Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 11243 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 11243 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12557/2019 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa da se stessa ex art. 86 c.p.c., elettivamente domiciliata presso il proprio indirizzo PEC iscritto nel REGINDE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME del Foro di Milano, con procura speciale in calce al controricorso ed elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
-controricorrente-
nonché,contro
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE;
-intimata- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 489/2019 depositata il 04/02/2019 e notificata il 5 febbraio 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 marzo 2025 dalla Presidente NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con ricorso ai sensi dell’art. 702 -bis c.p.c. ritualmente proposto, l’Avv. NOME COGNOME COGNOME proponeva, dinanzi al Tribunale di Milano, domanda di condanna al pagamento degli importi indicati negli avvisi di parcella elencati nel ricorso (per un importo complessivo di euro 93.860,81) nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, in solido con la RAGIONE_SOCIALE
Si costituiva ritualmente in giudizio la RAGIONE_SOCIALE, la quale, in primo luogo, contestava le richieste della ricorrente, stante l’estraneità della medesima rispetto ai rapporti professionali intercorsi fra l’Avv. COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE (considerato l’intervenuto conferimento di ramo d’azienda dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE) e, in secondo luogo, formulava domanda di condanna della RAGIONE_SOCIALE al rimborso dell’importo di euro 39.997,72, pagato a favore dei consulenti della medesima.
Il Tribunale, su istanza della ricorrente, disponeva la conversione del procedimento sommario in ordinario, assegnando alle parti i termini per il deposito di memorie.
Veniva, poi, dichiarata la contumacia di RAGIONE_SOCIALE
L’adito Tribunale, con sentenza n. 10957/2017, condannava la RAGIONE_SOCIALE a pagare all’Avv. NOME COGNOME la somma di euro 612,00, oltre interessi ex D.lgs. 231/02 dal 21 marzo 2014, compensando interamente le spese di lite tra le parti.
Con successivo atto di citazione in appello, l’Avv. NOME COGNOME COGNOME impugnava la citata sentenza di primo grado, reiterando la domanda di condanna della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e, in solido, della RAGIONE_SOCIALE al pagamento dell’importo di euro 93.860,81 di cui agli avvisi di parcella prodotti in atti, oltre interessi moratori, nonché la condanna della RAGIONE_SOCIALE ex art. 96 c.p.c.
A fondamento del gravame, l’appellante sosteneva che il Tribunale avesse errato, in primo luogo, nell’apprezzamento delle risultanze processuali rispetto alla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (non avendo quest’ultima mai contestato l’esistenza e l’ammontare del credito, ma, anzi, avendolo espressamente riconosciuto); in secondo luogo, nell’applicazione dell’art. 2560, comma 2, c.c. in relazione al rigetto della domanda nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e, in terzo luogo, nel mancato esame delle istanze istruttorie.
Si costituiva in grado di appello la RAGIONE_SOCIALE, la quale contestava integralmente l’impugnazione dell’appellante e proponeva appello incidentale, chiedendo alla Corte Ambrosiana di accertare che nulla dalla RAGIONE_SOCIALE era dovuto all’appellante principale, di dichiarare la responsabilità aggravata di quest’ultima ex art. 96 c.p.c. e di condannarla al risarcimento dei danni da liquidarsi in via equitativa, nonché di dichiarare l’appellata RAGIONE_SOCIALE tenuta a rimborsare all’appellante incidentale l’importo di euro 39.997,72, oltre rivalutazione e interessi. Veniva, anche nel giudizio di appello, dichiarata la contumacia di RAGIONE_SOCIALE
Con la sentenza n. 489/2019, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale, rigettando sia l’appello principale che quello incidentale e disponendo l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti costituite.
A sostegno della decisione, la Corte territoriale -assunta la piena ammissibilità dell’appello principale in applicazione del principio della c.d. apparenza giuridica -riteneva che la contumacia della
convenuta RAGIONE_SOCIALE non potesse acquisire valenza confessoria o, comunque, di non contestazione dei fatti allegati dalla controparte e che, sulla base di apprezzamenti di merito, l’appellante non aveva tempestivamente allegato e prodotto elementi di prova idonei a dimostrare il conferimento degli incarichi in questione e lo svolgimento degli stessi, in buona sostanza la prova dei fatti costitutivi delle pretese avanzate sia nei confronti di RAGIONE_SOCIALE sia nei confronti di RAGIONE_SOCIALE Inoltre, la Corte di appello assumeva di poter condividere le valutazioni svolte dal giudice di primo grado circa le istanze istruttorie formulate e reiterate nel giudizio di appello dall’appellante principale.
Relativamente all’appello incidentale proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, la Corte di appello lombarda confermava la sentenza impugnata nella parte in cui condannava l’appellante incidentale al pagamento, in favore dell’appellante principale, di euro 612,00, essendo tale somma iscritta, al momento della cessione d’azienda, tra le passività nei libri contabili obbligatori, con la conseguenza di doverla considerare un debito facente capo direttamente alla cessionaria RAGIONE_SOCIALE e di non poterla intendere in alcun modo ricompresa nell’ammontare della fattura n. 93/2010 emessa dall’Avv. COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE
Infine, il giudice del gravame sosteneva di non poter accogliere la domanda di rimborso avanzata nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, non essendovi, innanzitutto, prova dell’avvenuto pagamento e non essendo, in ogni caso, stato proposto l’unico rimedio utile in funzione del recupero delle somme, quale l’azione ex art. 2041 c.c.
Contro la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, l’Avv. NOME COGNOME
Ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE
Solo la ricorrente ha depositato memorie illustrative ex art. 380 bis. 1 c.p.c. in prossimità dell’adunanza camerale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo la ricorrente censura -con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. l’omessa valutazione di prove documentali ritualmente prodotte e, dunque, la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., lamentando che la sentenza di appello non abbia preso in considerazione né quanto dedotto negli atti delle parti costituite, né i documenti prodotti nn. 13, 31, 32 e 41, rilevanti ai fini della ricostruzione della vicenda fattuale, nonché della valutazione sulla fondatezza delle pretese creditorie vantate dall’odierna ricorrente.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia -in ordine all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. -il travisamento di prova decisiva, avendo il giudice dell’impugnazione erroneamente sostenuto che le produzioni di documenti allegati alla memoria ex art. 183, comma 6, n. 3, c.p.c. fossero volte a dimostrare la sussistenza dell’obbligo di adempiere anche in capo alla RAGIONE_SOCIALE, quando invece -essendo tale prova già stata resa con gli atti e i documenti precedentemente depositati -le produzioni in questione erano state effettuate semplicemente in risposta a quanto riportato nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c. della controparte RAGIONE_SOCIALE
Le due censure -da trattare unitariamente vertendo entrambe sulla questione della tempestività (o meno) della produzione documentale -sono in parte inammissibili e in parte infondate.
In primo luogo, esse non si confrontano con la ratio della sentenza oggetto di impugnazione. In tema di ricorso per cassazione, infatti, è necessario che venga contestata in modo specifico la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata (Cass. 10 agosto 2017, n. 19989).
La Corte territoriale ha riconosciuto che l’onere probatorio della pretesa creditoria gravava in capo all’Avv. COGNOME per avere agito onde ottenere il pagamento dell’asserito compenso. Il
Collegio ha rilevato la tardività del deposito delle produzioni documentali astrattamente idonee a fornirne la prova, in quanto depositate solo con la memoria ex art. 183, comma 6 n. 3) c.p.c., ben oltre quindi il termine ultimo del deposito della memoria ai sensi dell’art. 183, comma 6 n. 2) c.p.c.
Per questo, il Giudice di merito ha riconosciuto l’inadempimento dell’onere probatorio, ritenendo non provata la prestazione professionale.
La formulazione della censura, con cui si lamenta la violazione di norme processuali determinanti la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 4) c.p.c., consente di procedere all’esame dei documenti e degli atti del giudizio di merito.
In particolare, i documenti nn. 13, 31, 32 e 41 sono stati depositati con la memoria ex art. 183 comma 6 n. 2) c.p.c.; ciononostante, dall’esame del loro contenuto va rilevato che si tratta delle missive oggetto dell’interlocuzione tra l’Avv. COGNOME e l’Avv. COGNOME subentrato quale nuovo difensore della RAGIONE_SOCIALE in sostituzione della prima legale.
Con lo scambio epistolare, la ricorrente ha chiesto l’intervento del collega al fine di ottenere il pagamento del proprio compenso; dal contenuto delle missive, però, non emerge alcuna ricognizione di debito, non avendo il doc. 31, costituito dalla mail di risposta dell’Avv. COGNOME un contento specifico rivolto a tale scopo, ma una generica affermazione di conoscenza della asserita posizione debitoria della propria assistita.
Inoltre, ai sensi dell’art. 2233 c.c., come modificato dall’art. 2, d.l. n. 223 del 2006, conv., con modif., dalla l. n. 248 del 2006, l’accordo di determinazione del compenso professionale tra avvocato e cliente deve rivestire la forma scritta “ad substantiam” a pena di nullità, senza che rilevi la disciplina introdotta dall’art. 13, comma 2, l. n. 247 del 2012, che, nell’innovare il solo profilo del momento della stipula del negozio individuato, di regola, nella data
del conferimento dell’incarico, ha lasciato invariato quello sul requisito di forma, con la conseguenza che, da un lato, l’accordo, quando non trasfuso in un unico documento sottoscritto da entrambe le parti, si intende formato quando la proposta, redatta in forma scritta, sia seguita dall’accettazione nella medesima forma e, dall’altro, che la scrittura non può essere sostituita con mezzi probatori diversi e la prova per presunzioni semplici, al pari della testimonianza, sono ammissibili nei soli casi di perdita incolpevole del documento ex artt. 2724 e 2725 c.c. (Cass. 12 gennaio 2023, n. 717).
Nella specie, secondo quanto riconosciuto dalla Corte di appello, la ricorrente non ha prodotto alcuna prova dell’incarico e, dall’esame degli atti del giudizio di merito, va rilevato che, solo con la memoria ex art. 183, comma 6, n. 3) c.p.c., l’Avv. COGNOME ha curato il deposito di copia del frontespizio di alcuni degli atti giudiziali redatti su incarico della RAGIONE_SOCIALE; quindi, trattandosi di documenti posti a fondamento della pretesa attorea, non potevano essere depositati con la memoria diretta alle ‘ sole indicazioni di prova contraria ‘, ma dovevano essere prodotti fin dall’origine. Di converso, la ricorrente, per provare il proprio credito, unitamente all’atto introduttivo, ha depositato soltanto degli avvisi di parcella, inidonei anche a dimostrare l’adempimento della prestazione professionale.
Tanto chiarito, le censure sono, altresì, infondate laddove lamentano il riconoscimento del solo importo di euro 612,00 quale compenso per la ricorrente, per essere la somma desunta non già sulle allegazioni della creditrice, ma sulle risultanze dalle scritture contabili della RAGIONE_SOCIALE in qualità di cessionaria della RAGIONE_SOCIALE, rinvenute in atti.
Con la seconda censura la ricorrente deduce -con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. per erronea identificazione e interpretazione della
domanda e conseguente vizio di extra petizione, avendo il giudice di appello illegittimamente ritenuto che la decisione dell’organo giudiziario investito della domanda finalizzata alla percezione di compensi professionali non può in alcun caso prescindere dall’accertamento dei fatti posti a fondamento della pretesa, nonostante l’odierna ricorrente non avesse mai chiesto la liquidazione delle prestazioni.
Il motivo è manifestamente infondato.
La formulazione della censura, con cui si lamenta la violazione di norme processuali determinanti la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 4) c.p.c., consente di procedere all’esame dei documenti e degli atti del giudizio di merito.
Dalla lettura del petitum dell’atto introduttivo della controversia, emerge che l’avvocato ricorrente, al fine di ottenere il compenso per le prestazioni dalla stessa asseritamente svolte, ha domandato al Tribunale di Milano di ‘ dichiarare che RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE devono provvedere al pagamento, ciascuna per l’intero ed in solido, delle competenze e delle spese, oltre accessori di legge, di cui agli avvisi in narrativa sub par. 1 ‘, chiedendo che la somma includesse anche CNPA, IVA e gli interessi ex art. 4 del d.lgs. n. 231/2002 con composizione ai sensi dell’art. 1283 c.c. dal giorno della domanda.
Inoltre, dalle conclusioni dell’appellante riportate dall’estensore nella sentenza impugnata (p. 2), l’avvocato COGNOME ha chiesto alla Corte di appello di ‘ dichiarare che RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e RAGIONE_SOCIALE devono provvedere al pagamento, ciascuna per l’intero ed in solido, delle competenze e delle spese, oltre accessori di legge, di cui agli avvisi oggetto del giudizio per euro 93.860,81, oltre CNPA e IVA come di legge ed oltre interessi ex art. 4 d.lgs. 231/2002 dal dì del dovuto sino al saldo e con composizione ex art. 1283 c.c. dal giorno della domanda con conseguente condanna ‘.
L’attività interpretativa della domanda costituisce espressione del potere del giudice ed è diretta a cogliere, al di là delle espressioni letterali utilizzate, il contenuto sostanziale della stessa, desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dallo scopo pratico perseguito dall’istante con il ricorso all’autorità giudiziaria (Cass. SS.UU. 10 luglio 2003, n. 10840).
Infatti, in tale attività di indagine, diretta all’individuazione e qualificazione della domanda giudiziale, il giudice di merito, come quello di legittimità, non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, ma deve tener presente essenzialmente il contenuto sostanziale della pretesa, desumibile, oltre che dal tenore delle deduzioni svolte nell’atto introduttivo e nei successivi scritti difensivi, anche dallo scopo cui la parte mira con la sua richiesta (Cass. 6 aprile 2006, n. 8107).
Così, nell’interpretazione e nella qualificazione della domanda, il giudice di merito, da un lato, non è condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte, dall’altro, ha il potere-dovere di accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non solo dal tenore letterale degli atti, ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla parte e dalle precisazioni dalla medesima fornite nel corso del giudizio, nonché dal provvedimento concreto dalla stessa richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e di non sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella esercitata (Cass. 28 luglio 2005, n. 15802).
Nella specie, dall’interpretazione della domanda, con cui l’avvocato COGNOME COGNOME ha chiesto all’autorità giudiziaria di ‘ dichiarare ‘ che le società, asserite debitrici, ‘ devono provvedere al pagamento, ciascuna per l’intero e in solido, delle competenze e delle spese, oltre accessori di legge ‘, ne discende che il professionista con il ricorso, proposto ai sensi dell’art. 702 -bis c.p.c., ha richiesto che venisse accertato il compenso dovuto con la conseguente condanna delle convenute al relativo pagamento.
Con la terza doglianza la ricorrente lamenta -pur ponendo riferimento all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. per avere la Corte di appello omesso la prova testimoniale articolata dall’odierna ricorrente in sede di gravame, diretta a dimostrare l’esistenza di trattative svolte per conto della RAGIONE_SOCIALE per il pagamento di minor importo del debito trasferito al cessionario, o comunque che questa si è accollata.
Il motivo è inammissibile.
Si tratta di un’ipotesi di ‘doppia conforme’, la Corte di appello ha condiviso le valutazioni del Tribunale circa l’inammissibilità della prova testimoniale, trattandosi di istanza istruttoria generica ed irrilevante, per essere i capitoli di prova articolati dall’Avv. COGNOME COGNOME relativi sia al conferimento degli incarichi, senza alcuna indicazione dei giudizi e degli affari trattati, sia delle trattative per una conciliazione che di per sé non costituiscono prova del riconoscimento di debito, prova peraltro preclusa ove si voglia dedurre l’intervenuta transazione, per la quale è prevista la forma scritta ‘ ad probationem ‘, ai sensi dell’art. 1967 c.c.
In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 4.500,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda