LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Onere della prova appalto: chi paga i lavori extra?

Una società committente si opponeva al pagamento di lavori extra-contratto, sostenendo di non averli mai autorizzati. La Corte di Cassazione, riformando le decisioni precedenti, ha stabilito che l’onere della prova in un appalto spetta sempre all’impresa esecutrice. Quest’ultima deve dimostrare in modo inequivocabile di aver ricevuto un’autorizzazione specifica dal committente per eseguire e farsi pagare le opere aggiuntive. Le sole fatture o la contabilità del direttore dei lavori non costituiscono prova sufficiente.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 23 agosto 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Onere della Prova in Appalto: Chi Paga i Lavori Extra-Contratto?

Una delle questioni più spinose nei contratti di appalto riguarda la gestione dei lavori extra, ovvero quelle opere non previste nel contratto iniziale. La domanda è sempre la stessa: chi deve pagare? E soprattutto, come si dimostra che tali lavori erano necessari e autorizzati? Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fatto chiarezza, ribadendo un principio fondamentale sull’onere della prova appalto: spetta all’impresa costruttrice, e non al cliente, dimostrare di aver ricevuto il via libera per ogni opera aggiuntiva. Vediamo nel dettaglio il caso e le conclusioni dei giudici.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine da un decreto ingiuntivo ottenuto da una società appaltatrice nei confronti di una società cooperativa committente, per il pagamento di circa 15.000 euro a saldo di lavori extra-capitolato eseguiti durante la ristrutturazione di un immobile.

La committente si opponeva fermamente, sostenendo che tali lavori non fossero mai stati autorizzati e, anzi, fossero già compresi nel corrispettivo pattuito. Non solo: in via riconvenzionale, chiedeva la restituzione di somme che riteneva di aver versato in eccesso per errori di contabilizzazione. Nel contenzioso venivano coinvolti anche il direttore dei lavori e il progettista dell’impianto elettrico.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dato parzialmente ragione all’impresa, ritenendo che, sebbene mancasse una prova scritta, l’autorizzazione del committente potesse essere presunta da alcuni elementi, come la mancata contestazione immediata delle opere e la loro esecuzione sotto la vigilanza del direttore dei lavori. La committente, insoddisfatta, ricorreva in Cassazione.

L’Onere della Prova nell’Appalto secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha ribaltato la prospettiva, accogliendo i motivi principali del ricorso della committente. Il punto centrale della decisione è l’applicazione rigorosa dell’art. 2697 del Codice Civile, che regola l’onere della prova appalto. Secondo questo principio, chi vuole far valere un diritto (in questo caso, l’appaltatore che chiede il pagamento) deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.

Nel contesto di un appalto, questo significa che l’impresa deve dimostrare non solo di aver eseguito i lavori, ma anche che questi sono stati richiesti e specificamente autorizzati dal committente. È un errore, secondo la Suprema Corte, invertire questo onere e pretendere che sia il committente a dover fornire una ‘probatio diabolica’, ossia la prova negativa di non aver mai dato l’autorizzazione.

L’inefficacia probatoria delle fatture e della contabilità

I giudici di legittimità hanno smontato le basi probatorie su cui si erano fondate le sentenze precedenti. In particolare, hanno chiarito che:

1. Le fatture: Essendo documenti di formazione unilaterale (create dall’appaltatore stesso), non costituiscono di per sé una prova del credito.
2. La contabilità del direttore dei lavori: Anche i registri contabili, sebbene sottoscritti dal direttore dei lavori, non sono sufficienti a vincolare il committente, a meno che non sia dimostrato che quest’ultimo ne abbia preso visione e li abbia accettati senza riserve.

Nel caso specifico, questi elementi non erano sufficienti a dimostrare l’esistenza di un ordine per le opere extra.

Il Rigetto delle Presunzioni della Corte d’Appello

La Cassazione ha criticato aspramente il ragionamento presuntivo seguito dalla Corte d’Appello. Il fatto che il committente non avesse immediatamente contestato i lavori, o che il loro valore fosse minimo rispetto all’importo totale dell’appalto, non poteva essere interpretato come un’accettazione tacita o un’autorizzazione implicita.

Un’inerzia del genere, in un cantiere complesso e di grande valore, non ha un significato univoco. Il committente potrebbe semplicemente non essersi accorto delle opere aggiuntive o averle ritenute incluse nel contratto originale. Pertanto, in assenza di una prova concreta e diretta dell’ordine, non si può desumere il consenso dai comportamenti.

le motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione riaffermando che il principio dell’onere della prova, sancito dall’art. 2697 c.c., è una colonna portante del sistema processuale. In materia di appalti, l’appaltatore che richiede un compenso per varianti o lavori extra deve fornire la prova positiva dell’autorizzazione del committente. Non è ammissibile basare una condanna di pagamento su prove presuntive deboli e non univoche, come il silenzio del committente o documenti contabili non formalmente accettati da quest’ultimo. La giurisprudenza costante, richiamata nella sentenza, conferma che le fatture e la contabilità di cantiere non hanno valore probatorio se non sono state portate a conoscenza e accettate senza riserve dalla parte committente. Invertire tale onere significherebbe imporre al committente una prova negativa quasi impossibile da fornire, alterando l’equilibrio processuale tra le parti.

le conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha cassato la sentenza d’appello e ha rinviato la causa a un’altra sezione della Corte d’Appello di Milano. Il nuovo giudice dovrà riesaminare il caso attenendosi strettamente al principio enunciato: l’onere di provare l’autorizzazione per i lavori extra-contratto grava interamente sull’appaltatore. Questa sentenza rappresenta un importante monito per le imprese: per evitare contenziosi, è fondamentale ottenere sempre un’autorizzazione scritta e chiara dal committente prima di eseguire qualsiasi lavoro non previsto dal contratto originario.

In un contratto di appalto, chi deve provare che i lavori extra sono stati autorizzati?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere della prova grava sempre sull’impresa appaltatrice. È l’impresa che, per ottenere il pagamento, deve dimostrare che il committente ha richiesto e autorizzato l’esecuzione dei lavori extra-contratto.

Le fatture emesse dall’appaltatore sono una prova sufficiente per ottenere il pagamento di lavori extra-contratto?
No. La Corte ha stabilito che le fatture, essendo documenti formati dalla stessa parte che pretende il pagamento, non costituiscono da sole una prova idonea del credito. Allo stesso modo, neanche la contabilità redatta dal direttore dei lavori è sufficiente, a meno che non si dimostri che sia stata accettata senza riserve dal committente.

Il silenzio o la mancata contestazione immediata da parte del committente possono essere considerati come un’autorizzazione tacita ai lavori extra?
No. La sentenza chiarisce che l’inerzia del committente di fronte all’esecuzione di lavori aggiuntivi non può essere interpretata come un’autorizzazione implicita o un’accettazione tacita. Per provare l’esistenza di un ordine è necessaria una prova positiva e diretta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati