Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 205 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 205 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24564/2020 R.G. proposto da: difesi
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME rappresentati e dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME
FACCIO;
– controricorrente –
nonchè contro
COGNOME NOMECOGNOME NOME
-intimati –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di GENOVA n. 557/2020 depositata il 25/06/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE, proprietaria del complesso immobiliare denominato “RAGIONE_SOCIALE” sito in Alassio, INDIRIZZO circondato da area adibita a parco-giardino della superficie di 10.320 mq, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Savona COGNOME NOME e COGNOME NOME al fine di sentir accertare che questi ultimi non avevano mai posseduto per un periodo ultra ventennale e, per l’effetto, non avevano acquistato il diritto di proprietà o altro diritto reale minore con riguardo all’immobile in questione (oltre che ad altri immobili situati su territori estranei alla competenza del Tribunale adito), e per sentirli condannare a restituire l’immobile predetto, oltre che alla condanna ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c. dell’importo di euro 500,00 per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione dell’obbligo di restituzione.
NOME COGNOME si costituiva in giudizio proponendo domanda riconvenzionale di intervenuta usucapione sulla base del possesso protratto della intera villa dal 1985 fino al 2009 (salvo una breve interruzione di pochi mesi tra il 2008 e il 2009 in corso di procedura di separazione coniugale).
NOME COGNOME si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto delle domande attoree.
Depositava poi atto di intervento l’ amministratore di sostegno e tutore provvisorio di NOME COGNOME affermando che l’intervento aveva una duplice natura: con riferimento ai beni
immobili di proprietà di RAGIONE_SOCIALE, l’intervento era ad adiuvandum della società attrice e le conclusioni erano identiche a quest’ultima. Con riferimento invece ai beni mobili di sua proprietà, la stessa interveniva per far valere il proprio diritto a sentir accertare l’assenza di qualsiasi posizione giuridica soggettiva dei convenuti in ordine agli stessi e la condanna al rilascio di quanto indebitamente detenuto.
Il Tribunale di Savona in accoglimento della domanda proposta dalla società RAGIONE_SOCIALE condannava NOME COGNOME e NOME COGNOME a restituire a ll’attrice villa COGNOME, come sopra descritta, entro 30 giorni dalla pronuncia, unitamente ai beni mobili di cui all’inventario allegato alla locazione prod. 4 di parte attrice, fissando in euro 150,00 al giorno per ogni ritardo.
COGNOME NOME e COGNOME NOME proponevano appello avverso la suddetta sentenza.
RAGIONE_SOCIALE resisteva al gravame e proponeva appello incidentale.
Si costituiva NOME COGNOME contestando l’appello di cui chiedeva il rigetto.
Preliminarmente la Corte d’Appello, per quel che ancora rileva, rigettava l’eccezione di improcedibilità per mancato o irregolare espletamento della procedura di mediazione.
La questione non era stata sollevata tempestivamente ed era anche infondata in quanto dai verbali di causa e dagli atti emergeva che la procedura di mediazione si era svolta e si era conclusa senza conciliazione e senza che alcuna delle parti avesse svolto nelle sedi opportune o comunque tempestivamente in causa rilievi e/ o eccezioni sulla ritualità della stessa. Infine, in ogni caso,
l’improcedibilità per il mancato esperimento della mediazione obbligatoria ex d. lgs 28/2010 doveva essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza del giudizio di primo grado (Cass. n. 29017/2018). Peraltro, come affermato dalla Corte di Cassazione con la pronuncia n. 32797 del 13 dicembre 2019, “l’improcedibilità doveva essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza del giudizio di primo grado (Cass. 13 novembre 2018, n. 29017; 13 aprile 2017, n. 9557; 2 febbraio 2017, n. 2703). In mancanza della tempestiva eccezione del convenuto e del rilievo d’ufficio, era precluso al giudice di appello rilevare l’improcedibilità della domanda. Nel caso di specie erano mancati alla prima udienza del giudizio di primo grado sia l’eccezione della parte che il rilievo d’ufficio da parte del giudice. Nello stadio d’appello era prevista solo la facoltà del giudice di creare la condizione di procedibilità alla luce di una valutazione discrezionale.
9.1 La Corte d’appello , nel merito, qualificava la domanda come di restituzione visto il pregresso rapporto di comodato e non di rivendica e comunque riteneva provato anche l’acquisto a titolo originario del diritto di proprietà in capo alla società attrice. Quanto alla domanda riconvenzionale di usucapione condivisibilmente il Tribunale aveva riferito che la relazione di fatto intercorsa tra NOME COGNOME e la NOME Adelasia non poteva essere ricondotta ad una situazione di possesso, ma era derivata dalla relazione giuridica intercorrente tra la madre, NOME COGNOME e l’immobile. Risultava, infatti, che la villa, acquistata il 13.12.1952 dalla società RAGIONE_SOCIALE, costituita il 13.11.1952 dai coniugi NOME COGNOME e
NOME COGNOME era sostanzialmente la casa di famiglia dei COGNOME, ove abitarono i predetti coniugi COGNOME con i figli, e dove visse, quindi, anche NOME COGNOME allontanandosi per qualche tempo allorché contrasse matrimonio (teste COGNOME NOME, NOME COGNOME, COGNOME NOME), per poi tornarvi. Ciò emergeva anche dalla dichiarazione resa dal convenuto NOME COGNOME davanti alla Pretura di Savona, sez, distaccata di Albenga. La circostanza che NOME avesse sempre abitato nella villa emergeva, altresi, dalle deposizioni dei testi COGNOME NOMECOGNOME Giuseppe, COGNOME Giuseppe e COGNOME Marco
Doveva escludersi, quindi, che NOME COGNOME avesse esercitato il possesso nei confronti del complesso immobiliare in questione e/ o di porzione del medesimo, potendo, al più, aver avuto la mera detenzione degli stessi derivata da quella della madre. Non era emerso neanche alcun mutamento dell’ animus di NOME COGNOME rispetto alla originaria condizione con la quale era iniziata la sua relazione di fatto col bene.
Anche NOME COGNOME seppure non avesse formulato domande riconvenzionali, comunque, occupava sine titulo parte dell’immobile ed era stata, per l’effetto, legittimamente ritenuta destinataria della pronuncia di condanna al rilascio.
NOME ed NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
NOME NOME NOMECOGNOME e NOME COGNOME sono rimasti intimati.
Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha nno insistito nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione – vizio di motivazione, rectius completa assenza di motivazione, in relazione al capo di impugnazione in appello, ribadito in sede di conclusioni, concernente la liquidazione delle spese oggetto di condanna in solido a carico degli odierni ricorrenti, così come contenuta nella sentenza di primo grado. violazione e falsa applicazione d ell’ art. 91 c.p.c.
La Corte di Appello di Genova avrebbe completamente omesso di prendere in considerazione il motivo di impugnazione attinente alle spese, in merito al quale non avrebbe speso alcuna motivazione. Invece, nel caso di specie, come eccepito dagli appellanti, alla luce del valore indeterminabile e dei parametri del D.M. 55 del 2014 (la citazione è del 2015), la somma liquidata dal Tribunale di Savona avrebbe superato i limiti, senza giustificazione alcuna.
Il calcolo dei compensi dovrebbe prendere quale riferimento il decisum e, quindi, nel caso in esame, avendo il Tribunale pronunciato condanna alla restituzione di un immobile alla RAGIONE_SOCIALE, sarebbe corretto riferirsi al valore come indeterminabile.
La Corte d’Appello , invece, ha liquidato le spese di giudizio per il grado di appello in € 15.000,00 per compensi, oltre spese forfetizzate, iva e cpa in favore di RAGIONE_SOCIALE e in € 10.000,00 per compensi, oltre spese forfetizzate, iva e cpa in favore di NOME COGNOME trascurando del tutto il motivo di appello con il quale era
stato censurata la liquidazione delle spese del primo grado di giudizio.
In effetti, il valore della causa, atteso l’oggetto della domanda di restituzione di beni immobili e mobili con richiesta di pagamento ex art. 614 bis c.p.c. ed una domanda di accertamento di intervenuta usucapione sfuggirebbe ai criteri previsti dall’art. 15 c.p.c. e dovrebbe essere complessivamente valutato come indeterminabile. Pertanto, avrebbe dovuto essere applicato il conteggio indicato nella comparsa conclusionale il cui calcolo finale è ben lontano dall’esito di € 50.000 contenuto in sentenza.
In altri termini vi sarebbe una completa assenza di motivazione sul punto spese.
1.1 Il primo motivo di ricorso è fondato.
NOME COGNOME aveva formulato uno specifico motivo di appello in ordine alla liquidazione delle spese del primo grado di giudizio per la complessiva somma di euro 50000 in solido con NOME COGNOME. Nella stessa sentenza impugnata, a pag. 3, si legge che NOME COGNOME aveva chiesto di riformare la sentenza oltre che in relazione alla sua condanna, anche in punto di spese alla luce delle tabelle vigenti.
La Corte d’Appello , pur dando atto del relativo motivo di appello, ha del tutto omesso di esaminarlo.
Deve premettersi che l’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla riqualificazione della sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, c.p.c., né determina l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (Sez. 6 – 5, Ord. n. 25557 del 27/10/2017).
Nel caso di specie la censura di parte ricorrente complessivamente considerata è sufficientemente chiara nell’ascrivere alla Corte d’appello l’omessa pronuncia sul suddetto motivo.
Ricorre, pertanto, il vizio di omessa pronuncia sul motivo di appello proposto da NOME COGNOME.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione – vizio di motivazione, in relazione al preteso possesso sine titulo, dell’immobile in questione da parte di NOME COGNOME – vizio di motivazione, del tutto insufficiente, in relazione al possesso ad usucapionem dell’immobile in questione da parte di NOME COGNOME.
Secondo la Corte d’Appello, NOME COGNOME occupava sine titulo parte dell’immobile ed è stata, per l’effetto, legittimamente ritenuta destinataria della pronuncia di condanna al rilascio.
L’assunto non è specificamente motivato, se non per relationem (si desume), dalla complessiva argomentazione svolta in merito alla posizione di NOME COGNOME. Tale argomentazione, in effetti, ad una migliore disamina si rivela del tutto insufficiente e contraddittoria, in quanto non vale a fare definitivamente luce sul possesso dell’immobile in questione da parte di NOME COGNOME.
Lo stesso ha affermato di aver iniziato a possedere l’immobile in questione, in epoca antecedente al contratto di locazione del 1994. In maniera del tutto incomprensibile, la Corte d’Appello di Genova definisce a pagina 17, irrilevante tale circostanza, in quanto non sarebbe idonea a desumere che l’inizio del potere di fatto del COGNOME si sia instaurato in modo autonomo e non sia invece derivato da quello della madre. La conclusione alla quale perviene
la Corte, per cui nella fattispecie non è emerso che l’ animus del COGNOME NOME sia mutato rispetto alla originaria condizione con cui è iniziata la sua relazione di fatto col bene, a fronte di precedente exursus di natura teorica e di principio, sarebbe, nella sostanza, sfornita di adeguata dimostrazione e motivazione e sarebbe, pertanto, ragione di cassazione della sentenza in questione.
2.1 Il secondo motivo è inammissibile.
La censura di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in presenza di una ‘doppia conforme’ non è ammissibile. Peraltro, in tale ipotesi, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 5528/2014), adempimento non svolto.
D’altra parte secondo la giurisprudenza di questa Corte: « Ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice» (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 7724 del 09/03/2022, Rv. 664193 – 01).
Ciò detto, anche la censura proposta come vizio di motivazione è inammissibile.
Questa Corte a sezioni unite ha chiarito che dopo la riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., operata dalla legge 134/2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l’anomalia motivazionale si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. Sez. un. 8053/2014); – nel caso di specie, la grave anomalia motivazionale non esiste, perché la Corte d’Appello ha sufficientemente motivato le ragioni per le quali non poteva riconoscersi il possesso utile ad usucapire in capo a NOME COGNOME la cui relazione con l’immobile era rimasta sempre di detenzione, senza alcun atto di interversione del possesso.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. L’omesso rilievo del fatto che RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, non ha partecipato alla mediazione.
Violazione degli artt. 5 e 8 d. lgs. N.28 del 2010. Omesso accertamento della mancata partecipazione di RAGIONE_SOCIALE alla mediazione e conseguente omessa declaratoria di inammissibilità della domanda.
In data 7 agosto 2015 RAGIONE_SOCIALE a mezzo del difensore, convocava in mediazione i convenuti. Alla sessione di mediazione del 14 settembre 2015 non partecipava il legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE ma il solo avvocato difensore, non munito di procura speciale/sostanziale.
Secondo parte ricorrente, perché si verifichi utilmente la condizione di procedibilità prevista dalla legge, occorre che la mediazione sia utilmente esperita con la sostanziale partecipazione delle parti.
Ne deriva che, una volta promossa la procedura di mediazione, la condizione di procedibilità non si verifica se la parte instante non compare personalmente, (Sez. 3, n.8473 del 2019).
Sotto altro profilo, la decisione della Corte di Appello violerebbe gli artt. 5 e 8 del d.lgs. n.28 del 2010 laddove ha ritenuto che ” .. in mancanza della tempestiva eccezione del convenuto, ove il giudice di primo grado non abbia provveduto al relativo rilievo d’ufficio, è precluso al giudice di appello rilevare l’improcedibilità della domanda … “
Tale norma sarebbe applicabile nel caso di “mancato esperimento della mediazione obbligatoria”, ma non nel caso in cui l’attore onerato abbia esperito l’incombente senza poi utilmente parteciparvi personalmente e delegando la presenza al difensore privo dei necessari poteri di legge.
La decadenza di cui all’art. 8 d. lgs. n. 28 del 2010 (mancata eccezione di parte convenuta, ovvero omesso rilievo d’ufficio da parte del giudice entro la prima udienza) non si applicherebbe al caso della mediazione esperita, ma del tutto irregolare nella partecipazione necessaria delle parti.
3.1 Il terzo motivo è manifestamente infondato.
La Corte d’Appello ha correttamente motivato sul punto rigettando l’eccezione di improcedibilità per mancato o irregolare espletamento della procedura di mediazione. La questione, infatti, non era stata sollevata tempestivamente.
Il collegio intende dare continuità al seguente principio di diritto: In tema di mediazione obbligatoria ex art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, il preventivo esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda, ma l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza; ove ciò non avvenga, il giudice d’appello può disporre la mediazione, ma non vi è obbligato, neanche nelle materie indicate dallo stesso art. 5, comma 1-bis, atteso che in grado d’appello l’esperimento della mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda solo quando è disposta discrezionalmente dal giudice, ai sensi dell’art. 5, comma 2 (Sez. 3 – , Ordinanza n. 25155 del 10/11/2020, Rv. 659412 – 01).
Dunque, in mancanza della tempestiva eccezione del convenuto, ove il giudice di primo grado non abbia provveduto al relativo rilievo d’ufficio, è precluso al giudice di appello rilevare l’improcedibilità della domanda. La Corte d’Appello correttamente ha evidenziato che, nel caso di specie, alla prima udienza del giudizio di primo grado erano mancati sia l’eccezione della parte che il rilievo d’ufficio da parte del giudice.
Del tutto priva di fondamento è la tesi secondo cui i suddetti principi riguarderebbero solo l’omesso espletamento della procedura di mediazione e non l’irregolare tenuta della mediazione
perché l’attore onerato ha esperito l’incombente senza poi utilmente parteciparvi personalmente e delegando la presenza al difensore privo dei necessari poteri di legge.
Infine, il ricorrente non si confronta neanche con l’ulteriore ratio decidendi della sentenza nella parte in cui la Corte d’Appello ha affermato che l’eccezione proposta dagli appellanti era anche infondata in quanto dai verbali di causa e dagli atti emergeva che la procedura di mediazione si era svolta e si era conclusa senza conciliazione e senza che alcuna delle parti avesse svolto nelle sedi opportune, o comunque tempestivamente in causa, rilievi e/ o eccezioni sulla ritualità della stessa.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo e rigetta il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Genova in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo e rigetta il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Genova in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione