Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 13669 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 13669 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8135/2024 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legarle rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende
-ricorrente – contro
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE
-intimati –
–
Oggetto:
Contratti
bancari
–
Ripetizione
indebito
–
Rimesse
solutorie
–
Rimesse
ripristinatorie – Eccezione
di
prescrizione
Contenuto
R.G.N. 8135/2024
Ud. 06/05/2025 CC
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO ROMA n. 7473/2023 depositata il 21/11/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 06/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 7473/2023, pubblicata in data 21 novembre 2023, la Corte d’appello di Roma, decidendo sull’appello principale proposto da BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A. -e, per essa, dalla mandataria RAGIONE_SOCIALE -e sull’appello incidentale p roposto da RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME -nonché nella contumacia di NOME COGNOME mentre ha respinto l’appello incidentale, ha parzialmente accolto l’appello principale avverso la sentenza Tribunale di Roma n. 5603/2018, pubblicata in data 15 marzo 2018 e, per l’effetto, ha: 1) accertato che il saldo del conto corrente n. 13232/F, intrattenuto dalla CEDAB S.RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE con la BANCA RAGIONE_SOCIALE SIENA S.RAGIONE_SOCIALE.ARAGIONE_SOCIALE doveva essere rideterminato in € 209.503,08 a credito del correntista; 2) condannato RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME a pagare alla RAGIONE_SOCIALE la somma 89.755,33, oltre interessi di mora al tasso del 7,75% dal 27.6.2003 al pagamento;
RAGIONE_SOCIALE -successivamente divenuta ora RAGIONE_SOCIALE ed i suoi fideiussori, NOME COGNOME e NOME COGNOME -cui, a seguito di decesso, erano succeduti gli eredi NOME E NOME COGNOME -aveva convenuto in giudizio la Banca Antoniana Popolare Veneta S.P.A. – poi fusa per incorporazione in BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA RAGIONE_SOCIALE – chiedendo, in relazione ad un rapporto di conto corrente (inizialmente acceso presso la Banca Nazionale
dell’Agricoltura e poi trasferito alla Banca Antoniana Popolare Veneta), di accertare l’illegittima applicazione della capitalizzazione trimestrale, di interessi ultralegali e commissione di massimo scoperto, in assenza della relativa pattuizione, e, per l ‘effetto, di condannare l’istituto di credito convenuto al pagamento del saldo attivo, alla data del 30 giugno 2002, di € 372.561,88 oltre interessi legali, ovvero di portare a compensazione detto saldo con gli eventuali crediti sussistenti in capo alla medesima Banca – in particolare con riferimento ad un contratto di finanziamento – con condanna della Banca al pagamento del residuo credito risultante in favore di essa società attrice, oltre gli interessi legali dalla domanda al saldo.
Costituitasi regolarmente la convenuta, contestando la fondatezza della domanda, il Tribunale di Roma, all’esito di istruttoria – ed in particolare dell’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio – aveva: 1) accertato la nullità della pattuizione di commissioni di massimo scoperto e capitalizzazione degli interessi per mancanza di forma scritta; 2) previa compensazione del credito di € 89.755,33, vantato dalla Banca Antoniana Popolare Antonveneta nei confronti della CEDAB S.R.L., in relazione al contratto di finanziamento, con il maggiore credito vantato dalla società attrice per € 209.503,08, in relazione al contratto di conto corrente, condannato la convenuta a corrispondere alla CEDAB S.R.L. la somma di € 119.747,75, oltre gli interessi legali dalla domanda al saldo; 3) dichiarato che i fideiussori NOME COGNOME nonché NOME E NOME COGNOME quali eredi di NOME COGNOME nulla dovevano all’istituto di credito convenuto in relazione ai dedotti rapporti bancari.
La Corte d’appello di Roma per quanto ancora rileva nella presente sede -nel pronunciarsi pronunciandosi sui motivi di appello principale, ha accolto il primo motivo di appello principale -col quale
si contestava l’ammissibilità della domanda di ripetizione di indebito per essere il conto corrente ancora aperto alla data di proposizione della domanda -rilevando l’assenza dei presupposti per la proposizione dell’azione ex art. 2033 c.c.
La Corte ha invece disatteso gli ulteriori motivi, rilevando:
-quanto al secondo motivo -col quale si censurava la decisione di prime cure per non aver accolto la domanda riconvenzionale di pagamento del saldo passivo del conto corrente con riferimento al saldo negativo di € 219.977,82 alla data del 1° settembre 1993 -che la pretesa dell’istituto di credito non risultava provata, non risultando prodotta l’integralità degli estratti conto relativi al rapporto e non potendosi colmare la lacuna con la produzione -anch’essa solo parziale dei mastrini, non avendo l’app ellante indicato le ragioni per cui quanto riportato nei mastrini dovesse ritenersi attendibile;
-quanto al terzo e quarto motivo -con i quali si censurava la decisione di prime cure per aver disatteso l’eccezione di prescrizione decennale affermando la presenza di un affidamento del conto -che gli stessi: 1) per effetto del rigetto del secondo motivo, risultavano parzialmente assorbiti, avendo il Tribunale proceduto alla determinazione del saldo effettivo del conto corrente a decorrere dal 1° gennaio 1993 (data del primo estratto conto documentato) e sino alla data di introduzione del giudizio -e cioè 27 giugno 2003 – per cui non risultava maturata alcuna prescrizione per le poste relative al decennio anteriore al 27 giugno 2003, risultando persino irrilevante l’accertamento dell’esistenza dell’apertura di credito, e quindi la distinzione tra rimesse solutorie e ripristinatorie; 2) risultavano infondati quanto al periodo
antecedente al decennio anteriore alla data di notifica della citazione, in quanto la consulenza tecnica d’ufficio non aveva evidenziato la presenza di rimesse solutorie, senza che l’appellante avesse mosso censure concrete;
-quanto al quinto motivo -col quale si censurava la decisione impugnata per non aver riconosciuto la validità della clausola di capitalizzazione degli interessi per il periodo successivo alla delibera CICR del 9 febbraio 2000 -che l’applicazione della capitalizzazione avrebbe presupposto una espressa pattuizione di nuove condizioni, nella specie assente.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma ricorre RAGIONE_SOCIALE
Sono rimasti intimati RAGIONE_SOCIALE, COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a nove motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., deducendosi ‘motivazione apparente per avere la Corte territoriale ritenuto corretta la ricostruzione del saldo di c/c n. 13232/F eseguita dal CTU sulla base dei cd. ‘mastrini’ ritenendo che l’istituto di credito ne avrebbe dovuto contestare l’attendibilità’ .
Come sintetizzato nel ricorso, ‘Si impugna la sentenza delle Corte territoriale che, nel decidere su domande contrapposte, dapprima ha ritenuto che potesse essere utilizzato qualsiasi elemento di prova, ivi inclusi i ‘mastrini’, per dimostrare le movimentazioni del c/c, rilevando
che il CTU li aveva presi in considerazione nella sua relazione e, poi, ha motivato il rigetto del secondo motivo di appello principale perché la Banca non aveva indicato le ragioni di attendibilità di quanto riportato nei ‘mastrini’, in quanto affetta da vizio di ‘motivazione apparente” .
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa interpretazione e applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c.
Come sintetizzato nel ricorso, ‘Si impugna la sentenza per violazione degli artt. 2697 c.c. e 115 e 116 c.p.c. in quanto la Corte d’Appello, nonostante avesse correttamente richiamato i principi enunciati dalla Corte di legittimità in merito al riparto dell’onere della prova in ipotesi di domande contrapposte, ne ha fatta erronea applicazione al caso di specie, ritenendo che la documentazione acquisita in atti, pur se proveniente dalla correntista e pur non costituendo dei veri e propri estratti conto, ma d ei ‘mastrini’, non potesse essere utilizzata ai fini del decidere, perché la CTU COGNOME non l’aveva reputata idonea. Il tutto sebbene nessuna contestazione fosse stata mossa dall’istituto di credito in merito all’attendibilità ed utilizzabilità di quella documentazione’ .
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 c.p.c.
Come sintetizzato nel ricorso, ‘La sentenza della Corte territoriale è viziata anche per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere deciso al di là dei limiti della domanda, in quanto nel proprio atto di appello l’istituto appellante aveva contestato la decisione del Tribunale per avere omesso del tutto la valutazione di tutti i documenti contabili depositati da entrambe le parti e idonei a documentare l’evoluzione integrale del rapporto’ .
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., ‘nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c. (…) per avere la Corte d’Appello travisato il contenuto oggettivo della prova avendo ritenuto che la documentazione di cui all’allegato E della CTU del Prof. COGNOME fosse costituita solo da ‘mastrini’ fino al 1/1/1993′ .
Come sintetizzato nel ricorso, ‘Si censura la sentenza della Corte territoriale per avere travisato il contenuto oggettivo della prova (il cd. demonstratum), con conseguente assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre, atteso che le prove documentali depositate sia dalla correntista che dalla Banca, acquisite al giudizio, depositate anche nell’allegato ‘E’ alla relazione del Prof. NOME COGNOME e dallo stesso utilizzate per redigere il proprio elaborato, hanno un contenuto oggettivamente ed inequivocabilmente diverso da quello loro attribuito dai giudici di merito’ .
1.5. Con il quinto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Come sintetizzato nel ricorso, ‘Si censura la sentenza della Corte territoriale per avere omesso di esaminare un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, vale a dire l’avvenuto deposito da parte degli attori degli estratti conto dal 31/12/1988 al 31/12/1989 e dal 1/1/1993 al 10/10/2003, e di non avere considerato, ai fini dell’esame del terzo e del quarto motivo di appello, che il conto corrente n. 13232F è stato estinto alla data del 10/10/2003, non già alla data del 30/6/2013, sicchè, se la Corte territoriale avesse tenuto in considerazione che il rapporto era stato estinto al 31/12/2003 e che la prescrizione avrebbe operato per le rimesse solutorie eseguite fino
al 27/6/1993, non avrebbe potuto dichiarare assorbiti i motivi terzo e quarto di appello’ .
1.6. Con il sesto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c.
Come sintetizzato nel ricorso, ‘La sentenza è nulla perché recante ‘motivazione apparente, illogica, perplessa’ laddove ha dichiarato l’assorbimento del terzo e del quarto motivo di appello principale per effetto del rigetto del secondo motivo di appello, in quanto: (a) la dichiarata impossibilità di individuare rimesse per cui è maturata la prescrizione contrasta con le risultanze peritali e la documentazione acquisita, oltre che con la stessa sentenza di primo grado; (b) illogica laddove, dapprima, richiama il contenuto della sentenza del Tribunale che riconosce l’assenza di rimesse solutorie nel periodo dal 1/1/1993 al 26/6/2013 e, poi, ritiene che il Tribunale e il CTU non avessero affermato la natura ripristinatoria delle rimesse eseguite nel periodo che sarebbe coperto da prescrizione; (c) incomprensibile ove ritiene che la Banca avrebbe dovuto indicare l’esistenza di rimesse solutorie risultanti dagli estratti conto esaminati dal CTU e prodotti dalle parti’ .
1.7. Con il settimo motivo il ricorso deduce ‘Nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. per avere la Corte d’Appello travisato il contenuto oggettivo della prova quanto alla documentazione depositata in giudizio, alle risultanze delle CTU espletate in primo grado, alla durata del rapporto, alla data di chiusura del c/c e al decorso della prescrizione’ .
Come sintetizzato nel ricorso, ‘Si chiede la cassazione della sentenza per avere la Corte territoriale travisato il contenuto oggettivo della prova, in quanto le prove documentali depositate sia dalla correntista che dalla Banca, acquisite al giudizio, depositate anche nell’allegato ‘E’ alla relazione del Prof. NOME COGNOME nonché le perizie
redatte dal CTU COGNOME e dalla dott.ssa COGNOME e le conclusioni a cui quest’ultima è pervenuta in materia di prescrizione, hanno un contenuto oggettivamente ed inequivocabilmente diverso da quello loro attribuito dai giudici di merito’ .
1.8. Con l’ottavo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 117 TUB; 1832, 2935, 2946, 2697 c.c.
Come sintetizzato nel ricorso, ‘Si censura la sentenza della Corte territoriale laddove ha rigettato l’eccezione di prescrizione delle rimesse solutorie intervenute prima del 27/6/1993, ritendo che la Banca non avesse assolto all’onere della prova per non aver indicato che vi erano rimesse solutorie prescritte risultanti dagli estratti conto utilizzati dal CTU, sebbene sia pacifico, da un lato, che la Banca debba solo allegare l’inerzia del titolare e, dall’altro, che per neutralizzare l’eccezione di prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito per decorso del termine decennale dal pagamento dei versamenti solutori, gravi sulla correntista l’onere di depositare il contratto di apertura di credito, non essendo ammissibile nel nostro ordinamento il ricorso al concetto di ‘fido di fatto” .
1.9. Con il nono motivo il ricorso deduce la violazione dell’art. 120 TUB
Come sintetizzato nel ricorso, ‘Si censura la sentenza laddove ha rigettato il quinto motivo di appello sull’omesso riconoscimento della capitalizzazione trimestrale, avendo la Corte d’Appello ritenuto insufficiente la comunicazione effettuata mediante avviso sulla Gazzetta Ufficiale e attraverso gli estratti conto’ .
Il primo motivo di ricorso è fondato.
La decisione impugnata, infatti, contiene nel proprio sviluppo argomentativo una sequenza di asserzioni le quali risultano -in modo evidente -irrimediabilmente contraddittorie.
La Corte d’appello, infatti, è venuta contemporaneamente ad affermare:
-che ‘ non è possibile ritenere -come deduce parte appellante -che risulti ‘documentata l’evoluzione ininterrotta del rapporto’ di conto corrente in ragione della produzione dei mastrini del conto corrente n. 13232/F intestato alla Genedil S.p.A., all’epoca titolare del conto in questione’ , osservando che i mastrini erano ‘ relativi al periodo dal 2.7.1990 al 31.12.1992, e quindi non coprano l’intero periodo dal 31.12.1989 al 31.12.1992, restando comunque priva di documentazione il periodo dal 1°.1.1989 al 30.6.1990 ‘ , e concludendo che ‘i n nessun caso, dunque, il giudice di primo grado avrebbe potuto procedere alla ricostruzione del rapporto dare/avere ‘avrebbe dovuto essere eseguito a partire dal 31/12/1988’, poiché non ‘risulta (…) in atti la relativa documentazione” (pagg. 13-14);
-che , in assenza dell’integralità degli estratti conto a far tempo dall’apertura del rapporto, la prova dei movimenti intermedi poteva ‘essere acquisita aliunde, cioè attraverso altri mezzi di prova ‘ e che quindi correttamente il CTU aveva ‘ ritenuto che tale documentazione, pure presente in atti, fornisse quella prova certa necessaria a consentire la ricostruzione del rapporto nel periodo in relazione a cui non sono stati prodotti gli estratti conto. ‘ (pag. 14);
-che, tuttavia, la ricorrente ‘non dedotto, nel proporre appello, alcunché in ordine alle ragioni per cui quanto riportato
dai mastrini in questione dovesse ritenersi attendibile e essere posto a fondamento, in particolare, della domanda di condanna proposta dalla stessa (oltre che, invero, anche di quella di ripetizione proposta dalla società correntista).’ (pag. 14).
È inevitabile osservare che -al di là del carattere obiettivamente incomprensibile del periodo finale del primo capoverso (evidentemente mancante di una parte che tuttavia non può essere ricostruita in via interpretativa) -l’insieme delle asserzioni formulate in modo sequenziale -evidenzia un contrasto tale da rendere la motivazione obiettivamente incomprensibile ed irrimediabilmente perplessa.
Come correttamente osservato dalla ricorrente, infatti, ‘(…) a prescindere dalla correttezza o meno della soluzione adottata dalla Corte territoriale, non è possibile scorgere il fondamento della ratio decidendi, atteso che non è dato comprendere il motivo per cui la Banca avrebbe dovuto indicare le ragioni di attendibilità delle movimentazioni contenute nei ‘mastrini’ laddove la stessa Corte territoriale aveva ammesso, nel passaggio logico precedente, che i ‘mastrini’ erano stati correttamente utilizzati a i fini del decidere dal Tribunale’ .
Ancora di più -e sempre come argomentato dalla ricorrente -appare ‘ priva di senso la decisione della Corte territoriale che nel decidere su domande contrapposte, dapprima ha ritenuto che potesse essere utilizzato qualsiasi elemento di prova, ivi inclusi i ‘mastrini’, per dimostrare le movimentazioni del c/c, rilevando che il CTU li aveva presi in considerazione nella sua relazione e, poi, ha motivato il rigetto del secondo motivo di appello della Banca che non aveva indicato le ragioni di attendibilità di quanto riportato nei ‘mastrini” .
In sintesi, la decisione impugnata risulta aver affermato contemporaneamente sia l’attendibilità sia l’inattendibilità dei mastrini ai fini di una ricostruzione attendibile dell’andamento del conto corrente, incorrendo, in tal modo, in quel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” che costituisce una delle ipotesi nelle quali questa Corte ritiene ancora possibile -dopo la riformulazione dell’art. 360, n. 5), c.p.c. – il sindacato di legittimità sulla motivazione ed il rilievo dell’anomalia motivazionale che si sia tramutata in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; Cass. Sez. U, Sentenza n. 8054 del 07/04/2014; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 23940 del 12/10/2017 e, da ultimo, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022), dal che consegue la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4), c.p.c., risultando la motivazione del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione.
L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento dei motivi secondo, terzo, quarto e quinto, essendo gli stessi riferiti complessivamente al profilo della sussistenza di adeguata prova dell’andamento del rapporto di conto corrente e cioè ad un tema sul quale -come appena visto – la Corte territoriale si è pronunciata con una decisione caratterizzata da nullità per assenza di motivazione.
Appare a questo punto opportuno esaminare l’ottavo motivo, anch’esso da ritenersi fondato .
Nell’affermare (pagg. 16 -17) che, in relazione al periodo anteriore al 1° gennaio 1993, l’odierna ricorrente avrebbe avuto l’onere di indicare l’esistenza di rimesse solutorie risultanti dagli estratti conto, la Corte territoriale -che pure aveva rilevato che il giudice di primo grado aveva escluso nel periodo in questione l’esistenza di rimesse solutorie, semplicemente conformandosi alla C.T.U. ma senza
affermare che le operazioni di accredito avessero carattere ripristinatorio e senza neppure affermare l’esistenza di un c.d. ‘fido di fatto’ , ‘ peraltro neanche allegato da parte attrice ‘ (pag. 16) -si è posta in diretto contrasto con il principio, più volte affermato da questa Corte, per cui, in tema di prescrizione estintiva, l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte (Cass. Sez. U – Sentenza n. 15895 del 13/06/2019; Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 7013 del 11/03/2020; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 34997 del 14/12/2023; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 26897 del 16/10/2024).
Ha quindi errato la Corte territoriale -e ciò a maggior ragione nel momento in cui essa stessa aveva evidenziato l’emergere dal giudizio di prime cure di un quadro complessivo assolutamente indeterminato in ordine all’esistenza di rimesse solutorie o ripristinatorie a ritenere che fosse onere dell’odierna ricorrente quello di procedere ad una specifica individuazione delle rimesse solutorie anziché provvedere alla valutazione della fondatez za o meno dell’eccezione di prescrizione sulla scorta delle prove disponibili secondo i principi reiteratamente dettati da questa Corte.
5. Il sesto motivo, a questo punto, risulta assorbito.
Quanto alle censure della ricorrente riferite all’affermazione della Corte territoriale per cui, in relazione alle rimesse nel decennio tra l’anno 1993 e l’anno 2003 , gli originari motivi di appello terzo e quarto dovevano ritenersi assorbiti dal rigetto del secondo motivo di appello,
è agevole osservare che, una volta ritenuta -in accoglimento del primo motivo di ricorso – la nullità della decisione impugnata -esattamente nella parte in cui la stessa ha disatteso il secondo motivo di appello sulla base dalla ritenuta inattendibilità dei mastrini ai fini della ricostruzione dell’andamento del conto corrente -la necessità di valutare nuovamente il secondo motivo di ricorso comporterà di riflesso l’esigenza di valutare nuovamente anche i motivi ritenuti assorbiti.
Quanto alle censure della ricorrente riferite all’affermazione della Corte territoriale per cui, in relazione alle rimesse nel decennio anteriore al l’anno 1993 , i motivi di appello dovevano ritenersi infondati per non avere l’odierna ricorrente adeguatamente argomentato la presenza di rimesse solutorie, è agevole osservare che, una volta affermato -in accoglimento dell’ottavo motivo di ricorso -che l’odierna ricorrente non era tenuta a procedere ad una specifica individuazione delle rimesse ritenute solutorie, anche sotto tale profilo dovrà procedersi ad una rinnovata valutazione delle difese sollevate dalla ricorrente stessa, senza arrestarsi al mero profilo dell’assenza di concrete censure all’accertamento peritale.
Assorbito -questa volta per effetto del semplice accoglimento dell’ottavo motivo – risulta anche il settimo motivo.
Infondato, invece, è il nono ed ultimo motivo.
La Corte territoriale ha escluso la possibilità di applicare la capitalizzazione trimestrale, ritenendo insufficienti le comunicazioni effettuate sulla Gazzetta Ufficiale e tramite gli estratti conto ed affermando invece la necessità di una nuova pattuizione.
In tal modo la Corte territoriale si è pienamente conformata all’orientamento ripetutamente espresso da questa Corte, per cui , in ragione della pronuncia di incostituzionalità dell’art. 25, comma 3, del d.lgs. n. 342 del 1999, le clausole anatocistiche inserite in contratti di
conto corrente conclusi prima dell’entrata in vigore della delibera CICR 9 febbraio 2000 sono radicalmente nulle, con conseguente impraticabilità del giudizio di comparazione previsto dal comma 2 dell’art. 7 della delibera del CICR teso a verificare se le nuove pattuizioni abbiano o meno comportato un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, sicché in tali contratti perché sia introdotta validamente una nuova clausola di capitalizzazione degli interessi, è necessaria una espressa pattuizione formulata nel rispetto dell’art. 2 della predetta delibera (Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 9140 del 19/05/2020; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 29420 del 23/12/2020).
8. In conclusione, alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto in relazione al primo ed ottavo motivo, respinto il nono ed assorbiti gli altri.
Conseguentemente, la decisione impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, la