Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22998 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22998 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17406/2019 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 2115/ 2019 depositata il 28/03/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 2115/2019, depositata il 28.3.2019, ha rigettato l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 23030/2016 del 13.10.2016, che aveva respinto le domande proposte dalle predette società dirette a far dichiarare l’inefficacia e/o l’illegittimità e/o illiceità e/o invalidità della risoluzione contrattuale disposta dall’ANAS s.p.a. con provvedimento dell’1.8.2014, per fatto imputabile alle attrici, del contratto rep. n. 15230 del 9.6.2016, con conseguente condanna dell’ANAS s.p.a. all’esecuzione in forma specifica di detto contratto, o, in subordine, al risarcimento del danno a titolo di responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale.
Il Giudice d’appello ha ritenuto legittima l’iniziativa di RAGIONE_SOCIALE di risolvere per grave inadempimento il contratto di cui è causa, condividendo l’impostazione del Tribunale secondo cui, in caso di appalto aggiudicato ad una ATI, tutte le imprese devono essere in possesso dei requisiti di capacità tecnica per l’esecuzione del servizio assunto. In particolare, il giudice di secondo grado ha osservato che, consistendo la prestazione oggetto dell’appalto nell’effettuazione di prove sui materiali da costruzione nell’ambito dei lavori di realizzazione della viabilità di accesso all’hub portuale di Savona, si trattava di prestazione unica non frazionabile se non quantitativamente, rispetto alla quale era richiesta, tra i requisiti di carattere tecnico professionale, anche la disponibilità di un laboratorio di analisi accreditato ex art. 59 DPR n. 380/2001.
Infine, il Giudice d’appello ha osservato che la disciplina di gara richiedeva che anche la mandante dell’associazione temporanea fosse dotata in sede esecutiva, così come stabilito dall’art. 3 del capitolato d’oneri, della necessaria qualificazione ovvero di altra equipollente, non potendosi consentire ad alcuni dei soggetti del c.d.
raggruppamento orizzontale di eseguire -sia pure pro quota -la prestazione oggetto dell’appalto senza assicurare il rispettivo possesso dei requisiti tecnici richiesti dalla lex specialis .
In conclusione, il Giudice d’appello ha ritenuto essere stato accertato il grave inadempimento della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE in quanto quest’ultima impresa mandante non avrebbe potuto effettuare il 100% delle prove sui materiali da costruzione prescritte (98 su 98), non possedendo la relativa autorizzazione (ritenendo altresì assorbiti, per effetto del rigetto del secondo motivo d’appello, i restanti motivi).
Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE affidandolo a undici motivi.
LRAGIONE_SOCIALE ha resistito in giudizio con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 comma 1° n. 3 c.p.c.
Espone la ricorrente che il Giudice d’appello aveva fondato la propria decisione sul fatto che la mandante RAGIONE_SOCIALE non possedeva l’autorizzazione ex art. 59 D.P.R. 380/2001, non considerando che tale questione non aveva costituito oggetto del giudizio di primo grado, tanto è vero che non era stata indicata come ragione di risoluzione del contratto né mai era stata espressa dalla difesa erariale né in primo né in secondo grado. Infatti, in entrambi i gradi del giudizio il tema controverso era l’equivalenza degli accreditamenti dei laboratori austriaci e serbi della mandataria RAGIONE_SOCIALE all’autorizzazione ministeriale ex art. 59 DPR 380/2001 e il provvedimento di risoluzione del contratto si fondava proprio sulla asserita non equivalenza di tali accreditamenti.
Il Giudice d’appello aveva quindi violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, avendo accolto la domanda per una causa petendi mai prospettata.
2. Il motivo è inammissibile.
Va osservato che l’affermazione delle ricorrenti secondo cui la mancanza in capo alla mandante RAGIONE_SOCIALE dell’autorizzazione ex art. 59 DPR 380/2001 -elemento su cui il giudice d’appello ha fondato la propria decisione -non avrebbe formato oggetto del giudizio di primo grado è smentita dalla precisa affermazione della sentenza impugnata (pag. 3, seconda parte del terzo capoverso), secondo cui ‘Il Tribunale ha ritenuto legittima l ‘iniziativa di RAGIONE_SOCIALE di risolvere per grave inadempimento il contratto stipulato in quanto, in caso di appalto aggiudicato ad una ATI, tutte le imprese devono essere in possesso dei requisiti di capacità tecnica per l’ esecuzione del servizio assunto’.
La sentenza impugnata (pag. 4, inizio pagina), ha riportato, inoltre, la prospettazione delle società appellanti secondo cui ‘ alle imprese che costituiscono l’ATI non è richiesto di possedere ciascuna il 100% dei requisiti di capacità tecnica per l’ esecuzione del servizio’.
A fronte di tali precisi richiami della sentenza impugnata, sulla questione della necessità del possesso anche in capo alla mandante dell’autorizzazione ex art. 59 legge cit., alla sentenza di primo grado e all’atto di appello, l’affermazione delle odierne ricorrenti secondo cui la stessa questione non avrebbe, invece, costituito il tema controverso del giudizio di primo grado si appalesa generica e priva di autosufficienza, non avendo le stesse neppure avuto cura di precisare, con riferimenti puntuali e specifici al contenuto degli atti processuali delle parti di primo grado e secondo grado, le allegazioni di entrambe integranti l’asserito diverso thema decidendum.
Infine, palesemente erronea è l’affermazione delle ricorrenti secondo cui la Corte d’Appello avrebbe accolto la domanda dell’ANAS
s.p.a. per una causa petendi mai prospettata in giudizio, non essendo stato considerato che nel presente giudizio il ruolo di parte attrice è stato assunto dalle odierne ricorrenti, che hanno formulato le proprie domande, con relative cause petendi , e non certo dall’ANAS s.p.a.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 comma 1° n. 3 c.p.c.
Contestano le ricorrenti che la disciplina del raggruppamento di imprese comportasse che anche la mandante RAGIONE_SOCIALE possedesse l’autorizzazione ex art. 59 legge cit., richiedendo solo di indicare chi avrebbe assunto il ruolo di mandante e mandataria con le relative percentuali, e senza richiedere di precisare in termini quantitativi come la prestazione contrattuale sarebbe stata divisa tra le imprese riunite.
Il motivo è inammissibile.
Va osservato che le ricorrenti, nel far riferimento alla disciplina dell’ATI, non si sono confrontate con la precisa affermazione della sentenza impugnata (vedi pag. 4 ultimo capoverso) secondo cui era il disciplinare di gara a richiedere ‘che le analisi vengano eseguite presso laboratori accreditati e che la mandante dell’associazione temporanea, odierna appellante, sia dotata in sede esecutiva, così come stabilito dall’art. 3 del capitolato d’oneri, della necessaria qualificazione ovvero di altra autorizzazione equipollente’.
Dunque, il richiamo delle ricorrenti alla disciplina dell’ATI non è conferente, non essendo stato indicato dalla Corte d’Appello tale documento -bensì l’art. 3 del capitolato d’oneri -come fonte dell’obbligo della mandante dell’ATI di dotarsi della necessaria autorizzazione di natura tecnica.
In conclusione, la predetta deduzione della Corte d’Appello non è stata efficacemente aggredita.
Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 comma 1° n. 4 e 5 c.p.c.
Espongono le ricorrenti di avere, nei precedenti gradi del giudizio, contestato la risoluzione del contratto di appalto affermando che la mandante RAGIONE_SOCIALE aveva conseguito l’autorizzazione ex art. 59 DPR 380/2001 mediante la procedura del silenzio-assenso, ancor prima che venisse stipulato il contratto di appalto con RAGIONE_SOCIALE. In particolare, la mandante aveva presentato istanza al Ministero delle Infrastrutture -che la aveva ricevuta in data 28.10.2013 -finalizzata al rilascio della predetta autorizzazione per eseguire tutte le prove di laboratorio indicate nelle circolari 8/9/2010, n. 7617/ STC e 7618/STC.
Alla data della notificazione dell’atto di citazione di primo grado erano trascorsi nove mesi dalla presentazione dell’istanza senza che il Ministero avesse concesso l’autorizzazione. Essendo tale procedimento soggetto all’applicazione degli artt. 19 e 20 L. n. 241/ 1990 -in virtù del richiamo a tali articoli da parte dell’art. 17 d.lgs n. 59/2010 -ne conseguiva che, per effetto dell’inerzia dell’amministrazione, lo stesso procedimento doveva intendersi concluso in senso favorevole con il silenzio-assenso.
In ogni caso, in subordine, anche ove non fossero ritenuti applicabili gli artt. 19 e 20 L. cit, deducono i ricorrenti che il meccanismo del silenzio-assenso doveva intendersi comunque perfezionato a norma dell’art. 2 L. 241/1990, in data 16.4.2014, e quindi in epoca precedente alla stipulazione del contratto di appalto.
Il Giudice di primo grado non aveva ritenuto applicabile il meccanismo del silenzio-assenso al procedimento di rilascio dell’autorizzazione ex art. 59 DPR 380/2001, ma, in sede di appello (in particolare nel settimo motivo), le ricorrenti avevano evidenziato l’erroneità della decisione, svolgendo considerazioni in diritto su cui il Giudice di secondo grado aveva completamente omesso di pronunciarsi.
Le ricorrenti lamentano che l’omesso scrutinio del settimo motivo integra gli estremi della violazione dell’art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c. Inoltre, il fatto che nella sentenza impugnata non sia stata
dedicata una sola parola a spiegare l’inammissibilità e/o irrilevanza e/o infondatezza della censura espressa nel settimo motivo d’appello integra il vizio di motivazione.
Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 comma 1° n. 4 e 5 c.p.c.
In subordine, le ricorrenti sostengono che, ove non fosse ritenuto applicabile l’istituto del silenzio-assenso, l’asserito inadempimento non era comunque dovuto a loro colpa, ma al grave ritardo del Ministero delle Infrastrutture che non aveva concluso il procedimento di rilascio dell’autorizzazione nel termine previsto ex lege .
In particolare, espongono di aver documentato nel precedente grado del giudizio di aver richiesto l’autorizzazione in oggetto 224 giorni prima della stipulazione del contratto d’appalto e 276 giorni prima che venisse risolto.
In sostanza, la RAGIONE_SOCIALE si era attivata tempestivamente con la necessaria diligenza per ottenere l’autorizzazione richiesta, ma non la aveva ottenuta per la negligenza del Consiglio superiore dei lavori pubblici, con la conseguenza che sussistevano i presupposti per ritenere sussistente la fattispecie dell’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile all’appaltatore, ex art. 1218 c.c.
Il giudice di secondo grado aveva completamente omesso di pronunciarsi anche su tale profilo di censura che era stato espresso nel settimo motivo di appello che, se accolto, avrebbe avuto valore decisivo.
L’omesso scrutinio anche di tale profilo denunciato nel settimo motivo integrava gli estremi della violazione dell’art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c.
Il terzo ed il quarto motivo, da esaminarsi unitariamente, avendo ad oggetto la dedotta omessa pronuncia della Corte d’Appello su censure svolte nel settimo motivo d’appello proposto dalle odierne ricorrenti, già appellanti, sono fondati.
Le ricorrenti deducono di aver rappresentato al Giudice d’appello nel predetto motivo di gravame che la RAGIONE_SOCIALE era in possesso dell’autorizzazione ex art. 59 DPR 380/2001, per averla conseguita con il meccanismo del c.d. silenzio-assenso e, in ogni caso, anche ammettendo che tale istituto non fosse applicabile al caso di specie, che l’asserito inadempimento contestato dalla stazione appaltante all’ATI era stato dovuto ad impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile all’appaltatore, ex art. 1218 c.c., e ciò in ragione del grave ritardo del Ministero delle Infrastrutture che non aveva concluso il procedimento di rilascio dell’autorizzazione nel termine previsto ex lege .
Non vi è dubbio che entrambe le questioni sottoposte al giudice di secondo grado con il settimo motivo d’appello -adeguatamente illustrate, in ossequio al principio di autosufficienza, sia con la sintesi nel ricorso delle censure già svolte nel predetto motivo dell’atto di appello, sia con la produzione in giudizio di tale atto di gravame in sede di legittimità -fossero decisive in relazione all’oggetto della controversia, volendo le appellanti non solo confutare l’affermazione del giudice di primo grado secondo cui la mandante era priva dell’autorizzazione ex art. 59 DPR 380/2001, ma, in ogni caso, contestare l’imputabilità dell’inadempimento posto a fondamento della risoluzione contrattuale disposta dall’ANAS s.p.a. con provvedimento dell’1.8.2014. Ne consegue che la Corte d’Appello, non prendendo alcuna posizione sia sul meccanismo del silenzio-assenso, sia sulla dedotta inimputabilità dell’inadempimento per l’asserita responsabilità degli organi deputati al rilascio dell’autorizzazione ex art. 59 legge cit., è incorsa effettivamente in un’omessa pronuncia che va sanzionata in questa sede.
Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 comma 1° n. 4 e 5 c.p.c.
Espongono le ricorrenti di aver evidenziato nei gradi precedenti che, al momento della risoluzione del contratto (1.8.2014), l’esecu-
zione dello stesso non era ancora iniziata, non essendo le ricorrenti state convocate per la sottoscrizione del verbale di consegna. Ne consegue che non vi poteva essere l’asserito inadempimento.
Inoltre, le ricorrenti avevano, comunque, in primo luogo, prospettato sia che l’asserito inadempimento era da qualificarsi come impossibilità temporanea o definitiva della prestazione ex art. 1256 c.c., sia che l’asserito inadempimento era da ritenersi non rilevante ex art. 1455 c.c., sia che l’autorizzazione ministeriale serviva per eseguire solo 30 delle 98 prove oggetto del contratto e che la mandataria aveva comunque titolo per eseguire tutte le 98 prove, in attesa che venisse rilasciata l’autorizzazione anche alla mandante.
Il Giudice di secondo grado aveva completamente omesso di pronunciarsi anche su tali profili di censura, che erano stati espressi nell’ottavo e nel nono motivo d’appello, che, se accolti, avrebbero avuto valore decisivo.
Con il sesto motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 48 direttiva 2004/18/CE e 42 d.lgs. n. 163/2006, nonché la violazione dell’art. 360 comma 1° n. 4 c.p.c. per carenza di motivazione.
Espongono le ricorrenti che l’assunto della sentenza impugnata, secondo cui la disponibilità di un laboratorio autorizzato ex art. 59 legge cit. costituisce un requisito di carattere tecnico professionale, si pone in contrasto sia con le norme speciali nazionali e comunitarie indicate in rubrica, sia con la specifica previsione del disciplinare di gara, sia con il giudicato formatosi a seguito della sentenza del TAR Liguria n. 899/2013.
Inoltre, la sentenza impugnata è affetta da un insanabile deficit motivazionale, avendo il giudice d’appello reso una affermazione apodittica, priva di alcun supporto motivazionale.
Con il settimo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 comma 1° n. 4 c.p.c. per carenza di motivazione.
Espongono le ricorrenti che la sentenza impugnata non ha fornito una spiegazione alla propria affermazione secondo cui la disponibi-
lità di un laboratorio autorizzato costituirebbe, al tempo stesso, un requisito del soggetto contraente (da verificare in sede di gara) e una condizione di esecuzione del contratto (da verificarsi dopo l’avvio dell’esecuzione del contratto).
La sentenza impugnata non ha neppure spiegato perché ha disatteso l’orientamento consolidato della giurisprudenza amministrativa secondo cui i requisiti tecnici devono essere posseduti cumulativamente dal raggruppamento e non per intero da ciascuna impresa dell’ATI.
Con l’ottavo motivo è stata dedotta dell’art. 360 comma 1° n. 4 c.p.c. per carenza e contraddittorietà della motivazione.
Le ricorrenti contestano l’affermazione della sentenza impugnata con cui la prestazione oggetto dell’appalto è stata ritenuta ‘unica non frazionabile se non quantitativamente (e con rilevanza meramente interna) rispetto alla quale era richiesta tra i requisiti di carattere tecnico professionale, anche la disponibilità di un laboratorio di analisi accreditato ex art. 59 DPR n. 380/2001’.
In realtà, ad avviso delle ricorrenti, l’insieme delle 98 tipologie di prova di laboratorio è suddiviso in 10 diverse categorie di servizi e non rappresenta quindi una prestazione unica e indivisibile, ma è frazionabile.
Con il nono motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 comma 1° n. 4 e 5 c.p.c.
Le ricorrenti contestano l’affermazione della sentenza impugnata, secondo cui entrambe le imprese di un raggruppamento temporaneo di imprese devono possedere i medesimi requisiti di capacità tecnico professionale per eseguire l’intera prestazione contrattuale, e ne evidenziano l’erroneità.
Infatti, nella lex specialis di gara si rinviene un richiamo all’art. 92 del DPR 207/2010 (nel testo vigente al luglio 2012, quando fu pubblicato il bando di gara) che specificava che ‘i lavori sono eseguiti dai concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo di imprese
nella percentuale corrispondente alle quote di partecipazione, nel rispetto delle principali minime di cui al presente comma’.
Peraltro, l’affermazione secondo cui la mandante avrebbe dovuto essere in grado di eseguire il 100% delle prove su materiali da costruzione costituisce la negazione dell’ATI, che è finalizzata a consentire ad imprese di modeste dimensioni di aggregarsi per partecipare ad appalti pubblici di maggiori dimensioni. Ove, infatti, ciascuna impresa del raggruppamento dovesse possedere il 100% dei requisiti per eseguire il 100% della prestazione, non avrebbe alcuna necessità di costituire l’ATI in quanto potrebbe partecipare alla gara singolarmente.
Pertanto, tenuto conto che, nel caso di specie, le quote di partecipazione all’ATI erano per la RAGIONE_SOCIALE e per la RAGIONE_SOCIALE rispettivamente pari al 60% e al 40%, l’affermazione della Corte di appello secondo cui la mandante doveva avere la capacità tecnica per eseguire il 100% della prestazione contrattuale si pone in violazione degli artt. 37, comma 13, d.lgs. n. 163/2016 e 92 DPR 207/2010.
Con il decimo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 comma 1° n. 4 c.p.c. per contraddittorietà della motivazione.
Evidenziano le ricorrenti che la sentenza impugnata, pur partendo dall’affermazione che il possesso dei requisiti deve essere assicurato da ciascuna impresa pro-quota , è pervenuta, in modo incongruente, alla conclusione che la mandante doveva possedere i requisiti per l’esecuzione della prestazione non in misura conforme alla propria quota del 40% ma in rapporto all’intera quota, comprensiva di quella posseduta dalla mandataria.
Con l’undicesimo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 comma 1° n. 4 c.p.c. per contraddittorietà della motivazione in relazione alla circostanza che si è ritenuto integrato l’inadempimento nonostante non vi fosse mai stato alcun avvio dell’esecuzione del contratto.
15. I motivi dal quinto all’undicesimo sono assorbiti, atteso che le questioni non esaminate dalla Corte d’appello nel settimo motivo d’appello (illustrate nel terzo e nel quarto motivo dell’odierno ricorso) sono potenzialmente decisive e suscettibili di rendere irrilevanti, ove ne fosse accertata la fondatezza, le ulteriori questioni sollevate dalle ricorrenti nei motivi dal quinto all’undicesimo.
In particolare, le questioni in ordine alla non necessità del possesso dei requisiti tecnico-professionali in capo a ciascuna partecipante all’ATI (sul rilievo che sarebbero richiesti solo all’ATI nel suo complesso) sono suscettibili di diventare rilevanti -con conseguente necessità di trattazione da parte del giudice di rinvio -solo ove fosse accertato (questioni su cui il Giudice d’appello non aveva adottato alcuna statuizione) che la mandante non aveva conseguito l’autorizzazione ex art. 59 legge cit. con il meccanismo del silenzioassenso o comunque che il mancato perfezionamento di tale meccanismo fosse comunque imputabile alla società mandante.
La sentenza impugnata deve essere quindi cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, per nuovo esa-