Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24013 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24013 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24276/2020 r.g., proposto
da
COGNOME elett. dom.to presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
ricorrente
contro
Banca Monte dei Paschi di Siena spa , in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO Roma, rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 6918/2019 pubblicata in data 14/01/2020, n.r.g. 6620/2013.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 10/07/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.- NOME COGNOME era stato dipendente di Banca Monte dei Paschi di Siena spa e dal 2003 aveva assunto il ruolo di responsabile del reparto ‘servizi vari e logistica’.
OGGETTO:
dichiarazione – natura confessoria – accertamento di fatto – produzione di copie documentali – disconoscimento – tempestività – necessità – violazione – conseguenze
Il suo sottoposto COGNOME COGNOME aveva compiuto molteplici operazioni irregolari (emissione di assegni circolari) tradottesi in appropriazione indebita di rilevanti somme.
La Banca adìva il Tribunale di Napoli per sentire dichiarare la responsabilità contrattuale del Calvo per omesso controllo sul suo sottoposto e per ottenere la sua condanna al risarcimento dei danni.
2.- Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale in parziale accoglimento della domanda, dichiarava la responsabilità contrattuale del COGNOME e lo condannava al risarcimento del danno, liquidato nella misura di euro 487.806,75.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dal COGNOME
Per quanto rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
è pacifico (e comunque risulta dalla relazione ispettiva) che il COGNOME, nell’arco di un decennio, ha sottratto alla banca l’importo di oltre ventitré milioni di euro, simulando pagamento non dovuti, soprattutto di imposte, utenze e forniture della banca ed appropriandosi delle relative somme;
la concorrente responsabilità del COGNOME è stata circoscritta alla somma di euro 2.439,033,7 oggetto di assegni circolari emessi sulla base di distinte da lui sottoscritte;
il Tribunale ha ritenuto colposa la condotta omissiva di controllo e dimostrata dalla natura confessoria delle dichiarazioni rese dal COGNOME agli ispettori;
il Tribunale ha poi ritenuto che tale condotta avesse concorso nella produzione del danno nella misura del 20% e perciò ha limitato la condanna all’importo di euro 487.806,75;
tale convincimento viene condiviso da questo Collegio;
come ritenuto dal Tribunale, è ardiva la contestazione della conformità agli originali delle copie della documentazione prodotta dalla banca, considerato che tale contestazione è stata compiuta in modo specifico solo nel giudizio di merito e non pure nel previo procedimento cautelare per sequestro conservativo, di cui il presente costituisce la fase di merito;
nella fase cautelare la contestazione era stata del tutto generica, in contrasto con il consolidato orientamento della Suprema Corte (Cass. n. 27633/2018);
la funzione di controllo che il COGNOME doveva esercitare sulla regolare emissione degli assegni circolari discendeva dalla sua qualità di preposto al reparto ‘servizi vari e logistica’, che si occupava del pagamento di imposte, utenze e forniture delle filiali della banca, nonché dal suolo ruolo di diretto superiore del COGNOME;
l’esistenza di altri uffici della banca che esercitavano altresì una funzione di non controllo non esimeva il COGNOME dall’operare il controllo di sua competenza in sede di autorizzazione all’emissione di assegni circolari, omissione che ha avuto efficienza causale rispetto all’ingente danno di oltre due milioni di euro nell’arco di due anni dal 2007 al 2009;
ciò che rileva è questo omesso controllo sulla base di una mal riposta fiducia nell’operato del COGNOME;
in sede ispettiva il COGNOME ha ammesso di non aver controllato né la documentazione a sostegno dell’emissione degli assegni circolari, né in nominativi dei soggetti a cui favore dovevano essere emessi gli assegni;
in tale situazione non rileva se dopo l’apposizione della sigla da parte del Calvo, siano stati aggiunti al nominativo di Poste Italiane spa anche quelli di altri prenditori, in quanto l’appellante aveva comunque sottoscritto le distinte prima del loro materiale completamento e senza controllare la documentazione a sostegno;
proprio l’attività cui era addetto il COGNOME (pagamento giornaliero di fatture, notule etc. per conto di tutta l’area territoriale, con potenziale disponibilità di grandi risorse finanziarie della banca), avrebbe richiesto un controllo particolarmente accurato da parte del suo diretto superiore;
inoltre in data 24/0/2007 il COGNOME aveva ricevuto una mail dallo staff del Controllo di gestione della banca, che segnalava un marcato aumento delle spese per tasse comunali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e il Calvo rispose facendo riferimento alla natura
di alcuni tributi comunali, ma non si insospettì e quindi non intensificò i controlli sui sottoposti, fra cui il COGNOME;
dalla circolare n. 309 della banca si evince che il soggetto incaricato del controllo della distinta per l’emissione di assegni circolari non sia il cassiere, bensì il responsabile della struttura, nella specie il COGNOME;
sul piano del concorso di cause, trova applicazione l’art. 41 c.p. (Cass. Ord. N. 18753/2017), sicché quando un medesimo danno è provocato da più soggetti per inadempimenti contrattuali diversi, tali soggetti devono essere ritenuti corresponsabili;
nel caso in esame è vero che il COGNOME ha dolosamente ideato il piano criminoso per appropriarsi delle somme della banca, ma è altresì vero che la condotta omissiva del COGNOME ha concorso in maniera efficiente al verificarsi del danno, tanto è vero che se l’appellante avesse operato il suo controllo rigoroso, la condotta truffaldina del suo sottoposto sarebbe stata impedita o comunque ne sarebbero state ridotte le conseguenze;
la diversa rilevanza causale è stata correttamente valutata dal Tribunale, che proprio per questo ha attribuito al COGNOME solo il 20% della causalità.
4.- Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.
5.- La Banca Monte dei Paschi di Siena spa ha resistito con controricorso.
6.- Il ricorrente ha depositato memoria.
7.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3). c.p.c., il ricorrente lamenta violazione degli artt. 115 e 16 c.p.c. per avere la Corte territoriale ritenuto di natura confessoria le dichiarazioni da lui rese agli ispettori.
Il motivo è inammissibile.
L’interpretazione di una dichiarazione come avente natura confessoria rientra nell’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità ove -come nella specie -adeguatamente motivato. In particolare, questa Corte ha già affermato che in tema di prova civile,
l’indagine volta a stabilire se una dichiarazione della parte costituisca o meno confessione – e, cioè, ammissione di fatti sfavorevoli al dichiarante e favorevoli all’altra parte – si risolve in un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità se fondato su di una motivazione immune da vizi logici (Cass. ord. n. 3698/2020; Cass. n. 5330/2003; ma già Cass. n. 3524/1985). In definitiva, nel giudizio di cassazione non è consentito sindacare l’accertamento della natura confessoria delle dichiarazioni delle parti compiuto dal giudice di merito, non essendo soggetto a vaglio di legittimità il prodotto della sua attività interpretativa, se non nei limiti in cui è contestabile il vizio di motivazione (Cass. ord. n. 2048/2019).
Peraltro, il ricorrente neppure si è doluto della violazione di criteri di ermeneutica contrattuale (art. 1362 ss. c.c.), astrattamente applicabili anche alla confessione (Cass. n. 1960/1995).
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3) c.p.c., il ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 116 e 414 c.p.c., 74 disp.att.c.p.c. e 2697 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto tardivo il disconoscimento della conformità agli originali delle copie dei documenti (n. 600 distinte contabili) prodotti dalla banca nel procedimento cautelare e poi nel giudizio di merito, erroneamente considerando generica la contestazione sollevata nel procedimento cautelare e comunque non considerando che soltanto nel giudizio di merito trova pieno e compiuto spiegamento il diritto di difesa. Lamenta altresì l’omessa considerazione della mancata indicizzazione di quei documenti e della mancata indicazione del loro c ontenuto, tanto che il Giudice del lavoro con l’ordinanza istruttoria del 14/04/2012 aveva ribadito ‘ l’inammissibilità e l’inutilizzabilità dei documenti non analiticamente indicizzati ‘, che dunque la banca aveva depositato in violazione dell’art. 74 disp .att.c.p.c.
Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, non avendo il ricorrente trascritto quella parte del suo atto difensivo con cui, nel procedimento cautelare, aveva contestato la conformità agli originali dei documenti prodotti in copia dalla banca, sicché questa Corte non è posta nella condizione di sindacarne la sufficiente specificità. Va infatti ribadito il principio di diritto, secondo cui ai fini della tempestività del disconoscimento si applica il regime dettato dagli artt. 214 e 215 c.p.c., sicché vi è l’onere del la parte
interessata di effettuare il disconoscimento nella prima difesa utile rispetto alla produzione della copia. Questa Corte ha già affermato che l’art. 2719 c.c. -che esige l’espresso disconoscimento della conformità con l’originale delle copie fotografiche o fotostatiche -è applicabile tanto alla ipotesi di disconoscimento della conformità della copia al suo originale, quanto a quella di disconoscimento della autenticità di scrittura o di sottoscrizione, e, nel silenzio normativo sui modi e termini in cui deve procedersi, entrambe le ipotesi sono disciplinate dagli artt. 214 e 215 c.c., con la conseguenza che la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella sua conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, se non venga disconosciuta in modo formale e inequivoco alla prima udienza, o nella prima risposta successiva alla sua produzione (Cass. ord. n. 3540/2019; Cass. n. 18074/2019 nell’ambito del processo esecutivo).
Ne consegue che il mancato specifico disconoscimento delle copie prodotte dalla banca in sede cautelare impone di considerare quelle copie come riconosciute e come tali utilizzabili nel successivo giudizio di merito.
Quindi rileva il difetto di autosufficienza: posto che il disconoscimento specifico sollevato nel giudizio di merito è stato considerato tardivo in modo conforme al principio di diritto sopra ribadito, era preciso onere del ricorrente riportare esattamente quella parte del suo atto difensivo nel procedimento cautelare, nel quale aveva sollevato -a suo dire -lo stesso disconoscimento, in modo da consentire a questa Corte il sindacato di legittimità, sia pure con tutti i suoi limiti istituzionali. Tale onere non è stato adempiuto.
3.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3) c.p.c., il ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 2104, 1176 e 1218 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto inadempiente il COGNOME al suo obbligo di controllo e ravvisato una sua condotta colposa.
Il motivo è inammissibile per assoluta genericità, in quanto non viene sviluppata alcuna censura all’ampia motivazione che sul punto si rinviene nella sentenza impugnata.
4.Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3) c.p.c., il ricorrente lamenta violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per essere la Corte territoriale incorsa in un travisamento delle prove.
Il motivo è inammissibile, perché, piuttosto che denunziare un vero travisamento della prova (in termini di ‘errore di percezione’: v. Cass. sez. un. n. 5792/2024), sollecita a questa Corte un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie, interdetto in sede di legittimità, in quanto riservato al giudice di merito , del quale viene in sostanza denunziato un mero ‘errore di valutazione’ di quelle risultanze . Secondo un consolidato e pluridecennale orientamento di questa Corte, ‘ non è consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito ‘ (Cass. ord. n. 4513/2023, che richiama Cass. n. 7394/2010; Cass. n. 13954/2007; Cass. n. 12052/2007; Cass. n. 7972/2007; Cass. n. 5274/2007; Cass. n. 2577/2007; Cass. n. 27197/2006; Cass. n. 14267/2006; Cass. n. 12446/2006; Cass. n. 9368/2006; Cass. n. 9233/2006; Cass. n. 3881/2006; e ricorda che sin da Cass. n. 1674/1963 venne affermato il principio secondo cui ‘la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione ‘).
5.Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 5) e 3) c.p.c., il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti e la conseguente ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 1218, 1227 e 1375 c.c., 62 c.p. per avere la Corte territoriale escluso il concorso causale della banca nella produzione del danno.
Il motivo è inammissibile sia perché precluso dalla c.d. doppia conforme (art. 348 ter, pen. co., c.p.c.), sia perché comunque l’ipotetico concorso causale della banca non escluderebbe -proprio in virtù dell’art. 41 c.p. la rilevanza causale della condotta omissiva colposa del Calvo, che i giudici di merito hanno motivatamente accertato nella modesta misura del 20%. Quindi non si tratterebbe di fatto decisivo, per ché l’esito decisorio resterebbe comunque inalterato.
6.Con il sesto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 4) e 3) c.p.c., il ricorrente denuncia nullità della sentenza per omessa o apparente motivazione in violazione dell’art. 132, co. 2, n. 4), c.p.c. circa la ravvisata sua responsabilità per un apporto causale accertato come pari al 20%.
Il motivo è inammissibile per novità della questione.
Questa quantificazione era stata già accertata e disposta dal Tribunale, sicché sarebbe stato onere del COGNOME specificare con quale motivo di appello avesse sollevato la predetta questione in sede di gravame avverso la sentenza di primo grado. Tale onere non è stato adempiuto.
7.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in data