Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6668 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 6668 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3466/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elett.te domiciliato in COGNOMEINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE, che lo rappresenta e difende per procura in calce al ricorso,
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) per procura in calce al controricorso,
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di PALERMO n.1501/2020 depositata il 10.10.2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5.3.2024 dal
Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso del 13.9.2012 COGNOME NOME, iscritto all’RAGIONE_SOCIALE dei periti industriali e titolare di uno studio di consulenza, chiedeva al Tribunale di COGNOME l’emissione di decreto ingiuntivo per €20.118,00 oltre IVA a carico di COGNOME NOME sostenendo di avere svolto per diversi anni attività di consulenza aziendale, tenuta dei registri RAGIONE_SOCIALE ed elaborazione dati a fini aziendali fiscali (registrazione dei documenti RAGIONE_SOCIALE consegnati, elaborazione dati, predisposizione di riepiloghi, dichiarazioni fiscali e quanto previsto dalle norme vigenti) a favore della ditta RAGIONE_SOCIALE, con sede in INDIRIZZO. Asseriva il COGNOME che dal 31.12.1976 aveva svolto l’attività per incarico verbale e che poi il 2.1.2006 il COGNOME gli aveva conferito un incarico scritto, che prevedeva un compenso mensile di €200,00, oltre al rimborso RAGIONE_SOCIALE spese sostenute, confermando alle medesime condizioni il precedente incarico verbale; che a fronte di un credito complessivo maturato di €33.418,00 oltre IVA, aveva ricevuto acconti per € 13.300,00, che aveva imputato quanto ad € 8.128,00 a rimborso spese e quanto ad €5.172,00 ad acconto sui compensi maturati di € 24.000,00 oltre IVA, acconto da imputare alle prestazioni più risalenti ex art. 1193 comma 2° cod. civ..
Con decreto ingiuntivo n. 384/2012 il Tribunale di COGNOME accoglieva il ricorso, ed il COGNOME proponeva opposizione,
sostenendo che il contratto era nullo per la natura professionale RAGIONE_SOCIALE prestazioni, che potevano essere svolte solo da professionisti abilitati ed iscritti agli RAGIONE_SOCIALE, che aveva sempre pagato i corrispettivi in contanti, che i crediti maturati dal COGNOME prima del conferimento di incarico del 2.1.2006 erano estinti per prescrizione presuntiva ex art. 2956 cod. civ., eccepita in via subordinata, che la somma che il COGNOME aveva confessato di avere ricevuto di €13.300,00, andava imputata a spese solo per € 3.700,00, in quanto a tanto ammontavano le spese che il COGNOME diceva di avere sostenuto, avendo l’opponente versato per compensi pattuiti € 200,00 mensili dal gennaio 2006 al dicembre 2009 per complessivi € 9.600,00, sicché per tale periodo il professionista aveva ricevuto tutte le sue spettanze, e che in ragione della nullità del contratto, la controparte andava condannata in via riconvenzionale a restituirgli la somma di € 13.300,00, indebitamente percepita, in aggiunta alla revoca del decreto ingiuntivo opposto ed al rigetto RAGIONE_SOCIALE avverse pretese.
3) Nella resistenza del COGNOME, il Tribunale di COGNOME, con la sentenza n. 980 del 14.10.2015, sul presupposto che tutti gli adempimenti di RAGIONE_SOCIALE, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori potevano essere assunti solo dagli iscritti all’RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE in base alla L. 11.1.1979 n. 12, e che le attività di tenuta e redazione dei libri RAGIONE_SOCIALE fiscali e di RAGIONE_SOCIALE e di elaborazione RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni fiscali erano riservate in base ai decreti presidenziali n. 1067 e 1068 del 1953 ai RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e ragionieri iscritti in appositi RAGIONE_SOCIALE, e quindi in base al D. Lgs. n. 139/2005 agli iscritti alla sezione B dell’RAGIONE_SOCIALE, e che quindi il contratto tra le parti era affetto da nullità assoluta perché il COGNOME non era iscritto a tali RAGIONE_SOCIALE, accoglieva l’opposizione, revocando il decreto ingiuntivo opposto, e da un lato affermava che il COGNOME non
aveva alcun diritto al pagamento della retribuzione, e dall’altro in parziale accoglimento della riconvenzionale, respinta quanto alle spese rimborsate, lo condannava a restituire al COGNOME quanto percepito solo a titolo di compensi (€ 5.172,00) oltre interessi come per legge, condannandolo al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di lite.
Appellata la sentenza di primo grado dal COGNOME, che in particolare sosteneva che aveva svolto con la sua impresa di servizi attività di consulenza aziendale (predisposizione dei modelli 770 e dichiarazioni fiscali inerenti ai sostituti d’imposta), e non prestazioni riservate ai RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE, o ai RAGIONE_SOCIALE, che la prescrizione presuntiva non era applicabile ai servizi prestati attraverso studi di consulenza, che l’importo di € 13.300,00 gli era stato corrisposto per l’intero periodo dal 2000 al 2009, e che gravava sul COGNOME l’onere della prova dei pagamenti e della loro imputazione, chiedendo quindi la conferma del decreto ingiuntivo opposto ed il rigetto della riconvenzionale avversaria, con condanna del COGNOME a restituirgli quanto ricevuto in esecuzione della sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Palermo, nella resistenza del COGNOME, che ribadiva l’eccezione di prescrizione presuntiva per il periodo anteriore al conferimento dell’incarico formale, con la sentenza n. 501/2020 dell’11.9/10.10.2020, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva totalmente l’appello, rigettando l’opposizione a decreto ingiuntivo del COGNOME e condannandolo alle spese del doppio grado.
5) La Corte d’Appello riteneva che anche se nell’incarico formale accanto alla ‘ consulenza aziendale, fiscale, tributaria, tenuta registri RAGIONE_SOCIALE della ditta del conferente’ era prevista anche la ‘ tenuta libri paga e matricola e adempimenti relativi al personale dipendente’, ciò non dimostrava che il COGNOME avesse svolto effettivamente attività di consulente del RAGIONE_SOCIALE, in quanto le prestazioni realmente svolte dal COGNOME per la ditta del RAGIONE_SOCIALE (consulenza aziendale, tenuta registri RAGIONE_SOCIALE ed elaborazione dati
ai fini aziendali e fiscali con registrazione dei documenti RAGIONE_SOCIALE, predisposizione dei riepiloghi e dichiarazioni fiscali) emergenti dalle testimonianze acquisite (testi COGNOME e COGNOME) e non contestate sotto il profilo contenutistico dal COGNOME stesso, non potevano considerarsi attività riservate ai RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE, o ai RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, rientrando nelle previsioni RAGIONE_SOCIALE lettere a), b) ed in parte c) della sezione B dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE istituito col D.Lgs. n. 139/2005, richiamando il recente orientamento della Suprema Corte che considerava la tenuta RAGIONE_SOCIALE scritture RAGIONE_SOCIALE dell’impresa, la redazione dei modelli IVA, o della dichiarazione dei redditi e similari, come attività non riservate per le quali valeva il principio della libertà di RAGIONE_SOCIALE autonomo e di libertà d’impresa di servizi, con conseguente diritto di chi aveva svolto l’attività alla retribuzione (Cass. 28.3.2019 n. 8683; Cass. 28.5.2018 n. 13342, in linea con Cass. sez. un. 23.3.2012 n.11545 in tema di esercizio abusivo della professione). A supporto della sua motivazione la Corte d’Appello evidenziava che il COGNOME aveva dimostrato di essere iscritto alla RAGIONE_SOCIALE quale imprenditore autorizzato all’espletamento di varie attività di consulenza e servizi, e di essere stato ripetutamente autorizzato dall’RAGIONE_SOCIALE ad accedere ai servizi telematici per l’adempimento RAGIONE_SOCIALE varie attività di rito con qualifica di intermediario nei rapporti tra il contribuente e l’agenzia stessa, sottolineando che il COGNOME aveva eccepito la nullità del contratto in assenza di inadempimenti solo a seguito dell’interruzione del rapporto professionale, che si protraeva dal lontano 1976. La Corte infine riteneva assorbiti i restanti motivi di doglianza sul merito della decisione.
Avverso tale sentenza, notificatagli il 30.11.2020, ha proposto ricorso alla Suprema Corte, notificato al COGNOME il 15.1.2021, COGNOME NOME, affidandosi a due motivi, e resiste il COGNOME con controricorso notificato il 22.2.2021.
Il solo COGNOME ha depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
7) Col primo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n.3) c.p.c. la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte d’Appello di Palermo omesso di pronunciarsi sull’eccezione di prescrizione presuntiva triennale dei compensi maturati prima del conferimento formale dell’incarico al COGNOME del 2.1.2006, che egli aveva riproposto in via subordinata alla richiesta principale di rigetto dell’impugnazione nel giudizio di appello.
La doglianza, basata sulla violazione dell’art. 112 c.p.c., nonostante il richiamo erroneo all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., è in realtà attinente ad un error in procedendo e non in iudicando, e deve ritenersi fondata.
Non è vero che la sentenza impugnata abbia totalmente omesso di pronunciarsi sull’eccezione di prescrizione presuntiva riproposta in via subordinata dal COGNOME nel costituirsi nel giudizio di appello, in quanto dopo avere escluso con ampia motivazione che le prestazioni concretamente eseguite dal COGNOME rientrassero tra quelle riservate ai soli soggetti iscritti ad appositi RAGIONE_SOCIALE, o provvisti di specifica abilitazione professionale, alla prima riga di pagina 11 ha indicato che ‘ Rimangono assorbiti i restanti motivi di doglianza sul merito della decisione ‘, ed è poi pervenuta all’integrale rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo del Tribunale di COGNOME.
Questa Corte ha affermato (Cass. ord. 12.11.2018 n. 28995; Cass. 13.9.2019 n. 22950; Cass. 28663/2013; Cass. 7663/2012) che ” la figura dell’assorbimento in senso proprio ricorre quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, la quale con la pronuncia sulla domanda assorbente ha conseguito la tutela
richiesta nel modo più pieno, mentre è in senso improprio quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande “, con la conseguente conclusione che ” l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso formale), in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento, per cui, ove si escluda, rispetto ad una certa questione proposta, la correttezza della valutazione di assorbimento, avendo questa costituito l’unica motivazione della decisione assunta, ne risulta il vizio di motivazione del tutto omessa “.
E’ di tutta evidenza che, nella specie, non si è trattato di un assorbimento in senso proprio, in quanto dalla decisione espressa adottata sul fatto che le prestazioni eseguite dal COGNOME a favore del COGNOME non erano riservate agli iscritti ad appositi RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE, o dei RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, con conseguente validità del contratto di consulenza da essi concluso e maturazione del diritto del professionista al compenso, non derivava certo il venir meno dell’interesse del COGNOME ad una pronuncia sulla sollevata eccezione di prescrizione presuntiva triennale dei compensi maturati a favore del COGNOME prima del conferimento formale dell’incarico del 2.1.2006 per quelle prestazioni, che era stato invece superfluo esaminare per il giudice di primo grado perché aveva ritenuto viziato da nullità il suddetto contratto sul quale la pretesa creditoria del COGNOME era fondata; ma neppure si è trattato di un assorbimento improprio, in quanto la motivata decisione adottata non escludeva la necessità, o la possibilità di decidere l’eccezione di prescrizione presuntiva del COGNOME, per cui l’assorbimento si è tradotto, in sostanza, in una
decisione implicita di rigetto dell’eccezione di prescrizione presuntiva del tutto priva di motivazione ed illogica.
Occorre quindi tenere presente che per giurisprudenza consolidata della Suprema Corte vi è solo un caso in cui la pronuncia esplicita o implicita di assorbimento si risolve in un’omessa pronuncia, ed è appunto quello, verificatosi nel caso di specie, in cui è stato operato un illogico assorbimento di un motivo di appello attinente ad una domanda, o ad un’eccezione, che invece è decisivo per la soluzione della vertenza, senza fornirne alcuna motivazione, risultando in questo caso censurabile la violazione dell’art. 112 c.p.c. (vedi in tal senso Cass. 21.9.2022 n. 27598; Cass. 4.12.2020 n. 27814; Cass. 21.10.2020 n. 22899; Cass. 19.6.2020 n. 12006; Cass. 30.4.2019 n. 11459), per cui il giudice di rinvio dovrà pronunciarsi sull’eccezione di prescrizione presuntiva riproposta dal COGNOME, che la sentenza impugnata ha in modo del tutto illogico dichiarato assorbita.
8) Col secondo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, individuato nella circostanza che la Corte d’Appello non abbia considerato la questione dell’imputazione del pagamento fatto dal COGNOME al COGNOME di €13.300,00, che era stata diversamente effettuata dalle parti, in quanto il COGNOME aveva imputato tale somma per € 8.128,00 al rimborso RAGIONE_SOCIALE spese e per € 5.172,00 al pagamento di un acconto sui compensi riferendolo, in base all’art. 1193 comma 2° cod. civ., ai crediti più risalenti nel tempo, mentre il COGNOME aveva imputato tale somma per € 9.600,00 al pagamento dei compensi per il periodo di vigenza dell’incarico formale da gennaio 2006 al 31.12.2009, e per soli € 3.700,00 al rimborso RAGIONE_SOCIALE spese e dalla diversa imputazione sarebbe derivata una decisione diversa sulla fondatezza, o meno del credito azionato dal COGNOME in fase monitoria.
Il secondo motivo è inammissibile, in quanto l’imputazione della somma versata dal COGNOME al COGNOME di complessivi €13.300,00 non è un fatto storico decisivo, ma un’operazione giuridica che va compiuta da parte del debitore ex art. 1193 comma 1° cod. civ. al momento del pagamento mediante specifica dichiarazione del credito al quale il versamento si riferisce, e che in difetto va compiuta dal giudice secondo le regole dettate dall’art. 1193 comma 2° cod. civ., per cui manca uno RAGIONE_SOCIALE elementi indispensabili per lamentare il vizio dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., mentre non risulta lamentata alcuna violazione di legge ex art. 360 comma primo n. 3) c.p.c. rispetto ai criteri normativi che regolano l’imputazione. L’omesso esame denunziabile in sede di legittimità, infatti, deve riguardare un fatto storico considerato nella sua oggettiva esistenza, “… dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo ” (Cass. 8.9.2016 n.17761; Cass. ord. 5.2.2011 n. 2805). Non sono quindi “fatti” nel senso indicato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative.
In relazione al primo motivo accolto, la sentenza impugnata va quindi cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Palermo in diversa composizione, che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione accoglie il primo motivo di ricorso, respinge il secondo, cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Palermo in diversa composizione, che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 5.3.2025