Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5711 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5711 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6931/2021 R.G. proposto da
COGNOME, COGNOME , elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME
Oggetto:
Contratti
bancari – Mutuo
R.G.N. 6931/2021
Ud. 14 febbraio 2025
CC
NOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO MILANO n. 3479/2020 depositata il 12/11/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 14 febbraio 2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 3479/2020, pubblicata in data 24 dicembre 2020, la Corte d’Appello di Milano, nella regolare costituzione dell’appellata RAGIONE_SOCIALE ha respinto l’appello proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Milano, n. 8980/2019 del 7 ottobre 2019 , la quale, a propria volta, aveva respinto l’ opposizione al decreto ingiuntivo n. 6767/2018, emesso dal Tribunale di Milano nei confronti degli odierni ricorrenti ed in favore di RAGIONE_SOCIALE per l’importo di € 7.133.628,78, oltre interessi e spese, a titolo di somme dovute per il mancato rimborso di due contratti bancari di finanziamento.
Gli odierni ricorrenti avevano opposto il decreto ingiuntivo riferendo in fatto di avere concluso con RAGIONE_SOCIALE due contratti di mutuo: il primo per l’importo di € 8 .000.000,00, dando contestuale quietanza per l’avvenuto versamento di € 2.000.000,00, e il secondo di € 2 .000.000,00, con quietanza di erogazione di € 1.500.000,00 e concedendo a garanzia l’iscrizione di ipoteca di primo grado su un complesso di immobili di loro proprietà per un valore di mercato oscillante fra i 25 e i 22 milioni di euro.
Avevano ulteriormente riferito:
-che la parte non erogata degli importi finanziati non era stata messa a loro disposizione dei clienti ma utilizzata per l’acquisto di titoli emessi dalla stessa RAGIONE_SOCIALE, depositati su una gestione patrimoniale a nome degli opponenti presso la filiale di Montecarlo, in tal modo costituendo ulteriore garanzia al rimborso, e che la minore disponibilità aveva loro impedito di portare a termine numerose iniziative immobiliari, intraprese nella convinzione di fare affidamento sull’intera somma oggetto dei due mutui.
-che, a fronte delle contestazioni da essi sollevate, nel 2016 era stato concluso un accordo modificativo, con il quale RAGIONE_SOCIALE aveva ridotto la garanzia ipotecaria e consentito il disinvestimento di titoli per un controvalore di € 500.000,00, con rinuncia da parte degli opponenti a sollevare contestazione alcuna in relazione a tutti i rapporti in essere con RAGIONE_SOCIALE
Avevano quindi dedotto che il loro consenso a tale accordo modificativo era viziato, essendosi trovati nella necessità di accettare l’accordo nei termini imposti dalla banca, pur di ottenere nuova disponibilità di denaro e la liberazione per alcuni immobili ipotecati, e che pertanto sia i contratti di mutuo, sia l’accordo di modifica, erano nulli, o annullabili per vizio del consenso, o dovevano essere risolti per grave inadempimento della banca, con conseguente responsabilità risarcitoria della medesima.
Costituitasi RAGIONE_SOCIALE, la quale aveva contestato la ricostruzione offerta dagli odierni ricorrenti, deducendo in particolare che i contratti in questione costituivano aperture di credito in conto corrente, e non mutui, e che tutte le somme erano state messe
a disposizione dei ricorrenti medesimi, il Tribunale di Milano aveva respinto l’opposizione.
3. La Corte d’appello di Milano ha, in primo luogo, disatteso il gravame nella parte in cui lo stesso riproponeva la tesi della mancata erogazione dell’integralità delle somme, osservando preliminarmente che i due i mutui in questione non erano né fondiari né di scopo, e rilevando che la prova dell’erogazione integrale emergeva sia dalle stesse tesi difensive degli odierni ricorrenti, sia dalla sussistenza di adeguate prove in ordine all’accredito delle somme sul conto corrente dei medesimi ricorrenti -che avevano pressoché proceduto all’impiego delle somme conferendole in gestione patrimoniale a Barclays Montecarlo, acquistando partecipazioni societarie, procedendo a conferimenti in capitale, trasferimenti su conti correnti e pagamenti vari -sia dal contenuto della transazione ed accordo novativo, nel quale gli odierni ricorrenti avevano rinunciato a sollevare e a far valere ogni ulteriore azione o diritto, e che, in virtù delle dichiarazioni in essa contenute, aveva valore confessorio ex art. 2735 c.c.
La Corte d’appello, poi, ha disatteso il motivo di appello con il quale veniva riproposta la tesi della nullità o annullabilità dell’accordo transattivo, rilevando, quanto al dedotto vizio del consenso, che l’accordo era stato sottoposto all’allora difenso re degli odierni ricorrenti il quale, con una comunicazione di posta elettronica, lo aveva dichiarato ‘del tutto corrispondente alle intese raggiunte fra le parti e coerente con gli interessi manifestati dai mutuatari’ , dando quindi il via libera alla sua sottoscrizione, e, quanto alla dedotta nullità, che la stessa era stata dedotta senza alcuna precisazione e senza alcuna individuazione delle cause di detta nullità.
La Corte ambrosiana, infine, ha disatteso il motivo di appello proposto avverso la statuizione con la quale il giudice di prime cure
aveva dichiarato il difetto di interesse ad agire degli odierni ricorrenti in relazione alle contestazioni di mancata comunicazione, da parte della banca, degli interessi via via maturati, nonché di ritardato trasferimento delle somme già depositate su conto estero.
La Corte territoriale ha, infatti, rilevato che:
-la doglianza appariva priva di rilevo sostanziale, non emergendo contestazioni in merito al all’addebito in sé degli interessi in costanza di rapporto;
-vi era prova del fatto che la movimentazione del conto corrente era rimasta pienamente sotto il controllo dei ricorrenti, avendo gli stessi operato costantemente sul conto corrente, destinando disinvestimenti parziali dalle attività finanziarie depositate presso la banca per saldare il debito relativo agli interessi trimestrali in scadenza;
-il mancato trasferimento delle somme dal deposito presso Barclays Montecarlo era stato determinato dal blocco che era intervenuto nel 2015 sul conto aperto a Milano a seguito di un pignoramento presso terzi effettuato da un’altra banca, peraltro venendo successivamente eseguito;
-non era stato dedotto alcun concreto pregiudizio derivante da condotte della banca di cui non era provata neppure l’illiceità.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Milano ricorrono NOME COGNOME COGNOME e NOME COGNOME
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a cinque motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.
I ricorrenti censurano la decisione impugnata per avere ritenuto che la produzione in giudizio dell’estratto del c/c intestato ai medesimi ricorrenti fosse idonea a dimostrare l’adempimento della controricorrente all ‘ obbligazione di costituire un autonomo titolo di disponibilità in favore dei mutuatari.
Dopo aver premesso che non è in contestazione la conclusione dei contratti bensì l’effettiva erogazione delle somme, deducono che, dovendosi qualificare i due contratti come mutui ipotecari, tale prova doveva essere fornita, come contrattualmente stabilito all’art. 4.3 dei contratti di finanziamento, mediante un atto di riconoscimento di debito e quietanza da stipularsi per atto pubblico.
La Corte d’appello, quindi, sarebbe incorsa in violazione o falsa applicazione del principio dell’onere della prova.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2735 c.c.
I ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere la Corte d’appello riconosciuto valore di confessione stragiudiziale alle comunicazioni intercorse tra le parti in relazione all’accordo modificativo.
Deducono l’assenza in tali comunicazioni sia dell’elemento oggettivo costituito dall’ ammissione di un fatto a sé sfavorevole e favorevole alla controparte sia dell’elemento soggettivo, costituito dall’ animus confitendi .
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce:
-in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c.;
-in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto dl discussione tra le parti.
Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte d’Appello di Milano:
-avrebbe considerato come certo un fatto -e cioè che gli odierni ricorrenti avevano immediatamente conferito parte rilevante delle somme mutuate in gestione patrimoniale a Barclays Monaco) -che invece non era provato ed anzi era stato contestato dai ricorrenti mediante il disconoscimento della riconducibilità dei “bonifici all’estero” provenienti dal conto corrente ad essi intestato a proprie disposizioni.
-avrebbe omesso di esaminare un fatto decisivo per il giudizio stato oggetto di discussione tra le parti e cioè ‘la mancata prova dell’effettiva esistenza di Security Letters of Allocation, asseritamente rilasciate da Barclays Monaco in favore di Barclays Milano, a giustificazione del blocco della gestione patrimoniale monegasca e del conseguente mancato trasferimento dei relativi fondi presso il c/c acceso dai ricorrenti presso Barclays Milano’ .
I ricorrenti, infine, censurano la decisione impugnata per non aver disposto quella consulenza tecnica d’ufficio che, argomentano, avrebbe costituito unico strumento per procedere ad una corretta valutazione dei fatti.
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. e dell’art. 2735 c.c.
Deducono i ricorrenti che la Corte d’appello di Milano avrebbe erroneamente basato la propria decisione sulla transazione contenuta nell’accordo modificativo datato 16 dicembre 2016.
Argomentano di avere dedotto e dimostrato che tale transazione aveva natura conservativa e si era risolta in data 16 ottobre 2017, con conseguente reviviscenza della situazione giuridica preesistente e con conseguente persistenza dell’interesse dei ricorrenti medesimi a contestare la circostanza dell’integrale erogazione delle somme mutuate.
Deducono altresì la violazione o falsa applicazione dell’art. 2735 c.c. per avere la Corte d’Appello di Milano attribuito valore confessorio alle premesse del medesimo accordo transattivo, argomentando che il riconoscimento contenuto nell’accordo medesimo costituisse oggetto di una delle reciproche concessioni oggetto della transazione stessa, con conseguente insussistenza del c.d. animus confitendi .
1.5. Con il quinto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c.
I ricorrenti censurano la decisione della Corte d’appello di Milano nella parte in cui la stessa ha escluso il loro interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. per l’accertamento della mancata comunicazione periodica dell’entità degli interessi dovuti in relazione ai finanziamenti e l’omesso trasferimento, da parte della Banca convenuta, delle somme vincolate in gestione patrimoniale a Monaco presso il proprio conto corrente acceso in Milano.
Argomentano che invece tale interesse era funzionale all’accertamento dell’inadempimento dell’odierna controricorrente e quindi alla declaratoria della risoluzione del contratto per inadempimento di quest’ultima, senza che, a tal fine, fosse necessaria l’allegazione di un danno patrimoniale.
I motivi di ricorso sono, nel loro complesso inammissibili.
2.1. Quanto al primo motivo, infatti, si deve rammentare che si integra violazione dell’art. 2697 c.c. quando il giudice del merito venga ad operare una distribuzione degli oneri probatori non conforme al dato normativo e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15107 del 17/06/2013; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 13395 del 29/05/2018; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 18092 del 31/08/2020).
Ebbene, il motivo di ricorso ora in esame, ben lungi dal dedurre una non corretta applicazione della regola enunciata dall’art. 2697 c.c. si traduce appunto in un mero sindacato -inammissibile -della valutazione degli elementi probatori operata dalla Corte di merito, la quale non ha affatto attribuito agli odierni ricorrenti l’onere di dimostrare la mancata erogazione delle somme -come invece sostiene il ricorso -ma è giunta a ritenere provata l’erogazione medesima sulla scorta di una pluralità di indici probatori.
2.2. Il secondo motivo, invece, non coglie la ratio decidendi contenuta nella decisione impugnata, la quale non ha attribuito alcun valore confessorio alle due comunicazioni docc. 25 e 34 anche a firma del difensore dei ricorrenti, ma ha valorizzato i documenti come elementi che, congiunti ad altri – peraltro ritenuti anche più decisivi, come il conferimento delle somme mutuate in gestione patrimoniale alla Barclays Montecarlo, che anzi la stessa Corte d’appello qualifica come ‘prova definitiva’ – confermavano la disponibilità delle somme.
È evidente, invero, che ove la Corte territoriale avesse ritenuto i documenti quali vere e proprie dichiarazioni a contenuto confessorio, nessun senso avrebbe avuto la valutazione di altri elementi e minor senso ancora avrebbe avuto attribuire il carattere di prova definitiva ad
un’altra ben distinta circostanza, da ciò potendosi desumere che nessun valore confessorio è stato attribuito alle dichiarazioni in questione.
Anche il motivo ora in esame, in realtà, mira nel concreto a sollecitare una inammissibile revisione da parte di questa Corte della valutazione delle prove da parte del giudice di merito, al medesimo riservata (Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 13918 del 03/05/2022; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 6774 del 01/03/2022; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 20553 del 19/07/2021; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1554 del 28/01/2004), dovendosi qui ribadire il principio per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, dietro l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U – Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017), atteso che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti (Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013).
2.3. Quanto al terzo motivo, si deve rilevare, in primo luogo, l’inammissibilità della doglianza riferita al disposto di cui all’ art. 360, n. 5), c.p.c. , operando lo sbarramento di cui all’art. 348 -ter c.p.c. poiché il giudizio di appello è stato instaurato nel 2019 e la decisione della Corte d’Appello non risulta in alcun modo essersi resa autonoma
rispetto al ragionamento del giudice di primo grado, né i ricorrenti hanno concretamente indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. L – Sentenza n. 20994 del 06/08/2019; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 26774 del 22/12/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014).
È da dire, invero, che parte ricorrente viene a sostenere (pagg. 24-25 del ricorso) la diversità dell’ iter argomentativo seguito dai giudici di primo e secondo grado, ma tale argomentazione viene a basarsi su stralci del tutto parziali della decisione di primo grado -non adeguatamente riproposta nel rispetto della regola di specificità di cui all’art. 366 c.p.c. – e risulta smentita anche dalla replica della controricorrente che deduce la riferibilità del passaggio della decisione del Tribunale -posto in raffronto con quello che dovrebbe essere in teoria corrispondente passaggio della decisione impugnata -a momenti storici diversi della vicenda
Alla preclusione ex art. 348ter c.p.c., peraltro, si aggiunge l’ulteriore elemento costituito dal fatto che il motivo di ricorso non viene a dedurre ritualmente una ipotesi ex art. 360, n. 5), c.p.c. – e cioè l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; Cass. Sez. 6 – 3, Sentenza n. 25216 del 27/11/2014; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 9253 del 11/04/2017) -ma si sostanzia unicamente nel disorganico richiamo ad un coacervo di documenti e quindi, ancora una volta, nella mera censura alla valutazione del materiale probatorio complessivo, dovendosi qui ribadire il principio per cui l’omesso esame di elementi
istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018), e ciò in quanto le deduzioni aventi ad oggetto la persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attengono alla mera sufficienza della motivazione, e cioè ad un profilo non (più) deducibile come motivo di ricorso (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11863 del 15/05/2018).
A non dissimile esito di inammissibilità sono destinate anche le deduzioni riferite all’art. art. 360, n. 3), c.p.c., parimenti inidonee ad integrare una effettiva censura indirizzata al governo delle norme di diritto, indirizzate come sono ancora al profilo probatorio, non senza osservare che tali censure, da un lato, non si confrontano adeguatamente con la ratio costituita dalle valutazioni della Corte territoriale in ordine all’utilizzo delle somme erogate per operazioni varie su diretto input dei ricorrenti stessi e, dall’a ltro lato, peccano di mancato ossequio al canone di specificità di cui all’art. 366 c.p.c. richiamando in modo sommario le deduzioni che sarebbero state svolte in sede di appello.
2.4. Passando al quarto motivo, si deve osservare, in primo luogo, non solo che il duplice profilo della qualificazione della transazione e della sua successiva risoluzione non risulta in alcun modo affrontato dalla decisione, non solo, ancora, che il ricorso non viene -in modo adeguatamente specifico come imposto dall’art. 366 c.p.c. a dedurre di avere dedotto ed argomentato tali argomentazioni in sede di appello ma anche che invece il controricorso (pag. 21) viene a
contestare recisamente che tali profili fossero stati dedotti nel l’atto di appello.
Deve, conseguentemente, trovare applicazione il principio, reiteratamente enunciato da questa Corte, per cui qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio.’ (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 18018 del 01/07/2024; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 20694 del 09/08/2018; ed anche Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 2193 del 30/01/2020; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 14477 del 06/06/2018; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15430 del 13/06/2018; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23675 del 18/10/2013).
Quanto alla censura concernente la violazione dell’art. 2735 c.c., si deve rammentare che questa Corte ha in reiterate occasioni affermato il principio per cui nel contenuto complessivo di una proposta transattiva o di una transazione può distinguersi anche un momento accertativo della situazione di fatto preesistente, e in tal caso le relative dichiarazioni di scienza hanno valore confessorio, a condizione, tuttavia, che esse abbiano per oggetto la ricognizione di situazioni fattuali o di situazioni giuridiche considerate, però, sub specie facti e non già valutazioni giuridiche (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 22956 del 10/11/2015; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3033 del 06/02/2009; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19883 del 13/10/2005).
Operata tale premessa, si deve rilevare che le censure dei ricorrenti vengono nella sostanza ad appuntarsi sulla valutazione della Corte territoriale in ordine alla presenza di un contenuto confessorio nell’accordo tra nsattivo, e cioè ad un accertamento che, per costante orientamento di questa Corte, non risulta sindacabile in sede di legittimità, non essendo soggetto a vaglio di legittimità il prodotto di tale attività interpretativa, se non nei limiti in cui è contestabile il vizio di motivazione. (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 2048 del 24/01/2019; Cass. Sez. L, Sentenza n. 3524 del 12/06/1985; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1428 del 04/04/1980).
Vizio di motivazione che i ricorrenti, in effetti, vengono a dedurre, ma che, nell’attuale sistema, rileva unicamente nella forma di anomalia motivazionale che si sia tramutata in violazione di legge costituzionalmente rilevante, esaurendosi detta anomalia nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, e risultando invece esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022).
Nessuna di dette carenze estreme risulta ravvisabile nella motivazione della decisione impugnata sul punto, la quale espone il proprio percorso argomentativo in modo sintetico ma comunque completo, univoco, comprensibile ed immune da affermazioni reciprocamente inconciliabili, di talché risulta inevitabile constatare che, ancora una volta, le doglianze dei ricorrenti si sostanziano in una critica del merito della decisione.
2.5. L’inammissibilità del quinto ed ultimo motivo discende dalla constatazione -di per sé decisiva -che il motivo non si confronta con l’integralità delle rationes decidendi poste dalla Corte d’appello alla base della propria decisione sui profili dedotti nel motivo stesso, avendo la Corte medesima basato la propria statuizione sia sull ‘affermata sussistenza di prova del fatto che i ricorrenti avevano operato direttamente sui conti e quindi dovevano avere contezza degli appostamenti che sui conti medesimi venivano a prodursi, sia sulla presenza, sul conto di Monaco, del vincolo derivante da un pignoramento, sia su una complessiva valutazione di assenza di un inadempimento della Banca.
Opera, dunque, il principio per cui, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi , neppure sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013; Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16314 del 18/06/2019).
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dei ricorrenti alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la
debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso, condanna i ricorrenti a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 10.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima