Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2356 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2356 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24039/2019 R.G. proposto da COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
-ricorrenti – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del procuratore speciale NOME COGNOME, in qualità di procuratrice speciale della RAGIONE_SOCIALE, procuratrice della RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO; -controricorrente –
e
BANCA MONTE DEI PASCHI DI RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE;
-intimata –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 1248/19, depositata il 18 giugno 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 ottobre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME convennero in giudizio la Banca Monte dei Paschi di RAGIONE_SOCIALE S.p.a., proponendo opposizione al decreto ingiuntivo n. 3937/10, emesso il 31 dicembre 2010, con cui il Tribunale di Palermo aveva intimato ad essi opponenti, in qualità di fideiussori della RAGIONE_SOCIALE, il pagamento della somma di Euro 103.506,09, oltre interessi legali, a titolo di restituzione di quattro anticipazioni contro cessione di credito effettuate in favore della debitrice principale.
A sostegno dell’opposizione, gli attori eccepirono la mancata escussione dei debitori ceduti, la mancata pattuizione della facoltà di recesso e la compensazione del credito con il saldo attivo del conto corrente ordinario intrattenuto dalla RAGIONE_SOCIALE, del quale chiesero la rideterminazione, deducendo l’indeterminatezza del tasso d’interesse debitore, l’illegittimità della variazione unilaterale dello stesso nel corso del rapporto, l’illegittimità della capitalizzazione degl’interessi, la mancata pattuizione della commissione di massimo scoperto e del regolamento delle spese e delle valute; lamentarono inoltre l’illegittimità della segnalazione alla RAGIONE_SOCIALE, chiedendone la rettifica, oltre al risarcimento dei danni.
Si costituì la Banca e resistette alla domanda, chiedendone il rigetto.
1.1. Con sentenza del 27 gennaio 2014, il Tribunale di Palermo revocò il decreto ingiuntivo, rideterminando il saldo dei conti correnti in Euro 24.692,28 a credito della correntista.
L’impugnazione proposta dalla Banca è stata parzialmente accolta dalla Corte d’appello di Palermo, che con sentenza del 18 giugno 2019 ha condannato gli attori al pagamento della somma di Euro 78.813,81, oltre interessi legali.
Premesso che, come accertato dal c.t.u. nominato nel corso del giudizio, la debitrice principale era intestataria di un conto anticipi e di un conto corrente ordinario, sui quali venivano rispettivamente addebitate ed accreditate le somme anticipate, con la girata degl’interessi e delle competenze sul conto ordinario, e precisato che il contratto relativo a quest’ultimo recava la pattuizione scritta del tasso d’interessi e della commissione di massimo scoperto, mentre non era stata prodotta alcuna documentazione relativa al primo, la Corte ha ritenuto che tra i due conti esistesse un collegamento, per effetto del quale il rapporto di dare e avere era rappresentato in ogni momento dal saldo del conto corrente ordinario.
Ciò posto, e precisato che l’onere di fornire la prova del credito azionato nel procedimento monitorio incombeva alla Banca, la Corte ha ritenuto che, non essendo stati prodotti tutti gli estratti conto dalla data di apertura del conto corrente ordinario, il c.t.u. avesse correttamente provveduto alla rideterminazione del saldo mediante l’azzeramento del saldo iniziale. Rilevato inoltre che il c.t.u. aveva riferito di non aver potuto rideterminare il saldo del conto anticipi, a causa della mancata produzione della relativa documentazione, ma di aver accertato la correttezza della somma indicata nel decreto ingiuntivo, sulla base delle anticipazioni effettuate e dei rientri, ha ritenuto che il credito della Banca corrispondesse alla somma anticipata e non restituita, detratto il saldo attivo del conto ordinario, pari ad Euro 24.692,28.
La Corte ha infine rigettato l’eccezione di nullità della fideiussione sollevata dagli attori in una memoria non autorizzata, ritenendo non provata la violazione dell’art. 2 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, poiché gli attori non avevano dimostrato la conformità del contratto allo schema predisposto dalla ABI e la presenza delle clausole illegittime, non avendo prodotto lo schema ed avendo indicato un numero di clausole superiore a quelle dichiarate illegittime. Ha aggiunto che il contratto era stato stipulato in data anteriore alla comunicazione dello schema alla Banca d’Italia, ritenendo invece tardive le allegazioni riguardanti la mancata sottoscrizione delle fideiussioni e la decadenza ai sensi dell’art. 1957 cod. civ.
Avverso la predetta sentenza gli attori hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi, illustrati anche con memoria. Ha resistito
con controricorso la RAGIONE_SOCIALE, in qualità di procuratrice della RAGIONE_SOCIALE, a sua volta rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, cessionaria dei crediti della Banca MPS. La Banca MPS non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’impugnazione, i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione dell’art. 645 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto provato il credito della Banca, in base all’importo delle anticipazioni effettuate, senza considerare che il relativo accertamento presupponeva la prova del saldo del conto anticipi, posta a carico della Banca, la quale aveva omesso di produrre gli estratti conto e la relativa documentazione giustificativa.
Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., rilevando che il credito derivante dalle anticipazioni era stato determinato dal c.t.u. sulla base delle sole indicazioni fornite dalla Banca, la quale non aveva adempiuto il proprio onere probatorio, avendo omesso di produrre la documentazione relativa al conto anticipi.
Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione e la falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., osservando che, nel ritenere non provata la nullità della fideiussione, la sentenza impugnata non ha considerato che la Banca non aveva contestato la corrispondenza delle relative clausole allo schema predisposto dall’RAGIONE_SOCIALE.
Con il quarto motivo, i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., sostenendo che, nel ritenere tardiva l’allegazione della mancata prova del credito derivante dal conto anticipi, la sentenza impugnata non ha considerato che si trattava di una mera difesa.
Con il quinto motivo, i ricorrenti deducono l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per aver accolto la domanda, nonostante l’inadempimento dell’onere probatorio gravante sulla Banca, senza considerare che il saldo passivo del conto anticipi non era indicativo di uno scoperto, poiché il rapporto di dare e avere era rappresentato dal saldo del conto corrente ordinario.
I primi due motivi ed il quarto, da esaminarsi congiuntamente, in
quanto aventi ad oggetto la ripartizione dell’onere della prova, in riferimento al saldo del conto anticipi, sono fondati.
Com’è noto, l’opposizione al decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, in cui occorre procedere, con cognizione piena, all’accertamento dell’esistenza e dell’ammontare del credito fatto valere nel procedimento monitorio, senza che l’inversione della posizione formale delle parti comporti un’alterazione delle regole in tema di onere della prova, il quale resta a carico dell’opposto, in qualità di attore in senso sostanziale, per quanto riguarda i fatti costitutivi della pretesa azionata, mentre incombe sullo opponente, in qualità di convenuto in senso sostanziale, relativamente ai fatti estintivi, modificativi ed impeditivi (cfr. Cass., Sez. III, 17/11/2003, n. 17371; Cass., Sez. I, 27/06/2000, n. 8718; Cass., Sez. II, 29/01/1999, n. 807). Tale principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, trova applicazione anche in tema di rapporti bancari in conto corrente, relativamente ai quali è stato precisato che l’estratto di saldaconto certificato ai sensi dell’art. 50 del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, consistente in una dichiarazione unilaterale di un funzionario della banca creditrice accompagnata dalla certificazione della sua conformità alle scritture contabili e da una attestazione di verità e liquidità del credito, costituisce prova sufficiente soltanto ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo, mentre nel giudizio di opposizione, ove le contestazioni del debitore non siano fondate su motivi esclusivamente formali, incombe sulla banca l’onere di fornire la prova piena del proprio credito, mediante la produzione del contratto su cui si fonda il rapporto e dei documenti necessari per la ricostruzione dell’andamento del conto (cfr. Cass., Sez. I, 6/06/RAGIONE_SOCIALE, n. 14640; 25/09/2003, n. 14234; Cass., Sez. III, 19/10/2016, n. 21092).
I predetti principi sono stati correttamente richiamati dalla sentenza impugnata, la quale tuttavia, nell’applicarli, non ne ha fatto buon governo, giacché, pur avendo accertato che il rapporto intercorso tra la debitrice principale e la Banca era articolato in due diversi conti, uno dei quali destinato all’anticipazione dell’importo delle fatture e dei titoli di credito ceduti dalla correntista (c.d. conto anticipi), e l’altro destinato all’annotazione degli addebiti e degli accrediti (c.d. conto ordinario), si è accontentata della produzione (pe-
raltro parziale) dei soli estratti conto relativi al secondo, ritenendo irrilevante la circostanza, segnalata dal c.t.u. incaricato della ricostruzione dell’andamento del rapporto, che in ordine al primo non fosse stata prodotta alcuna documentazione. In proposito, la Corte si è limitata a riportare l’affermazione del c.t.u., secondo cui la somma riconosciuta con il decreto ingiuntivo corrispondeva a quella risultante dalle anticipazioni e dai rientri, richiamando una tabella allegata alla relazione di consulenza, senza curarsi neppure di verificare la provenienza dei dati nella stessa indicati. Ha inoltre evidenziato il collegamento esistente tra il conto anticipi ed il conto corrente ordinario, per effetto del quale gl’interessi ed il capitale a debito o a credito derivanti dal primo si riversavano nel secondo, concludendo che il rapporto di dare ed avere tra la correntista e la Banca doveva considerarsi rappresentato in ogni momento dal saldo del conto ordinario, nel quale affluivano le anticipazioni mediante giroconto, senza che fosse stato effettuato alcun riscontro al riguardo.
Le conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata non tengono conto della circostanza che, in mancanza di qualsiasi documentazione relativa al conto anticipi, non era in alcun modo verificabile la correttezza degl’importi accreditati ed addebitati sul conto corrente ordinario in relazione alle anticipazioni effettuate ed ai corrispondenti rientri. E’ pur vero che, come ripetutamente affermato da questa Corte, nel caso in cui sussista un collegamento tra un conto corrente ordinario ed un conto anticipi, quest’ultimo ha la sola funzione di dare evidenza contabile ai finanziamenti per anticipazioni concessi dalla banca al cliente e riversati nel conto corrente ordinario mediante operazioni di giroconto, recando l’annotazione in «dare» degl’importi erogati in favore del correntista e quella in «avere» degl’importi derivanti dalla riscossione dei crediti ceduti, con la conseguenza che il rapporto tra banca e cliente è rappresentato esclusivamente dal saldo del conto corrente ordinario (cfr. Cass., Sez. I, 5/05/2022, n. 14321; 16/03/RAGIONE_SOCIALE, n. 6575; 20/06/2011, n. 13449). Ai fini della ricostruzione di tale saldo, non può tuttavia prescindersi dalla verifica della corrispondenza degl’importi accreditati ed addebitati nel conto corrente ordinario con quelli annotati nel conto anticipi, la cui diretta correlazione con l’erogazione dei finanziamenti e la riscossione dei crediti ce-
duti risulta indispensabile per risalire all’effettivo compimento delle operazioni sottostanti alle annotazioni riportate nel conto ordinario, soprattutto nel caso in cui, come nella specie, non sia stata prodotta la relativa documentazione.
Non merita consenso, al riguardo, l’osservazione della Corte territoriale, secondo cui gli opponenti avevano fatto valere tardivamente la mancata prova delle anticipazioni, essendosi precedentemente limitati ad eccepire la compensazione tra il relativo credito della Banca e quello derivante dal saldo positivo del conto corrente ordinario: l’allegazione dell’inadempimento dell’onere probatorio ad opera della controparte non costituisce infatti un’eccezione in senso stretto, sottoposta alle preclusioni di cui agli artt. 183 e 345 cod. proc. civ., ma una mera difesa, proponibile anche in appello, risolvendosi in una sollecitazione rivolta al giudice affinché provveda alla verifica della fondatezza della pretesa azionata, che egli è tenuto ad accertare anche d’ufficio. La proposizione dell’eccezione di compensazione non costituiva d’altronde un comportamento processuale idoneo ad evidenziare univocamente la volontà di riconoscere l’avvenuta effettuazione delle anticipazioni, non essendo stata prodotta la relativa documentazione e non essendo stato neppure precisato se gli elementi necessari per l’individuazione di tali operazioni fossero stati specificamente allegati a sostegno della domanda avanzata nel procedimento monitorio: ai fini dell’operatività del principio di non contestazione previsto dall’art. 115 cod. proc. civ., è infatti necessario che l’attore abbia puntualmente adempiuto l’onere di allegazione gravante a suo carico, non potendosi pretendere dal convenuto una presa di posizione circostanziata, a fronte della mancata o generica allegazione dei fatti costitutivi della pretesa azionata (cfr. Cass., Sez. VI, 23/11/2020, n. 26908; 19/10/2016, n. 21075; Cass., Sez. II, 29/09/2020, n. 20525).
L’accoglimento delle predette censure comporta l’assorbimento del quinto motivo, avente anch’esso ad oggetto la ripartizione dell’onere della prova del credito azionato.
E’ invece infondato il terzo motivo, riguardante il rigetto dell’eccezione di nullità della fideiussione, per violazione dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990.
La sentenza impugnata ha infatti rilevato che la proposizione della pre-
detta eccezione, sollevata dai ricorrenti soltanto in una memoria non autorizzata depositata nel corso del giudizio di appello, e poi ribadita nella comparsa conclusionale e nella memoria di replica, non era stata accompagnata dalla produzione in giudizio dello schema uniforme predisposto dall’RAGIONE_SOCIALE, necessaria per verificare la conformità delle clausole contestate a quelle ritenute illegittime dalla Banca d’Italia con provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005.
Tale rilievo si pone perfettamente in linea con l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la nullità del contratto, pur non costituendo oggetto di un’eccezione in senso stretto, in quanto rilevabile d’ufficio da parte del giudice, e potendo quindi essere dedotta anche in sede di gravame, deve risultare da fatti ritualmente introdotti o comunque acquisiti in causa, secondo le regole che disciplinano, anche dal punto di vista temporale, il loro ingresso nel processo, non potendosi fondare su fatti di cui il giudice (o la parte, tardivamente rispetto ai propri oneri) possa ipotizzare solo in astratto la verificazione e la cui introduzione presupponga l’esercizio di un potere di allegazione ormai precluso in rito (cfr. Cass., Sez. III, 17/07/2023, n. 20713; Cass., Sez. lav., 23/11/2021, n. 36353; Cass., Sez. I, 16/03/2016, n. 5249). La circostanza che l’eccezione sia stata proposta per la prima volta in sede di gravame esclude d’altronde la possibilità di ritenere operante, rispetto all’allegazione della predetta conformità, il principio di non contestazione, trovando lo stesso applicazione esclusivamente nel giudizio di primo grado, nel quale soltanto si definiscono irretrattabilmente il thema decidendum e il thema probandum (cfr. Cass., Sez. VI, 4/11/2015, n. 22461); in quanto avente necessariamente ad oggetto fatti storici sottesi alle domande ed alle eccezioni proposte dalle parti, il principio in questione non è peraltro riferibile alle conclusioni ricostruttive desumibili dalla valutazione di documenti, come quelle riguardanti la conformità di un atto rispetto ad un altro (cfr. Cass., Sez. III, 17/11/2021, n. 35037; 5/03/2020, n. 6172).
9. La sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dai motivi accolti, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’appello di Palermo, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie i primi due motivi di ricorso ed il quarto, rigetta il terzo, dichiara assorbito il quinto motivo, cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 18/10/2023