Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14584 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 14584 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 4298-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
ISPETTORATO RAGIONE_SOCIALE MILANO-LODI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
nonché contro
Oggetto
OMISSIONE
CONTRIBUTIVA
R.G.N. 4298/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 12/03/2025
CC
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 757/2023 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 09/08/2023 R.G.N. 474/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/03/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Milano ha respinto il gravame di RAGIONE_SOCIALE e, per l’effetto, ha confermato la decisione del Tribunale della medesima sede, che aveva respinto il ricorso volto ad accertare l’eccessiva durata del procedimento ispettivo ed in ogni caso la violazione dell’art. 14 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e l’insussistenza dell’obbligazione contributiva di cui al verbale di accertamento dell’8 gennaio 2020, riguardante le irregolarità contributive nel periodo dal 01/12/2014 al 31/07/2018;
RAGIONE_SOCIALE ricorre per cassazione, sulla base di due motivi, contro la sentenza d’appello; resistono con distinti controricorsi l’INPS e l’Ispettorato del lavoro di Milano -Lodi;
a seguito di formulazione di proposta per la definizione accelerata ex art. 380bis c.p.c., parte ricorrente ha insistito per la decisione della causa, depositando altresì memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c.;
CONSIDERATO CHE
con il primo motivo d ‘ impugnazione, la ricorrente prospetta la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e imputa alla Corte d’appello di Milano di aver «fatto indebito uso del proprio potere di valutazione del materiale probatorio» (pagina 20 del ricorso per cassazione), riportandosi pedissequamente al verbale ispettivo dell’INPS e attribuendo maggiore forza probante alle dichiarazioni rese dai lavoratori in sede ispettiva, senza valutare le prove articolate in ordine alle trasferte, ai rimborsi spese e ai permessi retribuiti;
la doglianza è inammissibile;
a fondamento della decisione, la Corte di merito ha osservato che: «la odierna appellante non ha prodotto documentazione idonea a comprovare l’effettività delle trasferte e delle spese asseritamente rimborsate ai lavoratori, né ha offerto deduzioni istruttorie che, ove confermate, potessero legittimare l’esonero contributivo nei casi ritenuti ingiustificati dai funzionari per le ipotesi delineate (riduzione di un terzo dell’importo per trasferta a fronte del contemporaneo rimborso spese; discrasia tra il numero di trasferte riportate e i giorni di presenza al lavoro; trasferte per servizi resi a Legnano, effettiva sede di lavoro. La documentazione prodotta da un esame a campione indica per ogni lavoratore ed ogni mese i giorni ed il luogo in cui è stata fatta la trasferta e il modulo risulta autorizzato dal responsabile, mentre nulla è stato offerto in visione per le c.d. pezze giustificative degli esborsi sostenuti dal personale (benzina e altro)» (pagina 9);
dietro lo schermo della violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., la ricorrente si prefigge, in sostanza, di censurare la valutazione delle risultanze istruttorie e di sovvertire l’accertamento racchiuso in una ‘doppia conforme’;
peraltro, la giurisprudenza di questa Corte è granitica nell’affermare che non si può censurare per violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. quello che si reputa un erroneo apprezzamento delle prove, apprezzamento che costituisce prerogativa del giudice di merito (Cass., Sez.Un., 30 settembre 2020, n. 20867) e che in questa sede può essere ridiscusso solo per il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., quando possa essere ritualmente dedotto dinanzi a questa Corte;
inammissibile, per plurimi profili, si palesa anche la seconda censura, che denuncia la violazione dell’art. 14 della legge n. 689 del 1981 per l’eccessiva durata del procedimento ispettivo;
la vicenda all’esame esula dall’opposizione a ordinanza ingiunzione, come ha chiarito in modo puntuale la sentenza impugnata, e solo nel campo sanzionatorio può essere utilmente invocata la previsione della legge n. 689 del 1981;
ad ogni modo, nel presente giudizio si controverte sull’obbligo contributivo e le irregolarità del procedimento amministrativo non valgono di per sé a caducare la pretesa dedotta in causa: il giudice è chiamato ad accertarla nel merito, senza potersi arrestare a rilievi d’indole meramente formale;
quand’anche tale irregolarità potesse essere utilmente dedotta in questa sede, si dovrebbe comunque
considerare che i giudici del gravame hanno escluso, in fatto, lungaggini procedurali e che il motivo di ricorso tende a contrapporre a tale accertamento un diverso inquadramento delle risultanze istruttorie, travalicando i limiti del giudizio di legittimità, ancor più rigorosi al cospetto di una ‘doppia conforme’;
nemmeno nella memoria depositata ex art. 378 cod.proc.civ. parte ricorrente ha prospettato argomenti che inducono a rimeditare i già prospettati rilievi d’inammissibilità delle doglianze articolate;
il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile ex art. 360bis , n. 1, cod.proc.civ.;
definendosi il presente giudizio in conformità alla proposta formulata ex art. 380bis c.p.c., si ravvisano altresì i presupposti per la condanna di parte ricorrente ai sensi del quarto comma dell’art. 96 c.p.c., nei termini di cui al dispositivo, costituendo manifestamente un abuso del processo il fatto di chiedere la decisione della causa senza addurre nuovi argomenti idonei a rimeditare l’orientamento giurisprudenziale sulla scorta del quale è stata formulata la proposta medesima (arg. ex Cass. Sez.Un. nn. 28540 e 36069 del 2023) e dovendo tale condanna essere pronunciata anche qualora nessuno dei soggetti intimati abbia svolto attività difensiva, avendo essa una funzione deterrente e, allo stesso tempo, sanzionatoria rispetto al compimento di atti processuali meramente defatigatori (Cass. S.U. n. 27195 del 2023 e succ. conf.);
parte ricorrente va dunque condannata a pagare, come in dispositivo, le spese, oltre una somma equitativamente determinata in euro 1000,00 in favore delle parti
resistenti e di una ulteriore somma di euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite del presente giudizio di cassazione, liquidate in euro 2.000,00 per compensi, in favore di ciascuna parte controricorrente, oltre spese prenotate a debito per l’Avvocatura erariale e, per l’INPS, euro 200,00 per esborsi, oltre 15 per cento per rimborso spese generali e accessori di legge; condanna parte ricorrente a pagare ai resistenti l’ulteriore somma di euro 1000,00 ciascuno; condanna parte ricorrente a pagare euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende; ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, attesa la declaratoria di inammissibilità del ricorso, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 12 marzo