Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7873 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7873 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 07962/2022 R.G., proposto da
NOME COGNOME quale erede di NOME COGNOME; rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL, in virtù di procura allegata al ricorso;
-ricorrente-
nei confronti di
NOME COGNOME , quale erede di NOME COGNOME;
-intimato- per la cassazione della sentenza n. 2465/2021 della CORTE d ‘ APPELLO di BOLOGNA, depositata il 28 settembre 2021; udìta la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 febbraio 2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. NOME COGNOME, già amministratore di un condominio sito in INDIRIZZO a Bologna, fu sottoposto a procedimento penale dalla locale Procura della Repubblica per i reati di truffa, circonvenzione di incapace, tentata estorsione ed associazione per delinquere fi nalizzata all’usura ; reati addebitatigli, in concorso con altri soggetti, da una denuncia proposta il 19 luglio 2002 (ed integrata il 25 marzo 2004) da NOME COGNOME proprietaria di uno degli appartamenti ubicati nel predetto condominio.
Dopo che il Giudice per le Indagini Preliminari, su conforme richiesta del Pubblico Ministero e previo rigetto dell’ opposizione della denunciante, ebbe emesso ordinanza di archiviazione, NOME COGNOME convenne NOME COGNOME in giudizio civile risarcitorio dinanzi al Tribunale di Bologna, sul presupposto che essa avesse commesso nei suoi confronti il delitto di calunnia.
NOME COGNOME si difese sostenendo che l’ accoglimento dell’azione risarcitoria avrebbe postulato che il danneggiato avesse dato la prova degli elementi (oggettivo e soggettivo) della calunnia, ovverosia, da un lato, della su a innocenza (e quindi dell’oggettiva falsità delle accuse mosse contro di lui) e, dall’altro lato, della consapevolezza di tale innocenza da parte della denunciante (ovverosia del dolo di calunnia nel contegno d i quest’ultima ), non potendo tali elementi desumersi dall’ordinanza di archiviazione del GIP , quale atto inidoneo al giudicato.
Il Tribunale di Bologna accolse la domanda e condannò la convenuta a pagare all’attore, a titolo di risarcimento del danno, la somma di oltre 25.000 Euro, con interessi e rivalutazione.
Questa decisione è stata integralmente confermata dalla Corte d’ appello di Bologna, che ha rigettato il gravame proposto da NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME e proseguito da NOME COGNOME (erede della convenuta-appellante) nei confronti di NOME COGNOME ( erede dell’attore -appellato) in seguito al sopravvenuto decesso delle parti originarie.
Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale -pur condividendo, nelle premesse, le difese di parte appellante in ordine alla necessità che colui che invoca il risarcimento del danno per avere subìto una denuncia calunniosa ha l ‘ onere di provare la sussistenza di una condotta integrante il reato di calunnia dal punto di vista sia oggettivo sia soggettivo (onere che troverebbe fondamento nel rilievo che « l’ iniziativa del privato denunciante assolve alla funzione socialmente utile di attivare la risposta della giustizia in conseguenza della violazione di una norma penale, che viceversa potrebbe essere scoraggiata dalla possibilità di andare incontro a responsabilità in caso di denunce solo inesatte o rivelatesi infondate »: pag.13 della sentenza impugnata) -ha tuttavia reputato che la prova della calunnia posta in essere da NOME COGNOME fosse effettivamente emersa all’esito del giudizio.
In proposito, secondo la Corte territoriale, doveva aversi riguardo alla circostanza che NOME COGNOME aveva prodotto a carico di NOME COGNOME una lunga denuncia seguita da una corposa integrazione, incolpandolo di gravi condotte criminose (circonvenzione di incapace, truffa, tentata estorsione), commesse in concorso con altri soggetti nell’ambito di una vera e propria associazione per delinquere finalizzata
all’usura, fondando le accuse « esclusivamente su mere supposizioni prive di concretezza », « guardandosi bene dal precisare le circostanze di fatto » in cui tali contegni delittuosi sarebbero stati commessi ed inquadrando, anzi, le denunciate condotte estorsive, fraudolente e riconvenzionali in un quadro di accuse di « natura meramente putativa », desumibile dall’« irrilevanza delle vicende condominiali esposte, rientranti nell’ordinaria dialettica tra condomini e nei rapporti amministratore/condomini ».
Tali circostanze, ad avviso della Corte territoriale, consentivano di ritenere provato il dolo di calunnia in capo alla denunciante (ovverosia la consapevolezza, da parte sua, dell’innocenza del denunciato), in ossequio al principio -più volte enunciato dalla giurisprudenza penale di legittimità (Cass. pen. n. 29117/2012; ma v. anche Cass. pen. n. 12209/2020) -secondo cui la consapevolezza da parte del denunciante dell ‘ innocenza della persona accusata è esclusa solo quando la supposta illiceità del fatto denunciato sia ragionevolmente fondata su elementi oggettivi, connotati da un riconoscibile margine di serietà e tali da ingenerare concretamente la presenza di condivisibili dubbi da parte di una persona di normale cultura e capacità di discernimento, che si trovi nella medesima situazione di conoscenza.
D ‘ altra parte -ha soggiunto il giudice d’ appello -la decisione di primo grado aveva ritenuto (ed a tale giudizio di fatto nulla era stato opposto dall’a ppellante) che « le numerose iniziative giudiziarie intraprese dalla COGNOME e dalla stessa documentate negli atti di denuncia unite all’ intenzionalità dei suoi comportamenti » escludessero « che la
stessa versasse in una condizione di (minorata) incapacità di intendere e di volere tale da consentire a terzi di approfittarsi di lei ».
Infine, la prova che la denunciante -formulando « mere asserzioni accusatorie, prive di qualsiasi riscontro fattuale » -fosse pienamente consapevole della non colpevolezza dell’ac cusato, emergeva anche dalla « proliferazione delle iniziative giudiziarie » poste in essere con esiti per lei negativi, da cui era desumibile l’intento di « cosciente e volontaria alterazione della verità sostanziale » (pagg. 14-17 della sentenza impugnata).
Propone ricorso per cassazione NOME COGNOME sulla base di due motivi; non svolge difese in questa sede di legittimità NOME COGNOME che resta intimato.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art.380 -bis .1 cod. proc. civ..
Il Procuratore Generale non ha depositato conclusioni scritte.
La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo viene denunciata, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 2697 e 2043 cod. civ., nonché dell’art. 368 cod. pen..
La ricorrente lamenta che il giudice del me rito abbia invertito l’ onus probandi in ordine all’elemento oggettivo della calunnia, attribuendo alla denuncianteconvenuta l’onere di provare la verità delle accuse, indebitamente sollevando il denunciato-attore da quello di dimostrare la loro falsità.
1.2. anche con il secondo motivo viene denunciata, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 2697 e 2043 cod. civ., nonché dell’art. 36 9 cod. pen..
La ricorrente si duole che la Corte d’app ello abbia invertito l’ onus probandi in ordine all’elemento subiettivo della calunnia, attribuendo alla denuncianteconvenuta l’onere di provare la mancanza di tale dolo, indebitamente sollevando il denunciato-attore da quello di dimostrarne la sussistenza, ovverosia di provare la consapevolezza della sua innocenza da parte della sig.ra COGNOME.
I due motivi -da esaminare congiuntamente per evidenti ragioni di connessione -sono inammissibili.
2.1. La Corte di merito, come si è evidenziato, ha condiviso in iure le premesse difensive della convenuta-appellante, richiamando, al riguardo, il tradizionale principio di diritto secondo il quale colui che invochi il risarcimento del danno per avere subìto una denuncia calunniosa ha l’onere di provare la sussistenza di una condotta integrante il reato di calunnia dal punto di vista sia oggettivo sia soggettivo, poiché la presentazione della denuncia di un reato costituisce adempimento del dovere, rispondente ad un interesse pubblico, di segnalare fatti illeciti, che rischierebbe di essere frustrato dalla possibilità di andare incontro a responsabilità in caso di denunce semplicemente inesatte o rivelatesi infondate (cfr., in proposito, Cass. 30/11/2018, n. 30988; Cass. 12/06/2020, n. 11271).
Ciò posto, la Corte territoriale ha tuttavia reputato che, nella fattispecie, la prova della sussistenza di una condotta integrante il reato di calunnia in tutti i suoi elementi (oggettivo e soggettivo) fosse
stata debitamente fornita dall’attore, emergendo essa sia dalla proliferazione delle iniziative giudiziarie poste in essere dalla sig.ra COGNOME con esiti per lei negativi (le quali, da un lato, imponevano di escludere che la stessa versasse in una condizione di minorata incapacità di intendere e di volere tale da consentire a terzi di approfittarsi di lei, mentre, dall’altro lato, tradivano l’intento di « cosciente e volontaria alterazione della verità sostanziale »), sia, principalmente, dalla circostanza che con la denuncia e la successiva integrazione erano state formulate « mere asserzioni accusatorie, prive di qualsiasi riscontro fattuale » richiamando, quali circostanze di fatto in cui sarebbero state poste in essere le gravi condotte estorsive, fraudolente e riconvenzionali, alcune irrilevanti vicende condominiali, con conseguente impossibilità di ritenere che la supposta illiceità del fatto denunciato fosse ragionevolmente fondata su elementi oggettivi connotati da un riconoscibile margine di serietà, e con conseguente impossibilità di escludere il dolo di calunnia.
2.2. Al cospetto di tali motivate -e pertanto insindacabili -valutazioni di fatto, i motivi di ricorso tendono, inammissibilmente, a suscitare dalla Corte di legittimità un nuovo apprezzamento di merito, alternativo a quello espresso dalla Corte territoriale; in particolare, non è configurabile la dedotta violazione dell’art.2697 cod. civ. , atteso che, lungi dall’attribuire l’onere probatorio ad una parte diversa da quella cui sarebbe spettato secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla distinzione tra fatti costitutivi ed eccezioni (nel che soltanto sarebbe ravvisabile la violazione della norma citata: cfr., ex multis , Cass. 29/05/2018, n. 13395 e Cass. 23/10/2018, n. 26769),
la Corte d’appello , nel libero apprezzamento delle risultanze probatorie, ha reputato, con valutazione di merito insindacabile, che il danneggiato avesse provato il dolo di calunnia della danneggiante.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese, stante l’ indefensio dell’intimato.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione