Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 456 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 456 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
Oggetto:
Organizzazione manifestazione
artistica – Compenso
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17054/2017 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’ avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE con procura speciale in calce al ricorso ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio del difensore;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI L’AQUILA elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME
(PCANLS77M55G878W) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente e ricorrente incidentale – avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 3878/2016 depositata il 17 giugno 2016 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 giugno 2023 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva in fatto e in diritto
Ritenuto che:
la società RAGIONE_SOCIALE, con atto di citazione notificato l’11 marzo 2005, evocava dinanzi al Tribunale di Roma il Comune dell’Aquila e l’Istituzione Perdonanza Celestiniana per sentire dichiarare i convenuti solidalmente obbligati al pagamento, in via principale, della somma di euro 50.000 oltre iva al 10 % o, in via subordinata, della somma di euro 27.500 oltre interessi e rivalutazione in virtù di un contratto stipulato con l’Istituzione convenuta quale organo strumentale dell’ente locale ed avente ad oggetto l’organizzazione di uno spettacolo in cui si era esibita la nota cantante NOME COGNOME
instaurato il contraddittorio, nella resistenza del Comune dell’Aquila, che eccepiva l’incompetenza per territorio nonché nel merito l’infondatezza delle domande attoree, rimasta contumace l’Istituzione Perdonanza Celestiniana, il giudice adito, con sentenza n.14290 del 2011, respingeva l’eccezione di incompetenza territoriale, dichiarava il difetto di
legittimazione passiva dell’Istituzione RAGIONE_SOCIALE, in quanto mancante della personalità giuridica ed ente strumentale del Comune, e condannava il Comune dell’Aquila al pagamento in favore della società attrice della somma di euro 50.000,00;
in virtù di gravame interposto dal Comune dell’Aquila, la Corte di appello di Roma, costituita tardivamente l’appellata società RAGIONE_SOCIALE, con sentenza n. 3878 del 2016, accoglieva il gravame ed in riforma della sentenza impugnata dichiarava non dovuta alcuna ulteriore somma dal Comune dell’Aquila alla società RAGIONE_SOCIALE.
A sostegno della decisione adottata la Corte distrettuale evidenziava che il Comune dell’Aquila aveva reiterato la sua estraneità in ordine agli obblighi di pagamento presuntivamente assunti dall’Istituzione RAGIONE_SOCIALE con la società appellata On the road atteso il difetto di rappresentanza di colui che aveva sottoscritto il contratto, il mancato deposito del contratto medesimo quale fonte della presunta obbligazione di pagamento, la violazione del testo unico degli enti locali circa la ritualità della forma del contratto e del relativo impegno contabile di spesa, la sua legittima riferibilità al Comune dell’Aquila, l’irrilevanza dei riconoscimenti di debito effettuate dal rappresentante dell’ente ed, infine, l’erroneità del riconoscimento di interessi e rivalutazione sull’importo deciso al Tribunale, censure che venivano ritenute manifestamente fondate atteso che il Comune dell’Aquila aveva lamentato il mancato assolvimento
dell’onere probatorio da parte della società appellata. In particolare, non risultava depositato il documento a sostegno della domanda di adempimento contrattuale ovvero l’atto negoziale presumibilmente intercorso tra le parti. La società appellata aveva omesso il deposito del fascicolo di parte del primo grado di giudizio contenente gli allegati e le prove documentali poste a sostegno delle proprie domande sulle quali si era fondata la sentenza impugnata. Tale circostanza inibiva l’approfondimento circa la sussistenza del diritto azionato in primo grado dalla società “RAGIONE_SOCIALE“, comportando l’accoglimento del gravame atteso l’onere della società appellata di allegare anche in secondo grado la documentazione fondante la decisione del Tribunale. L’appello interposto dal Comune dell’Aquila doveva essere accolto per il mancato rispetto degli oneri di riparto probatorio in primo grado posti a carico della società “RAGIONE_SOCIALE“, nonché per l’omesso deposito del fascicolo di primo grado della stessa parte che non risultava essere stato ritirato dal fascicolo d’ufficio del Tribunale e neppure depositato in cancelleria nel giudizio di appello. Tale omesso e necessario adempimento era indiscutibilmente ascrivibile alla parte appellata, per cui – in virtù di un consolidato orientamento di legittimità -il procedimento doveva essere deciso allo stato degli atti e la domanda azionata in primo grado rigettata in quanto carente di prova;
la società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza, sulla base di quattro
motivi, cui ha resistito il Comune dell’Aquila con controricorso contenente anche ricorso incidentale condizionato affidato a quattro motivi;
-fissata adunanza camerale ex art. 380-bis c.p.c. al 10.01.2023, con ordinanza interlocutoria n. 895 del 2023, pendendo dinanzi alle Sezioni Unite la questione relativa ai confini del paradigma normativo di cui all’art. 342 c.p.c. , con particolare riferimento al riparto dell’onere probatorio (aspetto rilevante con particolare riguardo all’esame del primo motivo), la trattazione della causa veniva rinviata a nuovo ruolo, per essere, poi, nuovamente fissata per l’adunanza camerale del 26 giugno 2023, a seguito dell’intervenuta decisione delle Sezioni Unite sulla predetta questione.
Considerato che:
il primo motivo di ricorso è rubricato quale violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 342 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 2967 c.c. ( rectius 2697 c.c.). Secondo la ricorrente la Corte di appello avrebbe omesso ogni valutazione in ordine alla fondatezza dei motivi proposti dal Comune appellante sostenendo a torto che l’appellata non avrebbe assolto al proprio onere della prova. La circostanza relativa al preteso mancato deposito del fascicolo di primo grado non sarebbe rilevante poiché tutti i documenti presenti erano stati ritualmente depositati in cancelleria in data 31 ottobre 2012, unitamente alla memoria difensiva sull’istanza inibitoria, come risultante dal timbro apposto sull’ultima pagina delle citate
memorie e dei documenti allegati alle stesse. In ragione di quanto sopra e della consolidata giurisprudenza di legittimità, il giudice dell’appello indipendentemente dalla presenza o meno del fascicolo di primo grado avrebbe potuto visionare tutti i documenti presenti nel fascicolo, esaminando gli allegati presenti alla memoria difensiva depositata per la fase inibitoria.
In subordine avrebbe dovuto disporre la ricerca del fascicolo tramite la cancelleria e, in caso di insuccesso, concedere un termine all’appellata per la ricostruzione, non potendo gravare sulla parte le conseguenze del mancato reperimento del fascicolo e non potendosi rigettare una domanda o un’eccezione per mancanza di una prova documentale regolarmente inserita nel fascicolo di parte, tanto più quando nei casi come quello di specie in cui il Tribunale si era pronunciato in senso favorevole all’appellata, argomentando proprio sulla medesima prova.
Il giudice del gravame avrebbe dovuto analizzare le censure dell’appellante rilevando il difetto di allegazione del l’appellante Comune dell’Aquila, sul quale ricadeva l’onere di argomentare il proprio appello sulla base del paradigma normativo di cui all’art. 342 c.p.c. Peraltro, il Comune non aveva mai eccepito la mancata produzione in giudizio del contratto costituente la fonte dell’obbligazione oggetto di causa ma si era limitato a contestare la mancanza dei poteri in capo al sottoscrittore del medesimo contratto. La Corte d’Appello di Roma, in realtà, avrebbe proposto un’erronea interpretazione del principio
dispositivo. Peraltro, anche le Sezioni Unite della Cassazione hanno evidenziato che è onere dell’appellante la dimostrazione del fondamento della propria domanda di revisione del giudizio per l’ingiustizia o invalidità della decisione assunta dal primo giudice. Dunque, è onere dell’appellante mettere a disposizione del giudice di appello il documento che ha determinato l’errore del primo giudice affinché si possa procedere al suo riesame e ciò anche nei casi in cui il documento in questione sia stato in precedenza prodotto dalla controparte. Inoltre, sempre le Sezioni Unite, hanno riaffermato che quando il giudice di primo grado abbia accolto la domanda, ritenendo provato il fatto costitutivo del diritto attraverso un determinato documento, l’appellante ha l’onere di censurare la sentenza contestando il valore dimostrativo del medesimo documento e l’appello è inammissibile se il suddetto documento non venga prodotto dal medesimo appellante.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., per essere la motivazione resa in grado di appello puramente apparente semplicemente lamentando il mancato rinvenimento del fascicolo della parte appellata, sinanche astenendosi dal pronunciare sull’eccezione preliminare di incompetenza per territorio, affermando che la stessa resterebbe assorbita dalla pronuncia sul merito della controversia.
Con il terzo mezzo è dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le
parti, in particolare per non avere preso in considerazione il parziale pagamento dell’ente locale obbligato per il principio di adempimento della prestazione, limitandosi a rilevare il mancato rinvenimento del fascicolo di primo grado di parte appellata, senza neanche esaminare gli atti del subprocedimento definito con la inibitoria.
Le prime tre censure -da trattare unitariamente per l’evidente connessione argomentativa che le avvince -sono fondate.
Secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. Un., 23 dicembre 2005 n. 28498; Cass., Sez. Un., 8 febbraio 2013 n. 3033; Cass. 22 gennaio 2013 n. 1462; Cass. 9 giugno 2016 n. 11797; Cass. 17 dicembre 2021 n. 40606; Cass. 30 marzo 2022 n. 10164; confermate e sviluppate di recente in Cass., Sez. Un., 16 febbraio 2023 n. 4835), l’appellante è tenuto a fornire la dimostrazione delle singole censure, atteso che l’appello, non è più, nella configurazione datagli dal codice vigente, il mezzo per passare “da uno all’altro esame della causa”, ma una “revisio” fondata sulla denunzia di specifici “vizi” di ingiustizia o nullità della sentenza impugnata, con la conseguenza che è onere dell’appellante, quale che sia stata la posizione da lui assunta nella precedente fase processuale, produrre, o ripristinare in appello se già prodotti in primo grado, i documenti sui quali egli basa il proprio gravame o comunque attivarsi, anche avvalendosi della facoltà, ex art. 76 disp. att. cod. proc. civ., di farsi rilasciare dal cancelliere copia degli atti del fascicolo delle altre parti, perché questi documenti possano essere
sottoposti all’esame del giudice di appello, per cui egli subisce le conseguenze della mancata restituzione del fascicolo dell’altra parte quando questo contenga documenti a lui favorevoli che non ha avuto cura di produrre in copia e che il giudice di appello non ha quindi avuto la possibilità di esaminare.
Con la pronuncia delle Sezioni Unite più recente richiamata (sent. n. 4835/2023 cit.) è stato pure precisato, in particolare, che, « Se l’acquisizione della valenza probatoria del documento esibito (ovvero la sua natura di fonte di conoscenza per il giudice e di fissazione formale della verità legale circa l’esistenza o l’inesistenza dei fatti controversi) non si esaurisce nel singolo grado di giudizio, essa neppure può dipendere dalle successive scelte processuali della parte che lo abbia inizialmente prodotto. Il fatto storico rappresentato dal documento prodotto si ha per dimostrato, essendo stato ultimato il procedimento strumentale che assicura l’acquisizione processuale della fonte di conoscenza, e ciò pone fuori causa l’art. 2697 c.c .». Le stesse Sezioni Unite hanno, poi, osservato che, per quanto riguarda specificamente le prove documentali, materializzate nelle produzioni di parte, nei casi in cui il giudice di appello, per l’inerzia della parte interessata e tenuta alla relativa allegazione, non sia stato in grado di riesaminarle, le stesse, ancorché non materialmente più presenti in atti, continuano tuttavia a spiegare la loro efficacia, nel senso loro attribuito nella sentenza emessa dal
primo giudice, la cui presunzione di legittimità non risulta superata per fatto ascrivibile all’appellante.
In conclusione, nella sentenza del Supremo Consesso sono stati enunciati i seguenti principi di diritto: i l principio di ‘non dispersione (o di acquisizione) della prova’, operante anche per i documenti – prodotti sia con modalità telematiche che in formato cartaceo -, comporta che il fatto storico in essi rappresentato si ha per dimostrato nel processo, costituendo fonte di conoscenza per il giudice e spiegando un’efficacia che non si esaurisce nel singolo grado di giudizio, né può dipendere dalle successive scelte difensive della parte che li abbia inizialmente offerti in comunicazione.
Il giudice d’appello ha il potere -dovere di esaminare un documento ritualmente prodotto in primo grado nel caso in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza nei propri scritti difensivi, mediante richiamo di esso nella parte argomentativa dei motivi formulati o delle domande ed eccezioni riproposte, illustrando le ragioni, trascurate dal primo giudice, per le quali il contenuto del documento acquisito giustifichi le rispettive deduzioni.
Affinché il giudice di appello possa procedere all’autonomo e diretto esame del documento già prodotto in formato cartaceo nel giudizio di primo grado, onde dare risposta ai motivi di impugnazione o alle domande ed eccezioni riproposte su di esso fondati, il documento può essere sottoposto alla sua attenzione, ove non più disponibile nel fascicolo della parte che lo aveva offerto in comunicazione (perché ritirato e non
restituito, o perché questa è rimasta contumace in secondo grado), mediante deposito della copia rilasciata alle altre parti a norma dell’art. 76 disp. att. c.p.c. Il giudice di appello può inoltre porre a fondamento della propria decisione il documento prodotto in formato cartaceo non rinvenibile nei fascicoli di parte apprezzandone il contenuto che sia trascritto o indicato nella decisione impugnata, o in altro provvedimento o atto del processo, ovvero, se lo ritiene necessario, può ordinare alla parte interessata di produrre, in copia o in originale, determinati documenti acquisiti in primo grado.
Allorché la parte abbia ottemperato all’onere processuale di compiere nell’atto di appello o nella comparsa di costituzione una puntuale allegazione del fatto rappresentato dal documento cartaceo prodotto in primo grado, del quale invochi il riesame in sede di gravame, e la controparte neppure abbia provveduto ad offrire in comunicazione lo stesso nel giudizio di secondo grado, sarà quest’ultima a subire le conseguenze di tale comportamento processuale, potendo il giudice, il quale ha comunque il dovere di ricomporre il contenuto di una rappresentazione già stabilmente acquisita al processo, ritenere provato il fatto storico rappresentato dal documento nei termini specificamente allegati nell’atto difensivo. Alla stregua del sistema delineato da tali principi, che peraltro si pone nel medesimo solco delle sentenze n. 28498 del 2005 e n. 3033 del 2013, il ricorso principale della On The Road risulta evidentemente fondato, assorbito il quarto mezzo con il quale viene denunciata la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.;
-passando all’esame del ricorso incidentale condizionato, con il primo mezzo è lamentata la violazione dell’art. 360 n. 2 c.p.c. in relazione agli artt. 19 e 20 c.p.c. con conseguente incompetenza del foro di Roma a conoscere del ‘fantomatico contratto’ tra la On The Road ed il Comune dell’Aquila.
Con il secondo mezzo viene censurata, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione dell0art. 1988 c.c. per la irrilevanza del riconoscimento di debito effettuato dal rappresentante dell’ente ai fini dell’insorgere di corrispondenti obbligazioni dell’Ente rappresentato.
Con il terzo mezzo viene lamentata la violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 191 del testo Unico degli Enti locali, non intercorrendo alcun rapporto obbligatorio tra il privato fornitore e l’amministratore al di fuori della procedura disciplinata dal d.lgs. n. 267 del 2000, oltre ad insistere sull’erroneo riconoscimento da parte del giudice di prime cure del cumulo di interessi e della rivalutazione.
Con riferimento a tutti i tre motivi deve preliminarmente osservarsi che avendo la Corte di appello di Roma rigettato la domanda de ll’ odierna ricorrente principale sulla base dell’assorbente -ancorché erroneo – rilievo del mancato assolvimento dell’onere di provare il fatto costitutivo del diritto azionato, lasciando sostanzialmente impregiudicata la questione della titolarità del diritto azionato, va dato, qui, seguito al principio secondo cui “è inammissibile per carenza di interesse il ricorso incidentale condizionato allorché proponga
censure che non sono dirette contro una statuizione della sentenza di merito bensì a questioni su cui il giudice di appello non si è pronunciato ritenendole assorbite, atteso che in relazione a tali questioni manca la soccombenza che costituisce il presupposto dell’impugnazione, salva la facoltà di riproporre le questioni medesime al giudice del rinvio, in caso di annullamento della sentenza” (da ultimo, Cass. 22 settembre 2017 n. 22095; nello stesso senso già Cass. 20 dicembre 2012 n. 23548).
Ricorre, infatti, l’ipotesi del cd. “assorbimento improprio”, ipotizzabile “quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande”, sicché “l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento” (v. in termini, Cass. 12 novembre 2018 n. 28995).
In definitiva il ricorso principale va accolto, dichiarato inammissibile quello incidentale condizionato; l’impugnata sentenza va cassata con rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che nel riesaminare la vicenda si atterrà ai principi sopra illustrati.
Il giudice di rinvio regolerà anche le spese del presente giudizio di legittimità.
In ragione della dichiarazione di inammissibilità del ricorso incidentale condizionato, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.RR. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 -della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del Comune dell’Aquila, ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass., Sez. Un., 20 febbraio 2020 n. 4315), pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P . Q . M .
La Corte accoglie il ricorso principale, dichiarato inammissibile quello incidentale condizionato;
cassa la sentenza gravata e rimette la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche al regolamento delle spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo, se dovuto, a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda