Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4116 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 4116 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 17/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26365/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME COGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
– controricorrenti – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI CATANZARO n. 1013/2021, depositata il 09/07/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME conveniva davanti al Tribunale di Catanzaro NOME COGNOME lamentando che quest’ultimo aveva realizzato – su fondo confinante con quello dell’attore – un pozzetto in cemento armato, interrandolo illegittimamente, che scaricava le acque nere in un avvallamento tra particelle di proprietà dell’attore tramite un collegamento sotterraneo; deduceva, inoltre, che il COGNOME aveva costruito due fabbricati a distanza non consentita e aveva sopraelevato un fabbricato già esistente, in contrasto con le distanze prescritte.
Chiedeva, pertanto, l’attore l’eliminazione di dette opere, con l’esatto ripristino dello status quo ante , nonché la condanna del convenuto al risarcimento dei danni.
A séguito dell’eccezione del difetto di legittimazione attiva in capo al COGNOME sollevata da NOME COGNOME in sede di costituzione, intervenivano volontariamente in giudizio, aderendo alle domande dell’ , NOME, NOME e NOME COGNOME, nude proprietarie del fondo di cui NOME COGNOME era usufruttuario. Veniva, altresì, integrato il contraddittorio nei confronti di NOME COGNOME, coniuge di NOME COGNOME e comproprietaria del fondo su cui erano state realizzate le opere contestate.
Il Tribunale adìto condannava il COGNOME e la COGNOME a demolire il pozzetto in cemento armato, i due nuovi fabbricati e la sopraelevazione di quello esistente; condannava, altresì, i coniugi convenuti al risarcimento del danno, liquidato in via equitativa in €. 7.000,00.
La pronuncia veniva appellata dai coniugi COGNOME innanzi alla Corte d’Appello di Catanzaro, che rigettava il gravame essenzialmente per ragioni di inammissibilità delle eccezioni dedotte dalla COGNOME (eccezione riconvenzionale di usucapione ed eccezione di prescrizione dei diritti fatti valere dall’attore e dalle intervenute),
posto che – ai sensi dell’art. 167 cod. proc. civ. nel testo vigente ratione temporis ossia applicabile alle cause (come quella notificata dal COGNOME in primo grado nel marzo 2010) iniziate dal 1 marzo 2006 -entrambe le eccezioni avrebbero dovuto essere proposte dalle parti entro il termine di 20 giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto integrativo del contraddittorio.
Secondo il giudice di seconde cure, neanche ricorre il vizio di omessa o insufficiente motivazione, ovvero di motivazione apparente della sentenza impugnata, che invece contiene tutte le deduzioni, domande, eccezioni e ragioni di fatto per cui non poteva ritenersi accertata l’esistenza di una servitù di scolo a carico del fondo dell’attore e dell’intervenuta e a favore del fondo dei convenuti, mentre al contrario si poteva ritenere esistente il danno da violazione della distanza legale.
Per l’effetto del rigetto del gravame, secondo le regole della soccombenza la Corte territoriale condannava gli appellanti alle spese del grado.
La suddetta sentenza viene qui impugnata per la cassazione da NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il ricorso – affidato a due motivi e illustrato da memoria -viene contrastato dalle eredi di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME divenute nel frattempo proprietarie del fondo per morte dell’usufruttuario e in virtù delle donazioni di NOME e NOME COGNOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia e, quindi, violazione della norma dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc.
civ. I ricorrenti osservano che in comparsa di costituzione e risposta essi avevano preliminarmente denunciato la carenza di legittimazione processuale attiva di NOME COGNOME in qualità di usufruttuario e neanche possessore del fondo confinante con la loro proprietà, in quanto concesso in affitto ad un terzo; eccezione, questa, sulla quale né il giudice di primo grado né la Corte d’Appello si sono pronunciati.
Il motivo è inammissibile.
Questa Corte, a sezioni unite, ha affermato che nel caso in cui il ricorrente lamenti in sede di legittimità l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., con riguardo all’art. 112 cod. proc. civ., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Cass. Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013, Rv. 627268 – 01).
Nel caso che ci occupa, il motivo di ricorso deduce l’omessa pronuncia su una eccezione (difetto di legittimazione attiva del Bressi) ma, lungi dal denunziare la nullità della sentenza, si limita a dedurre l’omessa motivazione ‘ circa un punto decisivo della controversia ‘ (v. ricorso pagg. 3 e 4). Pertanto, pur volendo prescindere (per quanto detto) dall’erroneo richiamo al vizio di cui all’art. 360 n. 5 cpc, l’inammissibilità della censura non è in alcun modo superabile.
Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., in relazione alla condanna delle spese di lite per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. A giudizio dei ricorrenti, la non valutazione della domanda di primo grado
e l’omessa motivazione ha inevitabilmente condotto al grado di appello: tano non può, quindi, giustificare una condanna alle spese del giudizio di seconde cure.
Il motivo è inammissibile ex art. 360bis n. 1 cod. proc. civ.: nella liquidazione delle spese del grado, la Corte d’Appello ha applicato la regola della soccombenza, in linea con l’orientamento consolidato di questa Corte (sulla formula decisoria v. tra le tante, Cass. Sez. U, Sentenza n. 7155 del 21/03/2017, Rv. 643549 – 01).
3. In definitiva, il ricorso va respinto.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in €. 2.800 ,00 per compensi, oltre ad €. 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, l’ 11 settembre 2024.