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Onere della mediazione: chi paga se nessuno la avvia?

In un caso di opposizione a decreto ingiuntivo, nessuna delle parti avviava la mediazione obbligatoria. La Corte di Cassazione, pur dichiarando inammissibile un ricorso per revocazione per un errore di diritto, chiarisce un principio fondamentale: l’onere della mediazione grava sul creditore. La sua inerzia comporta non solo l’improcedibilità dell’opposizione, ma anche la revoca del decreto ingiuntivo, tutelando di fatto la posizione del debitore.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Onere della Mediazione: Chi Paga se Nessuno la Avvia?

Nell’ambito delle procedure di recupero crediti, la fase di opposizione a decreto ingiuntivo rappresenta un momento cruciale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su una questione fondamentale: su chi grava l’onere della mediazione obbligatoria e quali sono le conseguenze se nessuna delle parti la avvia? La risposta, come vedremo, protegge il debitore in modo significativo, anche a fronte di un errore della stessa Corte.

I Fatti della Causa: Un Decreto Ingiuntivo e una Mediazione Mai Partita

La vicenda trae origine da un decreto ingiuntivo per circa 125.000 euro emesso da un Tribunale su richiesta di un istituto di credito nei confronti di due privati. I debitori proponevano opposizione, instaurando così un giudizio ordinario. Il giudice, come previsto dalla legge per la materia in esame, assegnava alle parti un termine per avviare il procedimento di mediazione obbligatoria. Tuttavia, nessuna delle parti prendeva l’iniziativa. Di conseguenza, il Tribunale dichiarava l’opposizione improcedibile e confermava l’esecutività del decreto ingiuntivo, ritenendo che l’onere di attivare la mediazione spettasse ai debitori opponenti. Questa decisione veniva confermata anche dalla Corte d’Appello.

L’Onere della Mediazione e la Decisione della Cassazione

I debitori ricorrevano in Cassazione. Nel frattempo, un’importante sentenza delle Sezioni Unite (la n. 19596/2020) aveva chiarito definitivamente la questione, stabilendo che, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l’onere della mediazione grava sulla parte che ha l’interesse a che il giudizio prosegua, ovvero il creditore opposto. La Corte di Cassazione, nella sua prima ordinanza (n. 8015/2021), recepiva questo principio e correggeva la motivazione delle sentenze di merito. Pur riconoscendo che l’onere era del creditore, rigettava comunque il ricorso dei debitori, salvando il dispositivo di improcedibilità. Tuttavia, specificava che la conseguenza di tale improcedibilità, quando l’inerzia è del creditore, è la revoca del decreto ingiuntivo.

La Richiesta di Revocazione e la Distinzione tra Errore di Fatto ed Errore di Diritto

I debitori, ritenendo che la Corte fosse incorsa in un errore non avendo formalmente revocato il decreto, proponevano un ulteriore ricorso, questa volta per la revocazione della precedente ordinanza, lamentando un errore di fatto. Con il provvedimento in esame, la Cassazione dichiara questo secondo ricorso inammissibile. La Corte spiega che il suo precedente errore non è stato un errore di “fatto” (una svista percettiva, come leggere una data sbagliata), ma un “error in iudicando”, ovvero un errore nell’applicazione del diritto. In pratica, la Corte aveva individuato il principio corretto ma lo aveva applicato in modo errato nel dispositivo finale. Un errore di questo tipo non può essere corretto tramite il rimedio straordinario della revocazione.

Le Motivazioni: la Tutela Sostanziale del Debitore Nonostante l’Errore Processuale

Qui risiede il punto più interessante della decisione. Pur dichiarando l’inammissibilità del ricorso, la Corte si preoccupa di evitare qualsiasi pregiudizio per i debitori. Afferma con chiarezza che, sebbene la sua precedente ordinanza fosse giuridicamente errata nel dispositivo, la sua motivazione era inequivocabile. Aveva stabilito che l’inerzia del creditore nell’avviare la mediazione comporta la revoca del decreto ingiuntivo. Pertanto, la Corte stabilisce che quella motivazione ha un effetto vincolante e che il decreto ingiuntivo deve considerarsi a tutti gli effetti caducato. In sostanza, la Corte corregge l’effetto pratico del proprio errore, garantendo che il principio di diritto prevalga e che i debitori non subiscano le conseguenze negative di un decreto che avrebbe dovuto essere revocato.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza, pur nella sua complessità tecnica, ribadisce un principio fondamentale a tutela del debitore. Quando viene proposta un’opposizione a un decreto ingiuntivo e il giudice dispone la mediazione, è il creditore (la parte opposta) che deve attivarla. Se non lo fa, l’opposizione verrà dichiarata improcedibile, ma con un effetto decisivo: il decreto ingiuntivo originario verrà revocato. Il creditore perderà quindi il titolo esecutivo ottenuto in via sommaria e, se vorrà ancora far valere le sue ragioni, dovrà iniziare una nuova causa ordinaria. La decisione dimostra come l’interpretazione del diritto, anche quando corregge un precedente errore, miri a salvaguardare la sostanza delle posizioni giuridiche delle parti.

In un’opposizione a decreto ingiuntivo, su chi grava l’onere di avviare la mediazione obbligatoria?
La pronuncia chiarisce che l’onere di avviare il procedimento di mediazione grava sulla parte che ha promosso il giudizio monitorio, ovvero il creditore (parte opposta), poiché ha interesse a che si accerti il suo credito e che il decreto ingiuntivo diventi definitivo.

Cosa succede se nessuna delle parti avvia la mediazione nel termine stabilito dal giudice?
Se nessuna delle parti avvia la mediazione, il giudizio di opposizione viene dichiarato improcedibile. Tuttavia, la conseguenza finale dipende da chi aveva l’onere di attivarla: se l’onere era del creditore (come stabilito dalla giurisprudenza), l’improcedibilità dell’opposizione comporta anche la revoca del decreto ingiuntivo.

È possibile chiedere la revocazione di una sentenza della Cassazione per un errore nell’applicazione della legge?
No. La Corte spiega che il ricorso per revocazione previsto dall’art. 395, n. 4, cod. proc. civ. è ammissibile solo in caso di errore di fatto (una svista percettiva su un atto processuale) e non per un errore di diritto (error in iudicando), che consiste in una scorretta interpretazione o applicazione di una norma giuridica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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