Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23071 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23071 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17264/2021 R.G. proposto da :
DI NOME COGNOME NOME TITOLARE DELL’IMPRESA RAGIONE_SOCIALE OO.PP NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO DI L’AQUILA n. 583/ 2020 depositata il 16/04/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’impresa COGNOME ha convenuto in giudizio l’ANAS, deducendo di essersi aggiudicata l”appalto per i lavori di manutenzione della strada stradale adriatica. Ha chiesto il pagamento di maggiori somme per le riserve.
Il Tribunale ha condannato la controparte al pagamento di maggiori somme solamente per le riserve nn. 1, 2, 3.
L’impresa ha proposto appello, contestando gli esiti della consulenza tecnica di ufficio e del materiale probatorio in atti, impugnazione che la Corte d’appello di Salerno ha respinto ritenendo, in conformità al giudice di primo grado, che i costi ulteriori dei quali è stato chiesto il ristoro non fossero riscontrati da adeguata documentazione. La Corte d’appello ha osservato che la consulenza tecnica non è un mezzo di ricerca della prove quindi non può superare il deficit di allegazione e prova; in tal senso, ha ritenuto condivisibile l’affermazione del primo giudice, e procedendo ad una nuova verifica delle voci indicate e non riconosciute dal primo giudice ha rilevato che solo in minima parte vi è un riscontro in atti, e tuttavia né dalle fatture né dalle allegazioni della parte risulta in alcun modo verificabile in maniera adeguata il collegamento tra le lavorazioni richieste con gli ordini di servizio.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME nella qualità di erede del COGNOME, affidandosi a un motivo. ANAS si è difesa con controricorso.
E’ stata formulata proposta di definizione anticipata; parte ricorrente ha chiesto la decisione ex art 380 -bis c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo del ricorso si lamenta la falsa applicazione di norme di diritto (360 1° comma n. 3) laddove, sia pure con riferimento al giusto principio di diritto per cui ‘la consulenza tecnica non è mezzo di prova o di ricerca di fatti che le parti avevano l’onere di provare, ma sia strumento finalizzato alla valutazione di elementi già acquisiti ‘, i Giudici di prime e seconde cure non inquadravano correttamente gli esiti della consulenza tecnica d’ufficio, ed in particolare la valenza delle conclusioni rassegnate dal CTU, che, nel caso che ci occupa, lungi dal congetturare, aveva derivato dalle allegazioni e produzioni di parte attrice (nel rispetto dell’interpretazione che il Giudice Supremo offre dell’art. 194 c.p.c.) la conferma che, per ottemperare agli ordini di servizio supplementari della Direzione dei lavori, la Ditta COGNOME non aveva sopportato solo il peso evitabile del noleggio di un macchinario non necessario a ultimare l’opera secondo capitolato, ma anche maggiori oneri economici per manodopera e spese di esecuzione. La parte deduce che esiste in atti documentazione atta a comprovare senza ombra di dubbio due fatti: a) è prodotto sub 3 al fascicolo di parte attrice del primo grado l’ordine di servizio 13.04.2000, con cui il Direttore dei lavori (pagina 2 di 3 del documento che si allega nuovamente al presente ricorso sub 6) ordinava la immediata sospensione della lavorazione di sabbiatura con allontanamento dal cantiere della relativa attrezzatura (eppure, come dicono i Giudici del merito, l’appalto non era chiaro circa il tipo di attrezzatura da usare), nonché l’avvio della lavorazione di idroscarnitura, come da prescrizioni di capitolato con macchinari adeguati; b) la Ditta COGNOME noleggiava immediatamente il macchinario ritenuto consono dalla direzione dei lavori. Secondo la ricorrente, questi documenti sarebbero idonei a dimostrare che l’esigenza di lavorare su due turni, con riverbero diretto immediato sul costo dell’opera, sarebbe stata certamente evitabile se fosse
stato concesso all’appaltatrice di proseguire le lavorazioni con l’attrezzatura già presente in cantiere.
2. -Il motivo è inammissibile, in quanto diretto a richiedere una rivalutazione dell’accertamento dei fatti e della valutazione delle prove, che è compito riservato al giudice del merito e non è sindacabile in sede di legittimità se non per vizio motivazionale, nei limiti del «minimo costituzionale» di omesso esame di fatto decisivo discusso tra le parti, attualmente consentito dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.; mezzo questo nella fattispecie comunque precluso dalla doppia pronuncia conforme dei giudici del merito sulle stesse questioni e per le stesse ragioni (art. 348 -ter, comma 5, c.p.c. ratione temporis applicabile, si veda ex multis Cass. n. 5947 del 28/02/2023).
2.1. -La valutazione delle prove è rimessa al prudente apprezzamento del giudice ed è inammissibile la doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. Sez. U, n. 20867 del 30/09/2020; Cass. n. 27847 del 12/10/2021) Il giudice del merito non è peraltro tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali ed a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo aver vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata e (Cass. n. 12751 del 18/10/ 2001; Cass. n. 16056 del 02/08/2016 Cass. n. 29404 del 07/12/ 2017) Deve quindi ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti pro-
cessuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme (Cass. n. 10927 del 23/04/2024). La valutazione del materiale probatorio -in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante -costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito (Cass. n. 37382 del 21/12/2022). Alla Corte di cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti (cfr. Cass. n. 30878 del 2023).
-Nella specie i giudici del merito, valutando le risultanze istruttorie, hanno disatteso le valutazioni del consulente d’ufficio, ritenendo che la parte attrice non avesse specificamente allegato e comunque provato di aver sostenuto i costi e di aver effettuato le maggiori lavorazioni oggetto della richiesta, così uniformandosi al principio che la consulenza tecnica d’ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze. Ne consegue che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume e non sana il deficit probatorio (Cass. n. 8498 del 31/03/2025, Cass. n. 3130 del 08/ 02/2011).
-Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, in conformità alla proposta.
Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 380 -bis, comma 3, c.p.c., se la parte ha chiesto la decisione dopo la comunicazione della proposta di definizione anticipata e la Corte definisce il giudizio in conformità alla proposta, debbono trovare applicazione il terzo e il quarto comma dell’articolo 96 c.p.c., regola questa a cui, in questo caso, comunque non vi è ragione alcuna di derogare.
Secondo le Sezioni Unite di questa Corte (ordinanze n. 28619, 27195 e 27433 del 2023), la novità normativa contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore, della sussistenza dei presupposti per la condanna di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96 terzo comma) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad € 500,00 e non superiore ad € 5.000,00 (art. 96 quarto comma); risulta così «codificata una ipotesi di abuso del processo, peraltro da iscrivere nel generale istituto del divieto di lite temeraria nel sistema processuale, tant’è che la opzione interpretativa, sulla disciplina intertemporale, ne ha fatto applicazione – in deroga alla previsione generale contenuta nell’art. 35 comma 1 del d.lgs. n. 149/2022 – ai giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1.1.2023 per i quali non era stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio; anche ai fini della reattività ordinamentale, l’istituto integra il corredo di incentivi e di fattori di dissuasione contenuto nella norma in esame (che sono finalizzati a rimarcare, come chiarito nella relazione illustrativa al D. Lgs. n. 149/2022, la limitatezza della risorsa giustizia, essendo giustificato che colui che abbia contribuito a dissiparla, nonostante una prima delibazione negativa, sostenga un costo aggiuntivo)».
La ricorrente deve quindi essere condannata al pagamento, a favore della controparte, ex art. 96, comma 3, c.p.c., di una somma equitativamente determinata in misura pari all’importo delle spese processuali nonché al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma pari ad € 2.500,00.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate nella somma di € 4.000,00 per compensi, € 200,00 per spese non documentabili, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge, nonché al pagamento della somma di € 4.000,00 ex art. 96, comma 3, c.p.c.
Condanna altresì la ricorrente al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma pari ad € 2.500,00 ex art. 96, comma 4, c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 14/05/2025.