Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11269 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11269 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 2237/2020 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Taranto, alla INDIRIZZO, in persona del socio amministratore AVV_NOTAIO NOME COGNOME, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio del AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
–
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Milano, alla INDIRIZZO, in persona del AVV_NOTAIO speciale AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, da ll’ AVV_NOTAIO, con cui elettivamente domicilia in Roma, al INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO.
-controricorrente –
avverso la sentenza, n. cron. 503/2019, della CORTE DI APPELLO DI LECCE, SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, pubblicata in data 11/11/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 19/03/2024 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
Con ordinanza ex art. 702bis cod. proc. civ. del 13 maggio 2016, il Tribunale di Taranto dichiarò inammissibile la domanda della RAGIONE_SOCIALE volta ad ottenere la condanna di RAGIONE_SOCIALE alla restituzione di € 253.204,52, asseritamente riscossa indebitamente da quest’ul tima. Ritenne, in particolare, che: i ) con precedente sentenza emessa dal Tribunale di Taranto il 27 aprile 2015, nella causa n.r.g. 4795/2008 tra le stesse parti, si era dato atto che la RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto dichiararsi la nullità di clausole del conto corrente dalla stessa intrattenuto con RAGIONE_SOCIALE, poi divenuta RAGIONE_SOCIALE, condannandosi l’istituto di credito alla restituzione, in suo favore, delle somme indebitamente riscosse; ii ) quel giudice aveva accertato un saldo a debito del correntista pari ad € 90.593,79, non essendo da questi dovuta la somma di € 253.204,52, nulla statuendo sulla espressa domanda di condanna, così incorrendo nel vizio di omessa pronunzia; iii ) nel nuovo giudizio, la ricorrente aveva riproposto la stessa domanda.
Il gravame promosso dalla RAGIONE_SOCIALE contro la descritta ordinanza fu respinto dall’adita Corte di appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, con sentenza dell’11 novembre 2019, n. 503, pronunciata nel contraddittorio con RAGIONE_SOCIALE
2.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte osservò che: « Nella causa n. 4795/2008, definita con sentenza n. 1556/2015 del Tribunale di Taranto, la RAGIONE_SOCIALE aveva domandato ‘condannare la convenuta al pagamento e/o alla restituzione di tutte le somme che saranno riconosciute versate in più rispetto al dovuto’ all’esito del ricalcolo contabile del saldo del conto corrente n. 18500-00 sulla base della nullità di varie clausole; nella causa n. 6319/2015, definita con l’ordinanza ora appellata, la COGNOME
RAGIONE_SOCIALE ha domandato la condanna della stessa controparte al pagamento della somma di € 253 .204,52, con riferimento allo stesso rapporto. Trattasi di inammissibile riproposizione della stessa domanda. Sia che nella sentenza n. 1556/2015 si ravvisi un’omessa pronunzia (nel dispositivo il giudice nulla ha esplicitamente affermato in ordine all’invocata pronunzia di condanna), sia che si ravvisi un rigetto della domanda, per il rilievo che il rapporto non era stato chiuso, parte attrice avrebbe dovuto esprimere impugnazione avverso quella sentenza, sotto il profilo dell’omessa pronunzia oppure della sussistente chiusura del rapporto, indebitamente negata dal tribunale (secondo la prospettazione, la chiusura era già intervenuta alla data del 30/11/2009). Poiché la domanda è la stessa, con riferimento alla causa petendi (percezione di somme in virtù di clausole nulle) ed al petitum (ripetizione dell’indebito), correttamente il giudice di prime cure ha concluso per la rispettiva inammissibilità, in ossequio al principio ‘ne bis in idem’».
Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso la RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a due motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.. Ha resistito, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE
RAGIONI DELLA DECISIONE
I formulati motivi di ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:
« Violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. ». Si contesta alla corte distrettuale di avere ritenuto, erroneamente, che la domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE nell’odierno giudizio fosse identica a quella svolta dalla medesima società nel precedente giudizio, pure intrapreso contro RAGIONE_SOCIALE, definito con la sentenza del Tribunale di Taranto n. 1556 del 2015, divenuta cosa giudicata. Si assume che « la RAGIONE_SOCIALE si era affannata ad evidenziare come, nel giudizio definito con sentenza del Tribunale di Taranto n. 1556/2015, tutte le parti hanno affermato esservi un conto aperto, e le risultanze processuali di tanto davano conto », sicché « la domanda, l’indagine e la decisione del Tribunale si sono riferiti all’ipotesi di conto ancora aperto, e su questo si è formato il giudicato. Non sulla diversa ipotesi di conto chiuso, che fa
riferimento a fatti e presupposti mai portati all’attenzione del Tribunale e oggetto di nuovo accertamento nel successivo giudizio, come tali costituenti nuova domanda sottratta al vincolo del giudicato. Infatti, nella sentenza n. 1556/2015, il Tribunale afferma “solo con la chiusura del conto si possono definitivamente stabilire i crediti e debiti della parte (Cass.10127/05) e che, pertanto, solo da questo momento il correntista può esperire l’azione di pagamento indebito’. Quindi la chiusura del con to non vale solo come fatto storico, ma come presupposto per il definitivo accertamento dei rapporti di dare mai effettuato nella sentenza in esame e sul quale, quindi, è necessario nuovo accertamento e non può essersi formato il giudicato per il principio della eterodeterminatezza dei rapporti di credito quale quello in esame ». Si aggiunge, inoltre, che, contrariamente a quanto opinato dalla decisione oggi impugnata, il Tribunale di Taranto, nella sentenza n. 1556/2015 aveva rigettato la domanda di condanna alla restituzione dell’indebito, «quindi non può ipotizzarsi una omessa pronuncia, né l’odierna ricorrente avrebbe potuto far valere in appello la chiusura dcl rapporto, in quanto fondata su un fatto nuovo (chiusura del rapporto) mai preso in esame, nel contraddittorio delle parti, in quel giudizio, che – come tale – avrebbe reso inammissibile l’appello »;
II) « Nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. ». Si ascrive alla corte territoriale di avere « erroneamente statuito sulla regolamentazione delle spese di lite » per non aver considerato « la evidente soccombenza della parte appellata in ordine alla domanda, avanzata in primo grado e reiterata in grado di appello, sebbene in via subordinata, con la quale si chiedeva di ‘contenere la domanda di ripetizione di indebito nei limiti derivanti dalla intervenuta prescrizione parziale del diritto di ripetizione di indebito. . In applicazione di quanto disposto dall’art. 92, secondo comma, c.p.c. la sentenza qui gravata avrebbe dovuto comunque riconoscere una compensazione delle spese di lite ».
Il primo dei descritti motivi si rivela fondato nei sensi di cui appresso.
2.1. La già riportata ( cfr . § 2.1. dei ‘ Fatti di causa ‘) motivazione fornita dalla corte distrettuale alla propria adottata pronuncia di rigetto del gravame
della società odierna ricorrente – « Sia che nella sentenza n. 1556/2015 si ravvisi un’omessa pronunzia (nel dispositivo il giudice nulla ha esplicitamente affermato in ordine all’invocata pronunzia di condanna), sia che si ravvisi un rigetto della domanda, per il rilievo che il rapporto non era stato chiuso, parte attrice avrebbe dovuto esprimere impugnazione avverso quella sentenza, sotto il profilo dell’omessa pronunzia oppure della sussistente chiusura del rapporto, indebitamente negata dal tribunale (secondo la prospettazione, la chiusura era già intervenuta alla data del 30/11/2009). Poiché la domanda è la stessa, con riferimento alla causa petendi (percezione di somme in virtù di clausole nulle) ed al petitum (ripetizione dell’indebito), correttamente il giudice di prime cure ha concluso per la rispettiva inammissibilità, in ossequio al principio ‘ne bis in idem’» è errata in entrambe le sue affermazioni.
2.2. Da un lato, infatti, basta ricordare che, secondo il costante, e qui condiviso, orientamento della giurisprudenza di legittimità, « In caso di omessa pronuncia su una domanda, qualora non ricorrano gli estremi di un assorbimento della questione pretermessa ovvero di un rigetto implicito, la parte ha la facoltà alternativa di far valere l’omissione in sede di gravame o di riproporre la domanda in un separato giudizio, poiché la presunzione di rinuncia ex art. 346 cod. proc. cic. ha valore meramente processuale e non anche sostanziale, sicché, riproposta la domanda in diverso giudizio, non è in tale sede opponibile la formazione del giudicato esterno » ( cfr . Cass. n. 35382 del 2022; Cass. n. 10406 del 2018; Cass. n. 6529 del 2017; Cass. n. 4388 del 2016; Cass. n. 15461 del 2008; Cass. nn. 14755, 11356, 9388 e 1760 del 2006; Cass. n. 7917 del 2002; Cass. n. 8655 del 2000. In senso sostanzialmente conforme, si veda anche la più recente Cass. n. 24896 del 2023).
2.3. Dall’altro, occorre rilevare che, come pure correttamente osservato dalla difesa della ricorrente, il diritto al pagamento di una somma di denaro è eterodeterminato, si caratterizza, cioè, in funzione del puntuale fatto storico su cui si fonda. Pertanto, la sua causa petendi si risolve nel riferimento concreto proprio a quel fatto che è affermato ed allegato come costitutivo e
che, perciò, possiede una specifica attitudine ad individuare il diritto fatto valere in giudizio. Da ciò consegue, altresì, che la domanda di pagamento della medesima somma, se basata su fatti diversi, deve essere considerata nuova rispetto a quella domanda precedentemente proposta, sicché in relazione ad essa non può operare in modo alcuno il primo giudicato che aveva un diverso ambito oggettivo.
2.3.1. Nel caso di specie, dunque, il giudicato di cui alla sentenza n. 1556/2015 del Tribunale di Taranto si è formato -come agevolmente si evince dal contenuto della stessa interamente allegato in calce al motivo in esame -in ordine al fatto che, avvenuta la rideterminazione, al 31 dicembre 2001, del saldo del conto corrente intrattenuto dalla RAGIONE_SOCIALE presso l’istituto di credito oggi controricorrente, gli importi ivi accertati come illegittimamente riscossi da quest’ultimo, fino a quella data, non erano ripetibili perché quel conto ‘ è proseguito anche dopo il 31.12.2001 ‘ ( cfr . pag. 12 dell’appena menzionata sentenza).
2.3.2. Questa soltanto, allora, era la portata di quel giudicato, non altra, ed entro questi soli limiti esso si era formato.
2.3.3. Pretendere, invece, come sostanzialmente ha mostrato di fare la corte distrettuale, di estendere tale giudicato alla richiesta di pagamento della stessa somma basata, tuttavia, su un fatto evidentemente diverso (l’avvenuta chiusura del conto) da que llo ivi accertato (la persistente apertura di quel conto), soltanto perché non fatto valere con la impugnazione, sul punto, di quella prima decisione (appunto la sentenza del Tribunale di Taranto n. 1556/2015), risulta essere, quindi, un modus procedendi non corretto, sicché la sentenza oggi impugnata non può che essere cassata.
2.3.4. Il giudice di rinvio, peraltro, nel procedere al nuovo esame della domanda dell’appellante, dovrà muovere dal saldo di quel conto alla data del 31.12.2001 (come definitivamente sancito nell’appena citata sentenza n. 1556/2015 del tribunale tarantino ), per poi verificare l’ulteriore andamento del conto stesso fino alla data della sua chiusura ed il saldo, indicato in ricorso come pari a ‘ zero ‘ a detta data, al fine di stabilire se quell’importo di €
253.204,52, già accertato come illegittimamente addebitato alla correntista (in ragione nullità dele clausole contrattuali ivi dichiarate dal menzionato tribunale), sia rimasto di tale entità, o non, ricordandosi che, nella fattispecie concernente il contratto di conto corrente, di pagamento può parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il corrispondente rapporto, la banca abbia ottenuto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire se corrisposti dal cliente all’atto della chiusura del conto.
Il secondo motivo di ricorso può considerarsi assorbito.
In conclusione, dunque, l’odierno ricorso promosso dalla RAGIONE_SOCIALE, deve essere accolto limitatamente al suo primo motivo, dichiarandosene assorbito il secondo, e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della causa alla Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il ricorso della RAGIONE_SOCIALE limitatamente al suo primo motivo, dichiarandone assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile