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Onere della prova: a chi tocca dimostrare il lavoro?

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un lavoratore la cui posizione previdenziale era stata annullata dall’Ente. La Corte ha stabilito che, in questi casi, l’onere della prova per dimostrare la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato ricade interamente sul lavoratore e non sull’Ente Previdenziale. Le prove testimoniali generiche sono state ritenute inammissibili.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Onere della prova: la Cassazione chiarisce chi deve dimostrare il rapporto di lavoro

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 26034/2025, affronta un tema cruciale nel diritto del lavoro e previdenziale: l’onere della prova quando un ente previdenziale disconosce un rapporto di lavoro e annulla la relativa posizione contributiva. La decisione conferma un principio fondamentale: in tali circostanze, spetta al lavoratore dimostrare la natura subordinata del rapporto, e non all’ente provare il contrario. Analizziamo i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti di Causa: Il Disconoscimento del Rapporto di Lavoro

Il caso ha origine dalla decisione di un’azienda di ingegneria e di un suo dirigente di opporsi a un verbale di accertamento dell’Ente Previdenziale. Con tale atto, l’Ente aveva annullato la posizione previdenziale del dirigente per un determinato periodo, contestando la genuinità del rapporto di lavoro subordinato. I ricorrenti chiedevano al Tribunale di accertare l’illegittimità del verbale e di confermare la validità del rapporto di lavoro, ripristinando la posizione contributiva. Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno respinto le domande, sottolineando che il lavoratore non aveva fornito prove sufficienti a dimostrare l’esistenza di un vincolo di subordinazione. Contro la decisione d’appello, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione e l’Inversione dell’Onere della Prova

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del lavoratore, confermando le decisioni dei giudici di merito. L’analisi dei motivi di ricorso offre spunti di riflessione su diversi principi procedurali e sostanziali.

Primo Motivo: L’insussistenza del Vizio di Ultra-Petizione

Il ricorrente lamentava che i giudici di merito si fossero pronunciati su un presunto difetto di giurisdizione riguardo all’annullamento dell’atto amministrativo, una richiesta mai formulata. La Cassazione ha respinto questa doglianza, chiarendo che i giudici, pur ribadendo di non poter annullare l’atto amministrativo, avevano correttamente esaminato il cuore della questione: l’accertamento della sussistenza del rapporto di lavoro. Non vi è stata quindi alcuna pronuncia “extra” o “ultra” rispetto alle domande delle parti.

Secondo Motivo: La Regola sull’Onere della Prova

Questo è il punto centrale della decisione. La Corte ha ribadito che, quando l’Ente Previdenziale agisce in autotutela per annullare una posizione assicurativa, l’onere della prova della sussistenza del rapporto di lavoro subordinato grava sul lavoratore che ne afferma l’esistenza. L’ente, esercitando un potere di verifica e rettifica, può disconoscere un rapporto che ritiene fittizio. Di conseguenza, i contributi versati diventano inidonei a costituire una valida posizione assicurativa. Spetta quindi a chi vuole beneficiare di tale posizione dimostrare, in modo certo, la presenza dell’elemento qualificante della subordinazione.

Terzo e Quarto Motivo: Inammissibilità delle Prove e Omesso Esame

La Corte ha inoltre confermato la decisione dei giudici di merito di considerare inammissibili le prove testimoniali richieste dal lavoratore. Queste sono state giudicate troppo generiche, basate su formule descrittive e prive di riferimenti a fatti concreti (progetti, controlli, direttive) idonei a dimostrare un reale potere gerarchico e disciplinare del datore di lavoro. Infine, la Corte ha dichiarato inammissibile il motivo relativo all’omesso esame di fatti decisivi, poiché si trattava, in realtà, di un tentativo di ottenere un riesame del merito della controversia, precluso in sede di legittimità.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano sul potere di autotutela riconosciuto alle pubbliche amministrazioni, tra cui l’Ente Previdenziale. Questo potere consente all’Istituto di correggere d’ufficio i propri atti, con effetto retroattivo (“ex tunc”), se risultano adottati in contrasto con la normativa. L’iscrizione di un lavoratore nei registri previdenziali non è una garanzia assoluta se il presupposto (un genuino rapporto di lavoro subordinato) è inesistente. La sentenza si allinea a un consolidato orientamento giurisprudenziale (citando Cass. n. 809/2021) che pone a carico del lavoratore la prova del rapporto quando questo viene contestato in radice dall’Ente. In sostanza, l’onere probatorio segue l’interesse: chi ha interesse a far valere un diritto, deve provarne i fatti costitutivi.

Le Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio di fondamentale importanza pratica: un lavoratore la cui posizione contributiva viene annullata dall’Ente Previdenziale non può limitarsi a contestare l’atto, ma deve attivarsi in giudizio per fornire una prova rigorosa e dettagliata della natura subordinata del proprio rapporto di lavoro. Non basta descrivere genericamente le mansioni svolte; è necessario dimostrare con fatti concreti la sottoposizione al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro. Questa decisione serve da monito per lavoratori e aziende sulla necessità di documentare correttamente la natura dei rapporti di lavoro, per evitare che, in caso di controlli, la posizione previdenziale possa essere messa in discussione, con la conseguente inversione dell’onere della prova a sfavore del lavoratore.

In caso di annullamento della posizione previdenziale da parte dell’Ente, su chi ricade l’onere della prova del rapporto di lavoro?
Secondo la sentenza, l’onere della prova ricade sul lavoratore. È colui che intende far valere l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato a doverne dimostrare in modo certo gli elementi tipici, come la subordinazione.

Perché la Corte ha ritenuto inammissibili le istanze di prova testimoniale formulate dal lavoratore?
La Corte le ha ritenute inammissibili perché formulate in modo generico. Le richieste facevano riferimento a categorie meramente descrittive delle attività svolte, senza specificare interventi puntuali, commesse o progetti che potessero dimostrare un vincolo di subordinazione tecnica.

Il giudice di merito può annullare un verbale di accertamento amministrativo?
No. La sentenza chiarisce che il giudice di merito non può adottare statuizioni di annullamento dell’atto amministrativo, ma deve esaminare la richiesta di accertamento sulla sussistenza del rapporto previdenziale che è oggetto della controversia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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