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Onere della prova apertura di credito: chi deve provare?

Una società ha agito contro un istituto di credito per la restituzione di somme indebitamente pagate. La banca ha eccepito la prescrizione. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’onere della prova dell’apertura di credito, essenziale per superare l’eccezione di prescrizione, grava sul correntista. In assenza di tale prova, le rimesse sul conto sono considerate solutorie e soggette alla prescrizione decennale. La Corte ha quindi cassato la sentenza di merito, rinviando la causa per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Onere della prova apertura di credito: chi deve provare?

Nelle controversie bancarie relative alla ripetizione di somme indebitamente addebitate, una questione cruciale è la prescrizione. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13559/2024, ha ribadito un principio fondamentale: l’onere della prova dell’apertura di credito spetta al correntista. Questa decisione ha implicazioni significative per chiunque intenda agire contro un istituto bancario, poiché l’esistenza di un fido determina la natura dei versamenti e, di conseguenza, il decorso della prescrizione.

I Fatti di Causa

Una società in liquidazione aveva citato in giudizio un istituto di credito per ottenere la restituzione di somme che riteneva indebitamente pagate su un rapporto di conto corrente. Le contestazioni riguardavano l’applicazione di tassi d’interesse superiori a quelli legali, la capitalizzazione trimestrale degli interessi e altre commissioni.
Il Tribunale di primo grado aveva dato ragione alla società, condannando la banca al pagamento di una cospicua somma. La Corte d’Appello aveva successivamente rideterminato l’importo dovuto, accogliendo parzialmente sia l’appello principale della banca sia quello incidentale della società.
La banca, non soddisfatta, ha proposto ricorso per Cassazione, sollevando due motivi principali. Il primo, relativo alla ricostruzione del saldo del conto in assenza di alcuni estratti conto, è stato dichiarato inammissibile. Il secondo, invece, si è rivelato decisivo e verteva sull’eccezione di prescrizione e sulla prova dell’esistenza di un contratto di apertura di credito.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il secondo motivo di ricorso della banca, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa a una diversa sezione della stessa Corte per un nuovo esame.
La Corte ha chiarito che, quando la banca solleva l’eccezione di prescrizione, spetta al cliente che agisce in ripetizione dimostrare l’esistenza di un contratto di apertura di credito. Se questa prova manca, tutti i versamenti effettuati dal cliente su un conto con saldo negativo (cosiddetto conto ‘scoperto’) devono essere considerati ‘solutori’, ovvero come pagamenti di un debito. Di conseguenza, il termine di prescrizione decennale per chiederne la restituzione inizia a decorrere da ogni singolo versamento.
Al contrario, se viene provata l’esistenza di un fido, i versamenti effettuati entro il limite dell’affidamento sono considerati ‘ripristinatori’ della provvista e il termine di prescrizione inizia a decorrere solo dalla data di chiusura del conto.

Le Motivazioni: L’Onere della Prova dell’Apertura di Credito e la Prescrizione

Il cuore della decisione risiede nell’applicazione dell’articolo 2697 del Codice Civile, che disciplina l’onere della prova. Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. In questo caso, il ‘fatto’ che impedisce il decorso della prescrizione sui singoli versamenti è proprio l’esistenza di un contratto di apertura di credito.
La Cassazione sottolinea che l’apertura di credito deve essere stipulata per iscritto, a pena di nullità. Pertanto, il correntista non può limitarsi ad affermare l’esistenza di un fido, ma deve produrre in giudizio il relativo documento contrattuale. La semplice presenza di commissioni di massimo scoperto o altre indicazioni indirette non è sufficiente a soddisfare questo onere probatorio.
La Corte ha ritenuto che i giudici d’appello avessero errato nel non indagare adeguatamente su questo punto, fondando la loro decisione su una ricostruzione del rapporto che non teneva conto della mancata prova scritta del contratto di fido da parte della società correntista.

Conclusioni

L’ordinanza in esame ribadisce un principio di importanza capitale per il contenzioso bancario. Per i clienti, emerge la necessità di conservare con la massima cura tutta la documentazione contrattuale, in particolare i contratti di apertura di credito. Senza questo documento, un’azione di ripetizione dell’indebito rischia di essere vanificata dall’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca, soprattutto per i rapporti di lunga durata.
Per gli avvocati, questa pronuncia è un monito a istruire la causa con la massima diligenza, assicurandosi di avere a disposizione le prove documentali necessarie prima di iniziare un’azione legale. L’onere della prova dell’apertura di credito è un pilastro che non può essere ignorato, e la sua mancata dimostrazione può compromettere irrimediabilmente l’esito della controversia.

Chi ha l’onere di provare l’esistenza di un’apertura di credito in un’azione di ripetizione contro la banca?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere della prova dell’esistenza di un contratto di apertura di credito (fido) grava sul correntista che agisce in giudizio per la restituzione di somme indebitamente pagate.

Cosa succede se il cliente non riesce a provare l’esistenza di un’apertura di credito?
Se il cliente non fornisce la prova scritta dell’apertura di credito, i versamenti effettuati su un conto con saldo negativo sono considerati ‘solutori’, cioè pagamenti di un debito. Di conseguenza, il diritto a chiederne la restituzione si prescrive in dieci anni a partire dalla data di ogni singolo versamento.

La produzione di estratti conto parziali impedisce sempre di agire contro la banca?
No. La Corte ha chiarito che, anche in caso di documentazione incompleta, è possibile agire contro la banca. Il giudice può disporre una consulenza tecnica (CTU) per ricostruire il rapporto partendo dal primo saldo disponibile, sebbene questa ricostruzione parta dal dato più sfavorevole al cliente per il periodo non documentato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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