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Omessa pronuncia: quando è possibile un nuovo giudizio

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha stabilito che l’omessa pronuncia del giudice su una specifica domanda non impedisce alla parte di riproporla in un separato e successivo giudizio. Il caso riguardava una richiesta di rimborso per le spese di riparazione di un muro, avanzata dall’acquirente di un immobile nei confronti dei venditori. Questi ultimi sostenevano che una precedente sentenza, che li aveva già condannati a un risarcimento per il mancato godimento del bene, avesse creato un giudicato preclusivo. La Suprema Corte ha rigettato tale tesi, chiarendo che la precedente decisione non aveva mai statuito sulle spese di riparazione, configurando un’ipotesi di omessa pronuncia che legittimava la nuova azione legale.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Omessa pronuncia: quando è possibile un nuovo giudizio

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione illumina un principio processuale di grande importanza: cosa accade quando un giudice ‘dimentica’ di decidere su una parte della domanda? La risposta è chiara: la cosiddetta omessa pronuncia non crea un giudicato e la parte interessata ha la facoltà di riproporre la domanda in un nuovo e separato giudizio. Analizziamo questa decisione per comprendere le sue implicazioni pratiche.

I fatti di causa

La vicenda trae origine da un contratto preliminare di compravendita immobiliare stipulato nel lontano 1989. L’accordo prevedeva che i promittenti venditori si sarebbero fatti carico degli oneri per la riparazione di un muro condominiale, situato sul terrazzo pertinenziale dell’abitazione.

Successivamente, la promissaria acquirente intentava una prima causa, a seguito della quale otteneva una condanna dei venditori al risarcimento del danno per il mancato pieno godimento dell’immobile, liquidato in circa 22.600 Euro. Tuttavia, questa sentenza non si pronunciava specificamente sul rimborso dei costi che l’acquirente avrebbe dovuto sostenere per la riparazione del muro.

Anni dopo, l’acquirente, dopo aver pagato di tasca propria oltre 15.000 Euro al condominio per il rifacimento del muro, avviava un secondo giudizio per ottenere il rimborso di tale somma dai venditori, come previsto dal contratto preliminare. I tribunali di primo e secondo grado le davano ragione, ma i venditori decidevano di ricorrere in Cassazione.

I motivi del ricorso e la questione dell’omessa pronuncia

Il motivo principale del ricorso dei venditori si fondava sulla violazione del principio del ne bis in idem e del giudicato (art. 2909 c.c.). Essi sostenevano che la nuova richiesta di rimborso fosse identica, per oggetto e causa, a quella già decisa nel primo giudizio. A loro avviso, la prima sentenza aveva già liquidato tutti i danni e, se non aveva specificamente considerato i costi di riparazione, si trattava di un’omessa pronuncia che la controparte avrebbe dovuto contestare impugnando quella decisione, non iniziando una nuova causa.

Le motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, fornendo chiarimenti fondamentali sulla distinzione tra giudicato e omessa pronuncia.

Distinzione tra le domande e inesistenza del giudicato

I giudici hanno innanzitutto chiarito che le due cause avevano oggetti diversi. La prima sentenza aveva liquidato il danno ‘non patrimoniale’ per il mancato pieno godimento dell’immobile, un pregiudizio distinto e autonomo rispetto al costo materiale sostenuto per la riparazione. La causa petendi (la ragione della richiesta) della seconda azione era il rimborso di una spesa specifica, sorta in un momento successivo, e non il generico danno da inadempimento contrattuale già risarcito.

L’alternativa tra appello e nuovo giudizio in caso di omessa pronuncia

Il punto cruciale della decisione risiede nell’affermazione di un consolidato principio giurisprudenziale: in caso di omessa pronuncia su una domanda, la parte non è obbligata a impugnare la sentenza viziata. Ha, invece, una facoltà alternativa: può far valere l’omissione in sede di gravame oppure può riproporre la domanda non decisa in un separato e nuovo giudizio. Questo perché la presunzione di rinuncia alla domanda non esaminata ha un valore puramente processuale, limitato a quel giudizio, e non sostanziale. Pertanto, il giudicato formatosi su altre questioni non si estende alla domanda su cui il giudice non si è pronunciato.

L’inammissibilità degli altri motivi

La Corte ha inoltre dichiarato inammissibili gli altri motivi di ricorso, relativi alla prescrizione del diritto e alla violazione del principio di buona fede (exceptio doli). In entrambi i casi, i ricorrenti non avevano formulato le loro censure in modo specifico e conforme alle regole del processo di cassazione, non riuscendo a contestare efficacemente le ragioni delle decisioni dei giudici di merito.

Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio di fondamentale importanza per la tutela dei diritti: un errore del giudice, come l’omessa pronuncia, non può tradursi in una perdita definitiva del diritto per il cittadino. La decisione conferma che la parte che si vede ‘ignorare’ una domanda ha due strade a disposizione: l’impugnazione o un nuovo giudizio. Questa flessibilità garantisce che le pretese fondate possano trovare accoglimento, anche quando un precedente percorso giudiziario si sia concluso con una decisione parziale o incompleta. La scelta tra le due opzioni dipenderà da valutazioni strategiche e processuali, ma la porta per ottenere giustizia sulla domanda pretermessa rimane aperta.

Cosa succede se un giudice non decide su una delle domande presentate in una causa?
Secondo la Corte di Cassazione, si verifica un’ipotesi di ‘omessa pronuncia’. In questo caso, la parte ha due possibilità: o impugnare la sentenza per far valere l’omissione, oppure riproporre la stessa domanda in un nuovo e separato giudizio, poiché su di essa non si è formato un giudicato.

È possibile avviare una nuova causa per una somma di denaro già richiesta in un processo precedente?
Sì, è possibile, ma solo se la precedente sentenza non ha deciso su quella specifica richiesta (configurando un’omessa pronuncia) e se la nuova domanda si basa su una ‘causa petendi’ (cioè un titolo giuridico) diversa. Nel caso esaminato, la prima causa riguardava il risarcimento per il mancato godimento del bene, la seconda il rimborso di una spesa specifica per la riparazione.

Perché la prima sentenza non è stata considerata vincolante per la richiesta di rimborso delle spese?
La prima sentenza non è stata considerata vincolante (res iudicata) perché si era limitata a liquidare il danno per il mancato godimento dell’immobile, senza mai pronunciarsi sulla specifica questione del rimborso dei costi di riparazione del muro. La Corte ha stabilito che l’oggetto della prima decisione era diverso e, quindi, non poteva precludere una nuova azione per la domanda che non era stata esaminata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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