Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8664 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8664 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22879/2021 R.G. proposto da : COGNOME, elettivamente domiciliati in Altamura INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOMEcontroricorrente-
nonchè CURATELA FALLIMENTO
contro
RAGIONE_SOCIALE
TOSCANA
-intimato-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 1103/2021 depositata il 28/05/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio di fronte al Tribunale di Pistoia, la Cassa di risparmio di Pistoia e Pescia s.p.a., nonché i fideiussori NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME deducendo di essere titolare di un conto corrente di corrispondenza nonché di numerosi conti tecnici accessori (conti anticipi, conti SBF) e di un rapporto per finanziamenti all’import, contestando la correttezza degli estratti conto e delle risultanze contabili della banca per l’applicazione sia di interessi mai pattuiti ed anche usurari ed anatocistici, sia per l’illegittima applicazione di CMS e di spese non dovute, chiedendo accertarsi tutte le nullità invocate, ricalcolare le competenze e condannare la banca al rimborso della somma che fosse risultata a proprio credito. La banca convenuta chiedeva il rigetto delle domande attoree e, in via riconvenzionale, la condanna sia della società attrice che dei tre fideiussori, previa loro chiamata in causa, al pagamento del saldo dei richiamati rapporti bancari, indicato nella somma di euro 385.858,75 per la quale chiedeva, altresì, ordinanza-ingiunzione ex art. 186 ter c,p.c.
1.1Rimasti contumaci i fideiussori, l’attrice disconosceva le sottoscrizioni sui documenti prodotti dalla banca, ed il Tribunale disponeva CTU calligrafica che confermava l’autenticità delle firme; quindi il Tribunale, con ordinanza, ingiungeva alla società attrice ed ai fideiussori ex art. 183 ter c.p.c. il pagamento della somma di euro 79.693,60 (40.000.00 + 39.693,60, ritendo non liquido il credito della banca risultante dal saldo di conto corrente), concedendo la provvisoria esecuzione solo nei confronti della società attrice.
1.2Chiriconi, COGNOME e COGNOME si costituivano in giudizio contestando il credito della banca nonché la validità e l’efficacia delle fideiussioni; NOME COGNOME disconosceva le sottoscrizioni apposte su alcuni documenti depositati dalla banca; il Tribunale concedeva la provvisoria esecuzione dell’ordinanza ex art. 186 ter c.p.c. solo nei confronti di COGNOME e COGNOME e disponeva ulteriore CTU grafologica; tuttavia, prima del conferimento dell’incarico, il processo si interrompeva (in data 27.1.15) per il fallimento di RAGIONE_SOCIALE Il processo veniva riassunto dai terzi chiamati e proseguiva con l’espletamento di CTU grafologica che accertava la genuinità delle firme della COGNOME. Il Tribunale, pertanto, concedeva la provvisoria esecuzione dell’ordinanza -ingiunzione anche nei confronti di COGNOME e disponeva CTU contabile sul rapporto di conto corrente volta a rideterminare il saldo escludendo le c.m.s. e gli interessi passivi anatocistici. All’esito della CTU il Tribunale condannava COGNOME, COGNOME e COGNOME, in solido tra loro, al pagamento a favore di Cassa di Risparmio di Pistoia e Lucchesia della complessiva somma di euro 368.154,34, oltre interessi di mora.
– La sentenza è stata confermata dalla Corte d’appello di Firenze che osservando che:
era infondato il primo motivo d’appello con cui gli appellanti sostenevano che la banca non avesse provato il proprio credito, sia nell’ an che nel quantum non avendo prodotto tutti gli estratti conto nonché i relativi scalari – in quanto risultava dagli atti che, con riferimento al credito maturato sul c/c, la banca aveva prodotto, oltre all’originale del contratto di apertura di conto corrente (recante tutte le condizioni economiche del rapporto), anche il certificato saldaconti, tutti gli estratti conto (e precisamente dal 30.9.98 al 9.3.11, ad eccezione solo del IV trimestre del 1999) con riassunto scalare dall’inizio del rapporto e sino alla sua chiusura; inoltre erano stati prodotti i contratti di anticipo delle RI.BA. salvo
buon fine e, comunque, gli «appunti», al s.b.f. che erano stati sottoscritti nel corso del rapporto da RAGIONE_SOCIALE; infine, con la memoria istruttoria, la banca aveva prodotto ulteriore documentazione (specificata in motivazione) che era sicuramente idonea a consentire una adeguata ricostruzione del rapporto di dare/avere tra le parti, come riconosciuto dal CTU;
la mancata menzione nella consulenza dei vari conti accessori (conti anticipi, s.b.f.), non voleva affatto dire che il CTU non avesse tenuto conto nella ricostruzione del dare/avere di tutti i movimenti risultanti dai vari conti accessori, invero – come affermato dallo stesso CTU- detti conti erano stati considerati concettualmente ricompresi nell’unico contratto di conto corrente bancario, dato che le competenze addebitate sui conti accessori si scaricavano poi sul conto ordinario; perciò le risultanze della CTU contabile erano attendibili, bene aveva fatto il Tribunale a fondare la sua decisione su tale elaborato;
infondate -alla luce delle risultanze documentali – erano le doglianze degli appellanti relative alla completezza e valenza della documentazione prodotta dalla banca con riferimento all’anticipo su fatture e al finanziamento estero all’import;
la tesi dell’avvenuto accertamento del credito della banca in sede fallimentare era stata sostenuta dalla banca stessa ma non era stata fatta propria dal giudice nella sentenza appellata onde la doglianza mossa a detta argomentazione era del tutto inconferente;
fermo che la banca aveva prodotto in causa tutti gli estratti conto (ad eccezione di uno soltanto) relativi sia al conto principale che ai conti accessori, nel costituirsi in giudizio la convenuta Cassa di Risparmio aveva chiaramente indicato il suo credito nella somma complessiva di euro 385.858,75 (risultante per euro 306.165,15 per saldo debitore del conto corrente) calcolato alla data di chiusura del medesimo; i fideiussori, nella loro (tardiva)
costituzione in giudizio non avevano minimamente contestato questo assunto, limitandosi a far proprie le difese dell’attrice NOME COGNOME circa la correttezza delle risultanze contabili per l’applicazione di poste indebite ed a contestare la validità e l’efficacia delle loro fideiussioni; che l’indicazione alla data del 9.3.11 della somma di euro – 306.165,15 «come competenze di chiusura» ed il fatto che nel rigo sottostante in pari data detta indicazione si trasformava in zero come «azzeramento saldo per estinzione» era chiaramente -come del resto indicato dal CTU -«un azzeramento» puramente contabile, essendo del tutto evidente che il giorno della chiusura del conto non vi era stata alcuna rimessa dell’importo di 306.165,15 che avesse fatto tornare davvero a zero il saldo negativo;
f) era generica ed infondata la contestazione all’operato del Tribunale quanto all’elaborazione del quesito conferito al CTU; quanto, poi, alla valutazione dei risultati della consulenza tecnica, le asserzioni in ordine all’applicazione di interessi usurari non erano state affatto trascurate, bensì ritenute del tutto sfornite di prova avendo Toscana Casa eccepito il superamento dei tassi soglia in maniera del tutto generica, senza evidenziare nè i parametri di riferimento (mediante produzione dei periodici decreti ministeriali di rilevazione dei tassi effettivi globali medi da cui calcolare il tasso soglia tempo per tempo esistente), nè i periodi o l’entità di tale superamento; né alcunchè di rilevante si traeva dalla laconica consulenza di parte;
g) nel merito ha ritenuto corrette le argomentazioni del Tribunale secondo le quali il riconteggio doveva essere effettuato applicando al rapporto i tassi convenzionali perché espressamente pattuiti da RAGIONE_SOCIALE per tutti i rapporti (anche quelli accessori) e non, invece, il tassi sostitutivi BOT ex art. 117 TUB (applicando i quali il CTU era arrivato a calcolare un indebito di euro 55.500,99); ed altrettanto corretta era stata la decisione del Tribunale – eseguita
dal CTU di depurare il conto dall’applicazione degli interessi anatocistici solo fino all’entrata in vigore della delibera CICR 9.2.2000 e non anche per il periodo successivo, avendo il Tribunale ritenuto provato che la banca si era concretamente adeguata alla regola della pari periodiocità della capitalizzazione degli interessi attivi e passivi maturati sullo stesso conto corrente;
h) in base all’ulteriore calcolo effettuato dal CTU con depurazione dell’anatocismo e della CMS sino al 2000 e con applicazione dei tassi pattuiti dalle parti in luogo dei tassi BOT, l’indebito era sceso da euro 55.500,99 ad euro 17.704,41; considerando, quindi, che il conto corrente alla data di chiusura era a debito della correntista per euro 306.165,15, era corretta la sentenza appellata che aveva accertato alla data di chiusura del conto un debito di RAGIONE_SOCIALE verso la banca pari a euro 288.460,7;
i) era infondata la censura di nullità della sentenza appellata a causa della mancata revoca da parte del Tribunale dell’ordinanza -ingiunzione ex art. 186 ter c.p.c. emessa in data 12-13/12/2013 pronuncia ritenuta necessaria dall’appellante in quanto, diversamente, la banca disporrebbe di due diversi titoli esecutivi -invero, secondo la giurisprudenza della Cassazione « La disciplina contenuta nell’art. 186 ter cod. proc. civ., con riferimento all’ordinanza-ingiunzione di pagamento o di consegna in corso di causa, non contempla l’apertura di una fase autonoma di opposizione, svincolata dal giudizio di merito pendente nel quale è stata emessa, né la sua definitività con gli effetti del giudicato in caso di omessa opposizione, prevedendo piuttosto che il processo debba proseguire regolarmente, affinché la condanna provvisoria venga revocata, modificata o confermata dalla sentenza conclusiva, dalla quale è necessariamente destinata ad essere sostituita o assorbita . Infatti, detto provvedimento anticipatorio è assoggettato al regime delle ordinanze revocabili di cui agli artt. 177 e 178, primo comma, cod. proc. civ., e, come tale, è inidoneo ad
assumere contenuto decisorio e ad incidere con l’autorità del giudicato su posizioni di diritto sostanziale » (cfr. Cass. Sez. Un. Sentenza n. 1820/2007); perciò non solo la asserita omissione non era idonea a determinare la nullità della sentenza appellata, ma il Tribunale non doveva affatto revocare l’ordinanza di pagamento provvisoria, perché tale provvedimento avrebbe dovuto essere adottato solo se la successiva sentenza avesse accertato l’inesistenza del credito della banca o la sussistenza di un credito minore di quello riconosciuto provvisoriamente ex art. 186 ter c.p.c.; viceversa con l’ordinanza -ingiunzione ex art. 186 ter c.p.c. il Tribunale aveva condannato, sia la società attrice in bonis che i tre fideiussori, al pagamento solo della somma di euro 79.693,60 (40.000.00 + 39.693,60), ritendo ancora non liquido il credito della banca risultante dal saldo di conto corrente poi, accertato all’esito della CTU contabile nella misura di 288.460.74; onde era corretta la condanna in sentenza dei tre fideiussori al pagamento della somma finale di euro 368.154,34, rispetto alla quale la condanna provvisoria, quale minus , era rimasta completamente assorbita nella condanna definitiva, e proprio per questo la sentenza non doveva né revocarla, né modificarla, né confermarla, unico titolo essendo la sentenza finale di condanna al pagamento del maggior importo.
4. – Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME affidato a due motivi di cassazione. Ha resistito, con controricorso Intesa San Paolo s.p.a. (subentrata per fusione a Cassa di Risparmio di Pistoia e della Lucchesia s.p.a.) rappresentata da RAGIONE_SOCIALE Quest’ultima ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
– Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c., con riferimento agli artt. 2697 c.c. (sull’onere della prova), 115 c.p.c.
(sulle prove proposte dalle parti e poste a fondamento della decisione); 116 c.p.c. (sulle prove tratte dal comportamento processuale). Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, omessa, carente e contraddittoria motivazione, di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c.
I ricorrenti deducono che la banca non avrebbe prodotto nessun estratto di c/c e nessuno scalare, poiché quelli prodotti in giudizio sono delle semplici stampe di evidenze interne della banca del tutto prive di valore. In ogni caso i documenti prodotti dalla banca risulterebbero incompleti per non coprire i periodi mancanti (IV trimestre 1999, documentazione relativa all’anticipo su fatture e al finanziamento estero all’import); inoltre, quanto ai conti tecnici sottesi e/o accedenti al contratto di conto corrente (specificatamente i conti anticipo s.b.f. ed il finanziamento estero all’import), era irrilevante che i saldi fossero stati riportati dalla banca nel conto corrente ordinario, trattandosi solo di una appostazione contabile, laddove la fonte che determina il saldo, negativo o positivo, del conto tecnico, si trovava solo nei documenti relativi al rapporto tecnico collegato.
Infine con riguardo al saldo di c/c, contestano la motivazione resa dalla sentenza con riguardo all’intervenuto azzeramento contabile del saldo per passaggio a sofferenza, ribadendo che l’onere della prova di dimostrare l’esistenza e l’ammontare del credito nascente dal rapporto di conto corrente incombeva sulla banca attrice non potendosi mettere in discussione l’appostazione contabile di azzeramento (riportata nella stessa documentazione prodotta proprio dalla banca) sulla base di mere presunzioni e indizi.
1.1. – Il motivo è inammissibile.
Il vizio motivazionale fondato sulla asserita violazione dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. è inammissibile ai sensi dell’art. 360 comma 4 c.p.c. poiché la sentenza gravata è sul punto conforme a
quella di primo grado, essendosi entrambi i giudici di merito pronunciati per le stesse ragioni sui medesimi fatti.
Per il resto la censura attiene alla valutazione delle risultanze probatorie, che compete in via esclusiva al giudice di merito e non può essere sindacata in sede di legittimità alla luce delle argomentazioni svolte, che invocano del tutto impropriamente la violazione delle norme di cui all’art.2697 c.c. e 115, 116 c.p.c. essendo noto che: a) la violazione dell’art. 2697 si configura soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 5 settembre 2006, n. 19064; Cass. 14 febbraio 2000, n. 2155; Cass. 2 dicembre 1993, n. 11949); b) la violazione dell’art. 116 c.p.c., è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento (per tutte Cass., Sez. Un., 30 settembre 2020, n. 20867); c) la violazione dell’art. 115 c.p.c., implica la denuncia che il giudice abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è
inammissibile la diversa doglianza circa la valutazione da parte del giudice del merito delle risultanze documentali (per tutte Cass., Sez. Un., 30 settembre 2020, n. 20867).
In realtà, nel caso di specie – lungi dal censurare una violazione delle regole sulle ripartizione dell’onere probatorio o di quella sul valore da attribuire alle prove – la ricorrente muove una censura tutta versata « in fatto » sulla valutazione della sufficienza o meno del materiale probatorio offerto, la quale è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, e che può essere censurata in sede di legittimità solo sotto il profilo del vizio di motivazione e, quindi, solo laddove sussista una «anomalia motivazionale» che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, « in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processual i», e tale anomalia si esaurisce nella « mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico », nella « motivazione apparente », nel « contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili » e nella « motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile », esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «s ufficienza » della motivazione (v. Cass. Sez. Un. n.8053/14). Anomalie non rinvenibili e non dedotte in questo caso, ove i ricorrenti hanno solo dedotto il vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. in fattispecie processuale -come detto- inammissibile.
1.2. – Ciò detto il motivo è inammissibile anche laddove invoca la giurisprudenza di legittimità a conforto della propria censura alla sentenza gravata, poiché questa è consolidata nel senso che, a fronte, della mancata acquisizione di una parte degli estratti conto il giudice del merito « può valorizzare altra e diversa documentazione, quale, esemplificativamente, e senza alcuna pretesa di esaustività, le contabili bancarie riferite alle singole operazioni, oppure, giusta gli artt. 2709 e 2710 cod. civ., le
risultanze delle scritture contabili (Cass. 10 maggio 2007, n. 10692 e Cass. 25 novembre 2010, n. 23974), o, ancora, gli estratti conto scalari (cfr. Cass. n. 35921 del 2023; Cass. n. 10293 del 2023; Cass. n. 23476 del 2020; Cass. n. 13186 del 2020), ove il c.t.u. eventualmente nominato per la rideterminazione del saldo del conto ne disponga nel corso delle operazioni peritali, spettando, poi, al giudice predetto la concreta valutazione di idoneità degli estratti a dar conto del dettaglio delle movimentazioni debitorie e creditorie (…) » (cfr. Cass. n. 5091/ 2016; Cass. n. 14074/2018; Cass. n. 31187/ 2018; Cass. n. 11543/ 2019;.Cass. n. 1736/2024; Cass. n. 11735/2024).
In sintesi la mancanza di una parte degli estratti conto è colmabile altrimenti, attraverso il ricorso ad altri elementi di prova o alla condotta processuale delle parti e ad ogni altro elemento idoneo a costituire argomento di prova, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., laddove la valutazione se la carenza di alcuni estratti conti sia colmabile con altri elementi di prova in funzione di un risultato attendibile in termini di ricostruzione del saldo finale, è di pertinenza del giudice di merito, con ricognizione in fatto che gli spetta in via esclusiva – eventualmente con l’ausilio di una consulente tecnico esperto in materia contabile; ed è noto che siffatta valutazione non può essere censurata in sede di legittimità «in fatto», ovvero pretendendo da questa Corte – come è accaduto in questo caso con conseguente inammissibilità della censura – un ulteriore giudizio sulle risultanze probatorie, ma solo eventualmente, sotto il profilo del vizio motivazionali nei ristretti limiti in cui – come già detto – questo è ancora ammissibile.
2. – Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c. in ordine all’art. 186 ter c.p.c.; illogica e contraddittoria motivazione di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. in relazione alla sussistenza di due diversi titoli esecutivi, quali, l’ingiunzione ex art. 186 ter c.p.c. e la sentenza impugnata.
Secondo i ricorrenti il Tribunale avrebbe dimenticato di revocare, con la condanna al minor importo emesso in sentenza, l’emessa ordinanza ingiunzione ex art. 186 ter cpc emessa con provvedimento del 27/11/13 laddove, se l’ordinanza ex art. 186 ter c.p.c. è necessariamente destinata ad essere sostituita o assorbita con la emananda sentenza – tranne il caso di estinzione del giudizio per effetto del quale assume il carattere esecutivo e definitivo – la stessa, a seconda dei casi, andrebbe espressamente revocata, modificata o confermata: diversamente esisterebbero contemporaneamente due titoli esecutivi, autonomamente azionabili; il giudice di appello avrebbe travisato il senso della sentenza delle Sezioni Unite richiamata che riterrebbe necessaria la revoca, la modifica o la conferma della stessa.
2.1 Il motivo è inammissibile ex art. 360 bis comma 1 c.p.c. poiché- come risulta dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte, l’ordinanza ha natura anticipatoria, priva di contenuto decisorio (essendo soggetta alla disciplina delle ordinanze revocabili di cui agli artt. 177 e 178, primo comma, c.p.c.) ed è destinata ad essere sostituita dalla sentenza, in conformità della disciplina del procedimento ordinario di cognizione cui inerisce, (v. Sezioni Unite sentenza n.1820/2007, cui sono seguite innumerevoli pronunce conformi), non necessariamente con revoca espressa, ben potendo questa essere implicita per effetto della sentenza, che è l’unico provvedimento – del relativo procedimento idoneo ad assumere carattere decisorio ed autorità di giudicato, laddove l’ordinanza ex art. 186 ter c.p.c. ha carattere intrinsecamente provvisorio, assolvendo alla funzione propria di quelle tutele sommarie che hanno come scopo l’anticipazione satisfattiva della pretesa ( sul carattere dell’ordinanza v. Cass. 23513/2016).
3.- In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo,
ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente, liquidate nell’importo di euro 9200,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della I Sez. Civile