Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 16145 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 16145 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6660 R.G. anno 2023 proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME , elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
ricorrente
contro
COGNOME NOME , elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende;
contro
ricorrente
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende;
nonché contro
NOME, IW BANK SPA ;
intimati
avverso la SENTENZA n. 2080/2022 emessa da CORTE D’APPELLO BOLOGNA.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 aprile 2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
─ NOME COGNOME e NOME COGNOME convenivano RAGIONE_SOCIALE (adesso denominata RAGIONE_SOCIALE) innanzi al Tribunale di Parma, Sezione distaccata di Fidenza, chiedendo dichiararsi la nullità del contratto quadro relativo ai servizi di negoziazione, di collocamento e di ricezione ordini, oltre che delle presunte operazioni di investimento eseguite, per violazione da parte della banca della normativa di riferimento in materia di intermediazione finanziaria e, segnatamente dell’art. 23, comma 1, t.u.f.; domandavano pure la condanna della b anca alla restituzione ai clienti dell’importo complessivo pari al capitale investito per un totale di euro 401.825,00 oltre interessi legali.
Le domande erano resistite dalla convenuta. Il contraddittorio era esteso a NOME COGNOME e NOME COGNOME, promotori finanziari che avevano assistito COGNOME e COGNOME nelle operazioni contestate.
Il Tribunale pronunciava sentenza di rigetto, che era impugnata in via principale dagli investitori e in via incidentale dalla banca e da NOME COGNOME.
I due gravami venivano respinti.
contro
ricorrente
In estrema sintesi, e per quanto qui rileva, la Corte di appello di Bologna ha anzitutto escluso il raggiungimento della prova quanto all’asserito versamento di somme, da parte degli investitori, in favore del promotore COGNOME; ha quindi ritenuto che la domanda diretta alla declaratoria di nullità contrattuale fosse affetta da carenza di interesse, non potendo essere adottata, per la ragione sopra indicata, alcuna statuizione restitutoria.
3 . ─ Hanno proposto ricorso per cassazione COGNOME e COGNOME. Al ricorso ha resistito, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE.
E’ stata formulata , da parte del Consigliere delegato allo spoglio, una proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380bis c.p.c.. A fronte di essa parte ricorrente ha domandato la decisione della causa. Sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La proposta ha il tenore che segue:
« l primo motivo -che deduce violazione degli artt. 2697 e 2702 c.c., avendo invece gli investitori provato il danno, ossia le somme investite -è inammissibile: con esso, invero, si confutare un accertamento di fatto, onde è palese che, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, si pretende invece dalla Corte di legittimità una rivisitazione della vicenda concreta, già scrutinata dai giudici del merito, tramite la lettura degli atti istruttori, sottratta al sindacato di legittimità (e multis, Cass. 15 aprile 2021, n. 10029; Cass. 17 febbraio 2021, n. 4172; Cass. 22 gennaio 2021, n. 1341; Cass. 4 maggio 2020, n. 8444; Cass. 10 marzo 2020, n. 6692; Cass. 6 marzo 2019, n. 6519; Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass. 14 gennaio 2019, n. 640); inoltre, quanto alla dedotta violazione dell’art. 2697 c.c., il motivo non coglie parimenti nel segno, posto che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata
secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti ( e multis , Cass. 20.4.2020, n. 7919; Cass. 19.8.2020, n. 17313; Cass. 24.1.2020, n. 1634; Cass. 23.10.2018, n. 26769; Cass. 29 maggio 2018, n. 13395; Cass. 7.11.2017, n. 26366; Cass. 17 giugno 2013, n. 15107);
«il secondo motivo -che deduce violazione degli artt. 112 e 214 c.p.c., perché la Corte territoriale ha omesso di decidere la domanda di nullità dei contratti -è inammissibile: esso, infatti, da un lato non tiene conto che la Corte ha invece deciso tale domanda, semplicemente con la declaratoria di difetto di interesse al riguardo (e, quindi, la sua inammissibilità), e, dall’altro lato, non coglie e non censura tale declaratoria;
«il terzo motivo -che deduce violazione degli artt. 112 c.p.c. e 31 t.u.f., per avere la Corte territoriale omesso di decidere la domanda risarcitoria, sebbene la banca debba rispondere per fatto del suo promotore -è inammissibile: da un lato, trascura che la domanda risarcitoria è stata, al contrario, decisa e respinta; dall’altro lato, parimenti pretende di riproporre un giudizio sul fatto».
2. Il Collegio reputa condivisibili tali argomentazioni, che resistono ai rilievi critici formulati dalla parte ricorrente nella sua memoria.
Mette conto di aggiungere che il primo motivo è pure carente di autosufficienza, in quanto i ricorrenti non riproducono il contenuto dei documenti su cui è incentrato il mezzo di censura; in linea di principio, non si vede, poi, come tali scritti possano essere opposti alla banca: ove pure avessero valore ricognitivo opererebbe, con riguardo ad essi, il disposto dell’art. 1309 c.c., secondo cui il riconoscimento del debito fatto da uno dei debitori in solido non ha effetto riguardo agli altri.
Il secondo mezzo appare effettivamente diretto a censurare il
mancato scrutinio di un motivo di appello: si legge, infatti, nel ricorso: «La pretesa mancanza di prova del quantum investito ha impedito alla Corte di pronunciarsi sui motivi d’appello». Sennonché, il vizio di omessa pronuncia non ricorre; si legge, infatti, nella sentenza impugnata: «arte appellante ha, nelle sue conclusioni, finalizzato la declaratoria di nullità dei contratti sottoscritti dallo COGNOME (dal solo COGNOME) all’ottenimento dell’effetto restitutorio in relazione alle somme asseritamente versate al promotore COGNOMECOGNOME circostanza quest’ultima di cui si è appena accertata l’infondatezza. L’impossibilità di o ttenere tale effetto restitutorio priva, dunque, in concreto, la parte di ogni interesse lo COGNOME alla declaratoria di nullità dei suddetti contratti».
Analoghe considerazioni impone, evidentemente, il terzo motivo, con cui è stata censurata l’omessa pronuncia sul la domanda risarcitoria. La Corte di appello ha disatteso il secondo motivo di gravame, vertente sulla mancata prova del danno, rilevando che non era stata raggiunta la prova del versamento delle somme per cui è causa nelle mani del promotore COGNOME. Non è vero, dunque, che sul punto sia mancata statuizione.
– Il ricorso va dichiarato inammissibile.
– Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
Poiché il giudizio è definito in conformità della proposta, va disposta condanna della parte istante a norma dell’art. 96, comma 3 e comma 4, c.p.c..
Vale rammentare quanto segue: in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022) ─ che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c. ─ codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una
valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente (Cass. Sez. U. 13 ottobre 2023, n. 28540).
In tal senso, la parte ricorrente va condannata, nei confronti di quella controricorrente, al pagamento della somma equitativamente determinata di € 13.000,00, oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 13.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge; condanna parte ricorrente al pagamento della somma di € 13.000,00 in favore della parte controricorrente, e di una ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende; ai sens i dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione