quando sia intervenuto un atto giuridico, definibile come pagamento, che l’attore pretende essere indebito, perché prima di quel momento non è configurabile alcun diritto di ripetizione. In conseguenza, se il correntista, nel corso del
rapporto, abbia effettuato non solo prelevamenti ma anche versamenti, in tanto questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca. Questo accadrà ove si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’affidamento: non così, invece, in tutti i casi nei quali i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell’affidamento concesso al cliente, fungano tecnicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere.
1.7. L’esistenza, o non, di una apertura di credito, allora, spiega incidenza sul decorso della prescrizione delle singole rimesse, comportando che esse, a seconda dei casi, possano qualificarsi meramente ripristinatorie della provvista o solutorie.
1.7.1. Ora, se il correntista agisca in giudizio senza allegare l’esistenza di una apertura di credito, la banca che eccepisca la prescrizione del diritto alla ripetizione delle rimesse non sarà tenuta a dedurre e dimostrare l’esistenza del detto contratto ( cfr . Cass. n. 31927 del 2019, e, in senso sostanzialmente conforme, le più recenti Cass. n. 19812 del 2022 e Cass. n. 10026 del 2023).
1.7.2. Infatti, – a parte i casi in cui il giudice del merito possa addirittura ritenere, sulla scorta della domanda proposta, che l’inesistenza del detto contratto sia stata oggetto di (implicito) riconoscimento da parte del correntista – occorre osservare che non compete alla banca che eccepisca la prescrizione dare prova dell’insussistenza dell’atto giuridico che ne precluda la decorrenza.
1.7.3. Come ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte proprio nella materia che qui interessa, l’elemento qualificante dell’eccezione di prescrizione è l’allegazione dell’inerzia del titolare del diritto, che costituisce il « fatto principale » della fattispecie cui la legge ricollega l’effetto estintivo ( cfr . Cass., SU, n. 15895 del 2019). In conseguenza, la banca potrà limitarsi ad allegare quella inerzia, deducendo che il correntista abbia mancato di
pretendere in restituzione alcunché per l’intero arco del termine prescrizionale. È colui che agisce in ripetizione (come concretamente accaduto nella vicenda oggi all’attenzione del Collegio) a dover provare l’apertura di credito che gli è stata concessa, poiché questa evenienza integra un fatto idoneo ad incidere sulla decorrenza dell’eccepita prescrizione: un fatto che costituisce materia di una controeccezione da opporsi alla banca convenuta in ripetizione ( cfr . Cass. n. 31927 del 2019).
1.7.4. Come è evidente, difatti, la rimessa del correntista, che avrebbe natura solutoria in assenza di una apertura di credito, potrà assumere, in presenza di quest’ultima, natura ripristinatoria: ciò accadrà, precisamente, nei casi in cui tale rimessa ripiani l’esposizione maturata nel limite dell’affidamento, operando quindi su di un conto « passivo », e non « scoperto ». Il contratto di apertura di credito, pertanto, si mostra idoneo ad escludere che la prescrizione del diritto alla ripetizione della somma oggetto della rimessa decorra dal momento dell’attuato versamento: in base alla regola generale posta dall’art. 2697 cod. civ., dunque, sarà il correntista che intenda contrastare l’eccezione di prescrizione (avendo proprio riguardo al contestato suo decorso) ad essere onerato di provare l’esistenza del detto contratto ( cfr . Cass. n. 31927 del 2019).
1.7.5. La prova dell’apertura di credito che sia stata tempestivamente acquisita al processo, tuttavia, è utilizzabile dal giudice, ai fini dell’accertamento della prescrizione, ove pure sia mancata una precisa allegazione, da parte del correntista, circa l’intervenuta conclusione del contratto in questione ( cfr. Cass. n. 31927 del 2019). È da considerare, in proposito, che la questione in esame non costituisce oggetto di una eccezione in senso stretto, rilevabile soltanto ad istanza di parte: infatti, è eccezione in senso stretto quella per la quale la legge espressamente riservi il potere di rilevazione alla parte o quella in cui il fatto integratore dell’eccezione corrisponde all’esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio da parte del titolare e, quindi, per svolgere l’efficacia modificativa, impeditiva od estintiva di un rapporto giuridico suppone il tramite di una manifestazione di volontà della parte ( cfr. , per tutte, Cass. n. 13335 del 2015; Cass. n. 18602
del 2013); la deduzione vertente sull’impedimento al decorso della prescrizione determinato dal perfezionamento del contratto di apertura di credito non presenta alcuna di tali connotazioni e va qualificata, piuttosto, come eccezione in senso lato.
1.7.6. Ora, il rilievo d’ufficio delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati ex actis ( cfr . Cass., SU, n. 10531 del 2013; Cass. n. 27998 del 2018). Avendo riguardo a quest’ultimo profilo (inerente alla dimostrazione del fatto di cui sia mancata l’allegazione), infatti, occorre considerare che le eccezioni in senso lato condividono con le eccezioni in senso stretto la necessità che i fatti modificativi, impeditivi o estintivi su cui si fondano risultino legittimamente acquisiti a processo e provati ( cfr . Cass. n. 20317 del 2019; Cass. n. 27405 del 2018). Il che vale ad escludere che il giudice possa conferire rilievo all’eccezione dell’intervenuta conclusione del contratto di apertura di credito (incidente, come si è visto, sulla decorrenza della prescrizione) basandosi su elementi documentali che non siano stati acquisiti nei termini di cui all’art. 183 cod. proc. civ..
1.8. Tanto premesso, nella controversia in esame, la corte di appello -dopo aver ritenuto, affatto erroneamente per quanto si è già detto, necessaria la produzione dei contratti di conto corrente al fine di verificare, al loro interno, l’esistenza ed il c oncreto contenuto delle clausole riguardanti interessi debitori, anatocistici e commissioni di massimo scoperto la cui nullità era stata invocata dalla RAGIONE_SOCIALE a fondamento della sua domanda di ripetizione di indebito -ha accolto l’eccezio ne di prescrizione sollevata da RAGIONE_SOCIALE in relazione alle rimesse anteriori al decennio sul presupposto che la correntista non aveva provato l’esistenza di un contratto di apertura di credito al fine di qualificare come meramente ripristinatorie, e non solutorie, le rimesse suddette.
1.8.1. La RAGIONE_SOCIALE assume, invece ( cfr., amplius , settimo ed ottavo motivo di ricorso), che il conto corrente per cui è causa era affidato, come poteva desumersi chiaramente da « plurimi elementi in tal senso e cioè,
in primis , l’affermazione di RAGIONE_SOCIALE a pag. 16 della comparsa di costituzione e risposta in primo grado dd. 15/11/2013 (doc. 5) nella quale si legge testualmente: “.. rilevante far presente che il c/c per cui è causa era affidato…..”, la RAGIONE_SOCIALE Rischi Banca d’Italia (doc. 4/2/268), gli estratti conto ove era evidenziato l’affidamento in essere (docce. 4/2/1-4/2/267 ». La stessa, inoltre, contesta alla corte distrettuale di non aver tenuto conto: i ) dell’affermazione dell’attrice/appellante, rinv enibile nella sua citazione di primo grado, secondo cui ‘ La società RAGIONE_SOCIALE intratteneva un rapporto di conto corrente affidato n. 00084971 (successivamente n. 849501,3876365), mediante scopertura, originariamente finalizzato -secondo la natura tipica contratto – a soddisfare le temporanee esigenze di elasticità di cassa. Detto rapporto bancario affidato ha avuto inizio il 17/09/1997 (docc. da 1 a 267) ed è stato estinto in data-01/12/2010 (doc. 266) ‘; ii ) dell’affermazione di RAGIONE_SOCIALE, pag. 16 della comparsa di costituzione, di cui si è detto in precedenza; iii ) dell’affermazione « della società RAGIONE_SOCIALE nella memoria istruttoria ex 183-VI comma, n. 2, dd. 31/01/2014 (doc. 4/2/c) »; iv ) dell’affermazione « di RAGIONE_SOCIALE, nell’atto di citazione in appello, 29/01/2018 (doc. 4/1 17): ‘E ciò a tacer del fatto che dalla documentazione e dagli estratti scalari prodotti dalla Banca, il CTU avrebbe potuto/dovuto individuare l’ammontare degli affidamenti concessi ai fini della indi viduazione delle rimesse di natura solutoria’ »; v ) dell’affermazione « della società RAGIONE_SOCIALE nella comparsa di costituzione in appello dd. 26/04/2018 (doc. 4/A) ».
1.8.2. È innegabile che, già solo dalle riportate affermazioni rinvenibili negli atti della odierna controricorrente, emerga un pieno riconoscimento della configurabilità di un’apertura di credito evidentemente collegata al/ai contratto/i di conto corrente in questione (sicché la relativa circostanza nemmeno richiedeva ulteriore dimostrazione, giusta l’art. 115, comma 1, cod. proc. civ.), avendo la stessa RAGIONE_SOCIALE aveva pure precisato, nel proprio atto di appello, che « dalla documentazione e dagli estratti scalari prodotti dalla Banca, il CTU avrebbe potuto/dovuto individuare l’ammontare degli
affidamenti concessi ai fini della individuazione delle rimesse di natura solutoria ».
1.8.3. In ogni caso, merita di essere ricordato che questa Corte ha già chiarito, ripetutamente, che, a fronte dell’eccezione di prescrizione sollevata con riferimento alla domanda di ripetizione di indebito del correntista, è quest’ultimo ad essere onerato della prova dell’esistenza del contratto di apertura di credito, incidente sulla natura delle rimesse poste in essere oltre il decennio, fermo restando che il giudice del merito è tenuto a valorizzare la prova ritualmente acquisita al riguardo, indipendentemente da una specifica allegazione dei correntista circa la stipula del contratto in questione ( cfr . Cass. n. 31927 del 2019; Cass. n. 10026 del 2023).
1.9. Alla stregua dei princìpi tutti fin qui esposti, allora, ne deriva che, nella specie, sebbene la ripartizione dell’onere probatorio come effettuata dalla corte di merito sia stata conforme alla descritta giurisprudenza di legittimità, non altrettanto è a dirsi quanto alla sua conclusione circa: i ) la ritenuta necessità, per la declaratoria di nullità per carenza di forma scritta ad substantiam del/i contratto/i di conto corrente di cui si discute, nonché per la domanda di accertamento e rideterminazione dei relativi saldi, della produzione del/i contratto/i di conto corrente medesimo/i (oltre che della serie integrale degli estratti conto), diversamente non potendosi addivenire alla rideterminazione da ultimo indicata; ii ) l’avvenuto accoglimento dell’eccezione di prescrizione sollevata da RAGIONE_SOCIALE in relazione alle rimesse anteriori al decennio, non avendo il correntista provato l’esistenza di un contratto di apertura di credito al fine di qualificare come meramente ripristinatorie, e non solutorie, le rimesse suddette.
In definitiva, quindi, i motivi del ricorso di RAGIONE_SOCIALE vanno accolti, nei sensi di cui si è detto. La causa, pertanto, va rinviata alla Corte di appello di Trieste, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie, nei sensi di cui in motivazione, i motivi di ricorso di RAGIONE_SOCIALE, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla
Corte di appello di Trieste, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile