Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12953 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12953 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/05/2025
sul ricorso 4676/2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME – controricorrente –
nonché contro
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME controricorrente e ricorrente incidentale –
e contro
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE
– intimata – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 5767/2020 depositata il 20/11/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/3/2025 dal Cons. Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La Corte di appello di Roma, con la sentenza sopra riportata, pronunciando sul contenzioso in essere tra la FIBA s.r.lRAGIONE_SOCIALE in liquidazione -di seguito assoggettata a concordato preventivo -e la Banca Nazionale del Lavoro avente ad oggetto la domanda della prima di ripetizione delle somme indebitamente percepite dalla seconda in relazione all’intercorso rapporto di conto corrente a titolo di interessi ultralegali, interessi anatocistici, commissione di massimo scoperto et similia , ha accolto il gravame della FIBA, cui si era affiancato nel corso del giudizio il cessionario della procedura NOME COGNOME ed in riforma dell’impugnata decisione di primo grado ha condannato BNL, cui si era affiancata nel corso del giudizio la cessionaria ex art. 58 TUB del credito originato dal predetto rapporto, RAGIONE_SOCIALE, al pagamento in favore dell’appellante della somma di euro 516.712,07, oltre accessori di legge, associando nella condanna a tale titolo, anche per le spese, la cessionaria RAGIONE_SOCIALE
Onde motivare le ragioni del proprio deliberato, la Corte di appello ha preso inizialmente le distanze dal pronunciamento di primo grado -laddove questo aveva inteso giustificare il rigetto della domanda di FIBA sul rilievo che non avendo l’attrice depositato copia del contratto di conto corrente, né, per alcuni periodi gli estratti conto, il
riassunto scalare o ogni altro documento idoneo alla scopo, la domanda doveva ritenersi indimostrata -opponendo che, poiché FIBA, introducendo il giudizio, aveva allegato l’inesistenza del contratto o, comunque, l’inadempimento della banca per non avergliene consegnato copia, «la contraria prova della sua esistenza era a carico della parte che intende avvalersene a giustificazione dei pagamenti ricevuti in base a quel titolo», a nulla rilevando in contrario i limiti di applicabilità del principio di vicinanza della prova dato che esso opera solo sul presupposto che entrambe le parti abbiano acquisito la disponibilità del relativo documento. Del pari, circa la pretesa rilevanza delle lacune probatorie sottese alla mancata integrale produzione degli estratti conto -che il giudice di primo grado aveva ritenuto, in generale, tardivamente depositati e, comunque, pur se per un ridotto periodo, manchevoli, tanto da rendere la CTU espletata inattendibile -ha osservato che «l’appellante aveva depositato in termini gli estratti conto in possesso della società relativi al periodo dal I trimestre 1995 al IV trimestre del 2009 del c/c 41 come da attestazione di Cancelleria e la circostanza che una parte di essi non fosse poi stata rinvenuta dal CTU non esclude -in mancanza di specifiche contestazioni sulle produzioni documentali della controparte in sede di memoria di replica ex art. 183 cpc -la ritualità della messa a disposizione della CTU della parte mancante della produzione già ammessa, non avendo il CTU esondato dai limiti dell’indagine che gli era stata delegata», donde la piena utilizzabilità, in ragione pure di quanto al riguardo più volte enunciato dal giudice di legittimità, delle risultanze peritali anche dove le lacune documentali erano state colmate ricorrendo al criterio presuntivo del c.d. movimento di raccordo. Ha disatteso l’eccezione di prescrizione, rimasta assorbita all’esito del giudizio di prima istanza, rilevando in particolare che essa «non era stata tempestivamente proposta in primo grado dal momento che
con la comparsa di costituzione depositata il 22 ottobre 2010 la Banca Nazionale del Lavoro nulla aveva detto circa la prescrizione, così incorrendo nella decadenza dal proporre eccezioni non rilevabili d’ufficio (art. 167 cpc)».
Per la cassazione di detta sentenza la banca soccombente si affida a quattro motivi, seguiti da memoria, cui si affianca, limitatamente alla sola condanna alle spese, la COGNOME con controricorso e ricorso incidentale e al quale invece resiste con controricorso e memoria il COGNOME, mentre non ha svolto attività difensiva la FIBA.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Assorbite le obiezioni che il COGNOME muove alla ritualità della procura conferita dalla banca per l’odierno ricorso, osservandosi con il conforto di SS.UU. 36057/2022 che la procura, risultante da foglio separato congiunto materialmente al ricorso, deve considerarsi conferita per il giudizio di cassazione anche se non contiene un espresso riferimento al provvedimento da impugnare o al giudizio da promuovere e che, in ossequio al principio di conservazione enunciato dall’art. 1367 cod. civ. e dall’art. 159 cod. proc. civ., nei casi dubbi la procura va interpretata attribuendo alla parte conferente la volontà che consenta all’atto di produrre i suoi effetti, con il primo motivo del ricorso principale si deduce la nullità dell’impugnata decisione per violazione e falsa applicazione degli art. 2697 cod. civ. e 116 cod. proc. civ., nonché per omessa è contraddittoria motivazione, in quanto la Corte di appello, facendo onere alla banca di provare l’esistenza del contratto, avrebbe erroneamente interpretato il contenuto della domanda avanzata dall’appellante, posto che costei aveva agito in ripetizione ed avrebbe dovuto di conseguenza provare, oltre ai pagamenti eseguiti, anche l’assenza di un’idonea causa giustificativa, rivelandosi insufficiente la mera produzione dei soli estratti conto, non
consentendo essi, neppure se oggetto di CTU, di accertare, in difetto del contratto, se le poste annotate fossero legittime o meno.
2.2. Il motivo non ha pregio.
Non dubita, per vero, il collegio dell’indiscussa fondatezza che assiste l’affermazione, riprodotta pure dalla ricorrente, secondo cui, coerentemente con quel che si insegna in materia di ripetizione dell’indebito ( ex plurimis , Cass., Sez. II, 27/11/2018, n. 30713), anche nei rapporti di conto corrente bancario il correntista che agisca in giudizio per la ripetizione di danaro, che afferma essere stato indebitamente corrisposto all’istituto di credito nel corso dell’intera durata del rapporto, sul presupposto della dedotta nullità delle clausole figuranti nel contratto o per addebiti non previsti in contratto, sia onerato della prova degli avvenuti pagamenti e della mancanza di una valida “causa debendi” ( ex plurimis , Cass., Sez. I, 7/12/2022, n. 35979). Questo comporta, di regola ovvero applicando i principi che regolano la ripartizione dell’onere della prova, che il cliente che agisca per ottenere la restituzione delle somme indebitamente versate in presenza di clausole nulle, abbia l’onere di provare l’inesistenza della causa giustificativa dei pagamenti effettuati «mediante la produzione del contratto che contiene siffatte clausole (Cass., Sez. Vi-I, 13/12/2019, n. 33009), dato che le pattuizioni di che trattasi non sono affette da una nullità intrinseca, ma in quanto la loro previsione non rispecchia il parametro normativo che ne assicura altrimenti la liceità (così in motivazione Cass., Sez. I, 19/01/2022, n. 1550).
L’apparente ineluttabilità che avvolge questa conclusione -e che porterebbe, a rigore, a sconfessare l’assunto decisorio per aver gravato la banca dell’onere di provare essa l’esistenza del contratto e quindi la liceità delle pattuizioni di cui si discute -non è tuttavia un approdo obbligato. Nell’ipotesi in cui, infatti, il correntista non possa
produrre in giudizio il contratto perché la banca non gliene abbia rilasciato copia o perché egli versi nell’impossibilità di procurarsela altrimenti a mezzo della richiesta di cui all’art. 119 TUB o di esibizione ai sensi dell’art. 210 cod. proc. civ. e non possa perciò assolvere l’onere probatorio che gli compete ordinariamente si possono infatti configurare, secondo l’itinerario descrittivo tracciato altrove dalla Corte, due alternative, entrambe riconnesse all’allegazione attorea circa il fatto che il contratto sarebbe stato concluso verbis tantum o per facta concludentia . E’ possibile, in pratica, che quest’ultima allegazione sia incontroversa tra le parti, ed allora il giudice deve dare senz’altro atto dell’integrale nullità del negozio e, quindi, anche dell’assenza di clausole che giustifichino, ad esempio, l’applicazione degli interessi ultralegali e della commissione di massimo scoperto. Ma è possibile, pure, che la domanda basata sul mancato perfezionamento del contratto nella forma scritta sia contrastata dalla banca (che quindi sostenga la valida conclusione, in quella forma, del negozio): e in tale seconda ipotesi non può gravarsi il correntista, attore in giudizio, della prova negativa della documentazione dell’accordo, incombendo semmai alla banca convenuta di darne positivo riscontro (così in motivazione, ex plurimis, Cass., Sez. I, )9/03/2021, n. 6480)
Tanto basta, perciò, a mettere la decisione qui impugnata al riparo dalla censura formulata.
3.1. Il secondo motivo del ricorso principale deduce la nullità dell’impugnata decisione per omessa motivazione e per violazione e falsa applicazione degli artt. 62, 183, 194 e 198 cod. proc. civ. e degli artt. 90, 91 e 92 disp. att. cod. proc. civ in quanto la Corte di appello, condividendo le determinazioni conclusive del CTU, aveva giudicato, da un lato, tempestiva la produzione degli estratti conto utilizzati dal CTU ai fini dell’espletamento del proprio incarico,
malgrado di ciò non vi fosse prova; e, dall’altro, legittime le richiamate conclusioni del perito, malgrado questo, non potendo indagare su questioni non prospettate dalle parti e prendere in esame documenti da esse non prodotti, non avrebbe dovuto servirsi dei documenti messigli a disposizione nel corso della consulenza dall’attrice.
3.2. Il motivo non ha pregio.
Sotto il primo profilo è evidente che esso non si confronta con le ragioni della decisione, dal momento che si astiene dal censurare la specifica affermazione operata in sentenza secondo cui la produzione dei documenti utilizzati dal CTU risultava da una formale attestazione della cancelleria, sicché limitarsi ad opporre che dell’avvenuta produzione non vi è prova si risolve nella mera riproposizione delle tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo e confina, di conseguenza, la doglianza nel perimetro dei “non motivi” determinandone perciò l’inammissibilità.
Ciò, se dunque le produzioni documentali a cui si è riportato il CTU devono ritenersi legittimamente acquisite al processo -a nulla rilevando che, essendo andate smarrite quelle inizialmente versate agli atti, la parte interessata le abbia poi messe a disposizione del perito -, assorbe, di riflesso, anche la seconda doglianza, pur senza per questo ricordare con SS.UU. 3086/2022 che in materia di consulenza contabile i limiti che si danno all’attività istruttoria del CTU trovano spiegazione solo in funzione del divieto dei nova e della necessaria osservanza che si deve al principio del contraddittorio.
4.1. Il terzo motivo del ricorso principale deduce la nullità dell’impugnata decisione per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., nonché dell’art. 346 cod. proc. civ. in quanto la Corte di appello, ricusando l’eccezione di prescrizione perché intempestivamente
allegata, non si sarebbe avveduta che essa era stata invece espressamente sollevata nella comparsa di costituzione in primo grado ed era rimasta assorbita in conseguenza della decretata infondatezza della domanda introduttiva per difetto di prova.
4.2. Il motivo non ha pregio.
Esso è manifestamente manchevole di autosufficienza, dato che nell’illustrazione della doglianza la ricorrente, oltre al semplice richiamo alla citata comparsa, si astiene dal fornire qualsiasi ulteriore ragguaglio rappresentativo dell’eccezione pretesamente sollevata; sicché in tal modo essa contravviene all’intendimento comunemente corrente -a cui il collegio crede di dover rinnovare la propria adesione anche dopo a sentenza CEDU sul caso COGNOME -in considerazione del quale, onde poter rendere scrutinabile il vizio in questione, il ricorrente deve ottemperare all’onere di autosufficienza del motivo, non solo indicando specificamente il luogo della deduzione, ma riproducendo, almeno nei suoi passaggi essenziali (Cass., Sez. I, 19/04/2022, n. 12481), l’allegazione non pronunciata.
Il quarto motivo del ricorso principale deduce la nullità dell’impugnata decisione per violazione dell’art. 91 cod. proc. civ. in quanto la Corte di appello, accogliendo il gravame, aveva pronunciato la condanna di essa ricorrente alla rifusione delle spese di lite, determinazione che avrebbe dovuto essere cassata in ragione della fondatezza del ricorso.
Il motivo non ha pregio restando, infatti, assorbito per il fatto che il ricorso, disaminatine i motivi, deve giudicarsi infondato.
6.1. Con l’unico motivo del ricorso incidentale la COGNOME si duole della condanna in solido con l’appellata alla rifusione delle spese di lite, in quanto essa violerebbe gli artt. 91 e 97 cod. proc. civ., vero che la Corte di appello avrebbe dovuto modulare la pronuncia in
parola secondo l’interesse di ciascuna delle parti soccombenti ed, ove avesse voluto assumere a presupposto di essa l’interesse comune delle parti, avrebbe dovuto farne motivatamente menzione, di modo che, in mancanza di ciò, la decisione si mostra affetta da nullità anche per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ.
6.2. Il motivo non ha pregio.
Vale per vero a rendere conferma della fondatezza che assiste l’assunto decisorio oggetto qui di contestazione il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui la condanna solidale al pagamento delle spese processuali nei confronti di più parti soccombenti può essere pronunciata non solo quando vi sia indivisibilità o solidarietà del rapporto sostanziale, ma pure nel caso in cui sussista una mera comunanza di interessi che può desumersi anche dalla semplice identità delle questioni sollevate e dibattute ovvero dalla convergenza di atteggiamenti difensivi diretti a contrastare la pretesa avversaria (Cass., Sez. III, 20/12/2011, n. 27562). In questa linea di pensiero si colloca, infatti, anche la decisione in esame laddove essa, ottemperando sul punto implicitamente al dovere motivazionale, ha dato atto che l’intervento in giudizio della ricorrente incidentale trovava giustificazione in funzione surrogatoria della ricorrente principale, il che attesta, in disparte dagli accordi interni regolanti i rapporti tra dette parti, la sussistenza di una convergenza di interessi che giustifica, nella cornice del libero apprezzamento che fa da sfondo alla pronuncia del giudice sul punto (Cass., Sez. II, 12/08/2011, n. 17281), la solidale condanna al pagamento delle spese di lite di cui si discute.
Onde la sentenza impugnata va immune dalla censura qui formulata.
Entrambi i ricorsi vanno dunque disattesi.
8. Le spese di lite seguono la soccombenza nel rapporto tra i ricorrenti ed il COGNOME e si liquidano come da dispositivo.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico di entrambi i ricorrenti del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Respinge il ricorso principale ed il ricorso incidentale; condanna per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
entrambi i ricorrenti in solido al pagamento delle spese di lite che liquida in favore di NOME COGNOME in euro 16200,00, di cui euro 200,00 Ai sensi del dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte di entrambi i ricorrenti, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il