Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 29819 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 29819 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16885-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5607/2021 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 23/12/2021 R.G.N. 2342/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/09/2025 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Fatti di causa
Oggetto
R.G.N.NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud 10/09/2025
CC
La Corte d’appello di Napoli, con la sentenza in atti, ha rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del tribunale di Napoli Nord che aveva accolto, seppur in parte, la domanda di COGNOME NOME intesa al pagamento delle differenze retributive.
La Corte d’appello ha statuito che l’appellante non contestava le risultanze relative al periodo di lavoro, l’orario e in parte le mansioni e che censurava solo la sentenza nella parte in cui non aveva ritenuto probanti le buste paga nonché le mansioni svolte dal 2000 ai soli fini del TFR e delle differenze retributive nonché i calcoli effettuati.
Secondo la Corte le censure erano infondate perché le firme sulla busta paga erano in fotocopia e la firma non era sempre la stessa ed in ogni caso non era affatto leggibile. Le buste paga erano state tutte adeguatamente contestate attraverso il ricorso. La testimonianza di COGNOME, marito della signora NOME, non aveva rilievo per la sua inattendibilità. Il teste COGNOME poi aveva riferito solo circostanze che riguardavano la sua posizione personale, anche in modo impreciso circa l’aumento della sua retribuzione. La Corte ha richiamato inoltre il principio di irriducibilità della retribuzione. Sulle differenze relative alla retribuzione ordinaria, la contestazione effettuata in primo grado, secondo la Corte, era inadeguata, insufficiente e non poteva essere messa in discussione con una consulenza di parte presentata per la prima volta in appello.
Circa il pagamento di una parte del TFR, dagli atti depositati non emergeva né era chiaro in che cosa fosse consistito l’errore del giudice di primo grado nel calcolo dello stesso.
Agli atti non c’era nessuna attestazione dell’avvocato di parte appellata che solo in via subordinata accedeva alla richiesta
dell’appellante e non in via principale. Agli atti vi era un lungo estratto conto della società dal quale non si evinceva il pagamento del TFR, seppur in parte.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE con tre motivi ai quali ha resistito con controricorso COGNOME NOME. Il collegio dopo la decisione ha fissato il termine di sessanta giorni per il deposito della motivazione.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo si deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, n. 5 c.p.c.; violazione o falsa applicazione degli articoli 287 e ss. c.p.c. con riferimento altresì al rimedio dell’impugnazione ex articolo 288, comma 4, in relazione all’articolo 360, nn. 3 e 4 c.p.c. posto che la Corte d’appello aveva del tutto pretermesso l’esame di un motivo di gravame non prendendo affatto in considerazione l’esistenza di un secondo atto di appello, depositato in cancelleria il 10/5/2021 avverso la sentenza di primo grado questa volta corretta nella motivazione. Non c’è alcuna traccia di esame del motivo né della indicazione della proposizione di altro atto di appello, quello depositato il 10/5/2021 sia nel paragrafo relativo alle conclusioni delle parti sia in quello relativo ai motivi della decisione.
Si sostiene che il ricorrente aveva proposto un secondo motivo d’appello a seguito del provvedimento di correzione della sentenza adottato dal giudice di primo grado, sostenendo che il provvedimento in parola avesse inciso sul contenuto decisorio della sentenza originaria e violato il giudicato; ed inoltre che il provvedimento era stato pronunciato in violazione dell’art. 288 c.p.c. in quanto l’istanza era stata depositata non
congiuntamente ma del solo COGNOME e pertanto l’errore era stato emendato attraverso un decreto inaudita altera parte anziché con ordinanza, non avendo il giudice fissato l’udienza di comparizione delle parti.
1.1.- Il motivo deve essere disatteso sussistendo varie ragioni di inammissibilità. In primo luogo perché l’appello di cui si parla va considerato un gravame nuovo, diverso e successivo rispetto a quello deciso dalla Corte e non è provato che vi sia stata la riunione in sede di appello. Inoltre il motivo difetta, oltre che di decisività non essendo contestata l’esattezza della correzione, anche di specificità perché non trascrive l’atto di riunione e gli altri atti processuali che si assumono illegittimi.
2.- Con il secondo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. nonché dell’articolo 2697 c.c. con riferimento all’articolo 360 numeri 3 e 4. Omesso esame circa un fatto decisivo per la controversia che è stato oggetto discussione tra le parti in relazione all’articolo 360, n. 5 c.p.c. atteso che la pronuncia era da considerarsi viziata nella parte in cui aveva riconosciuto le differenze retributive per il primo periodo poi emendato; perché non aveva dato atto che in calce alle buste paghe vi fosse la sottoscrizione del lavoratore anche per ricezione delle somme ed aveva disatteso la giurisprudenza di legittimità relativa al caso in cui i prospetti paga presentano una regolare dichiarazione autografa di quietanza del lavoratore, nel qual caso l’onere della prova della non corrispondenza tra le annotazioni della busta paga e la retribuzione effettivamente erogata grava sul lavoratore.
2.1 Il secondo motivo è inammissibile perché contiene plurime ed eterogenee censure di merito in ordine alla prova delle differenze retributive che per la loro promiscuità lo rendono oscuro ed inestricabile.
Non è comunque precisato in che termini la Corte abbia potuto violare gli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché l’articolo 2697 c.c. ovvero quale sia stato il fatto decisivo omesso seconde le censure sollevate in rubrica. Il motivo non trascrive nemmeno gli atti a cui fa riferimento.
Si consideri che ‘In tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione’. (Cass. n. 1229 del 17/01/2019).
Si aggiunga che la deduzione della violazione del paradigma dell’art. 2697 c.c. risulta esorbitare dalle modalità che la giurisprudenza di questa Corte ha assegnato ad esso statuendo che la violazione di tale norma si configura solo quando il giudice di me rito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basata sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni (v. anche Cass n. 26739 del 15/10/2024).
3.- Col terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 115,116 c.p.c. e 474 c.p.c., nonché dell’articolo 2697 c.c. in relazione all’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c. per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, n. 5 c.p.c.
posto che sia nel primo appello del 3/8/2018 che nel secondo appello del 10/5/2021 l’appellante aveva dato atto di aver versato successivamente alla emissione della sentenza di primo grado in favore del ricorrente l’importo di € 7500 imputandolo al parziale dovuto a titolo di TFR, e l’importo di euro 1290,58 a favore di ciascuno dei suoi procuratori antistatari sul totale dovuto per il pagamento delle spese dei compensi del giudizio di primo grado.
La prova documentale di quanto dichiarato è stata depositata unitamente all’atto d’appello del 3/8/2018; ebbene della dazione di euro 7500 non vi è traccia nella motivazione della sentenza impugnata se non un’errata affermazione: “anche in sede esecutiva il pagamento del dovuto anche in via parziale potrà sempre essere opposto”. In merito all’ adozione delle spese dei compensi del primo grado invece la lapidaria affermazione: “allo stesso modo le somme pagate per le spese giudiziarie di primo grado non saranno più dovute “.
Il motivo è infondato perché il giudice di appello si è limitato a confermare la sentenza di primo grado, sicché delle somme eventualmente pagate a titolo di acconto in seguito della sentenza di primo grado andrà tenuto conto nella eventuale sede esecutiva. In ogni caso, esiste una seconda assorbente ratio decidendi non ritualmente contestata che attiene alla mancata prova del pagamento del TFR.
4.- Per le ragioni esposte il ricorso deve essere quindi respinto.
5.- Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate in dispositivo in favore del controricorrente, con distrazione per l’AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del DPR n.115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 -bis del citato D.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge, con distrazione per l’AVV_NOTAIO.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 10.9.2025
La Presidente
AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME