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Omessa pronuncia e buoni pasto: la Cassazione decide

Una lavoratrice, il cui rapporto di collaborazione era stato riconosciuto come subordinato, si è vista negare la richiesta di buoni pasto. La Corte di Cassazione, in un primo momento, aveva annullato la decisione di merito, rinviando la causa alla Corte d’Appello per una nuova valutazione. Quest’ultima, però, ha ignorato completamente la questione, commettendo un errore di omessa pronuncia. Con una nuova ordinanza, la Suprema Corte ha cassato anche questa seconda sentenza, ribadendo che il giudice del rinvio è strettamente vincolato ai principi di diritto da essa stabiliti.

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Omessa Pronuncia sui Buoni Pasto: La Cassazione Annulla la Sentenza del Giudice del Rinvio

L’omessa pronuncia rappresenta un grave vizio procedurale che si verifica quando un giudice non decide su una specifica domanda avanzata da una delle parti. Questo errore viola il principio fondamentale della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, sancito dall’art. 112 del codice di procedura civile. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato l’importanza di tale principio, cassando una sentenza d’appello che aveva completamente ignorato una questione cruciale: il diritto di una lavoratrice ai buoni pasto, nonostante una precedente indicazione della stessa Suprema Corte.

I Fatti del Caso: Da Collaboratrice a Dipendente Subordinata

La vicenda trae origine da un lungo rapporto di lavoro, durato dal 2002 al 2010, tra una lavoratrice e un ente pubblico regionale. Formalmente inquadrata con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, la dipendente aveva ottenuto dal Tribunale il riconoscimento della natura subordinata del suo rapporto. Nella stessa sede, aveva avanzato diverse richieste economiche, tra cui il pagamento delle differenze retributive, dell’indennità per ferie non godute e del valore corrispondente ai buoni pasto. Mentre le prime istanze venivano parzialmente accolte, la domanda relativa ai buoni pasto veniva rigettata.

Il Primo Ricorso in Cassazione e il Rinvio

La controversia approdava una prima volta in Cassazione. Con la sentenza n. 21781/2022, la Suprema Corte accoglieva il motivo di ricorso relativo ai buoni pasto, evidenziando un vizio di motivazione nella decisione della Corte d’Appello. Quest’ultima, infatti, non aveva adeguatamente considerato che la lavoratrice seguiva un orario di lavoro del tutto conforme a quello del personale di ruolo, compresi i rientri pomeridiani. Tale circostanza, secondo il CCNL di riferimento, è un presupposto fondamentale per il diritto alla mensa o al buono pasto. La Corte, quindi, cassava la sentenza e rinviava la causa alla Corte d’Appello in diversa composizione, affinché riesaminasse la questione attenendosi ai principi espressi.

L’Errore del Giudice del Rinvio: L’Omessa Pronuncia sui Buoni Pasto

Il giudizio di rinvio, tuttavia, si concludeva con una nuova sentenza che, pur riconoscendo alla lavoratrice altre somme (come l’indennità per ferie non godute), ometteva completamente di pronunciarsi sulla domanda relativa ai buoni pasto. La decisione non menzionava neppure la questione, ignorando di fatto il compito specifico che le era stato affidato dalla Cassazione. Questa grave omissione ha costretto la lavoratrice a proporre un nuovo ricorso per cassazione, denunciando la nullità della sentenza per omessa pronuncia.

La Natura Vincolante della Decisione della Cassazione

Il punto centrale della questione è la natura del giudizio di rinvio. Quando la Cassazione annulla una sentenza e rimanda il caso a un altro giudice, quest’ultimo non ha piena libertà decisionale. Egli è vincolato a rispettare e applicare i principi di diritto stabiliti dalla Suprema Corte nella sentenza di cassazione. Nel caso di specie, il giudice del rinvio avrebbe dovuto esaminare la domanda sui buoni pasto alla luce delle prove e dei principi indicati, ma ha scelto di non farlo.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione, con la nuova ordinanza, ha accolto il ricorso della lavoratrice, ritenendolo fondato. I giudici hanno sottolineato che il giudice del rinvio non può discostarsi dalle statuizioni della sentenza che ha disposto il rinvio. La Corte d’Appello, non avendo dato atto dell’accoglimento del precedente motivo di ricorso e non avendo tenuto conto della specifica richiesta di valutazione della domanda sui buoni pasto, è incorsa in un palese vizio di omessa pronuncia.

La Suprema Corte ha ribadito che il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.) impone al giudice di pronunciarsi su tutta la domanda, senza andare oltre i suoi limiti (extrapetizione) né, come in questo caso, omettendo di decidere su una parte di essa.

Le Conclusioni: Il Principio Vincolante per il Giudice del Rinvio

In conclusione, la Corte ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato nuovamente la causa alla Corte d’Appello di L’Aquila, in diversa composizione. Questa volta, il giudice del rinvio dovrà inderogabilmente esaminare la domanda relativa al pagamento dei buoni pasto e decidere anche sulle spese del giudizio di legittimità. La decisione rafforza un principio cardine del nostro sistema processuale: il giudizio di rinvio non è un nuovo e libero grado di giudizio, ma una fase ‘chiusa’, il cui perimetro è definito dai principi di diritto enunciati dalla Corte di Cassazione, che devono essere fedelmente applicati.

Cosa si intende per ‘omessa pronuncia’ in una sentenza?
Si ha un’omessa pronuncia quando il giudice non decide su una o più delle domande formulate dalle parti nel processo, violando l’obbligo, previsto dall’art. 112 del codice di procedura civile, di pronunciarsi su tutta la materia del contendere.

Il giudice del rinvio è obbligato a seguire le indicazioni della Corte di Cassazione?
Sì, il giudice del rinvio è strettamente vincolato alle statuizioni e ai principi di diritto enunciati nella sentenza della Corte di Cassazione che ha disposto il rinvio. Non può discostarsene né omettere di esaminare le questioni che la Cassazione gli ha demandato.

Quali erano le condizioni per ottenere i buoni pasto nel caso specifico?
Secondo l’art. 45 del CCNL Regioni ed Autonomie Locali, il diritto al buono pasto sorge per i dipendenti che prestano attività lavorativa al mattino con prosecuzione nelle ore pomeridiane, con una pausa di durata compresa tra trenta minuti e due ore. La Corte di Cassazione aveva ritenuto che la prova di un orario analogo a quello del personale di ruolo fosse un fatto decisivo da esaminare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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