Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8763 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8763 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13468/2018 R.G. proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE); -ricorrente- contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di LECCE n. 1133/2017, depositata il 30/10/2017. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/10/2023
dal Consigliere NOME COGNOME.
PREMESSO CHE
NOME COGNOME conveniva in giudizio NOME COGNOME davanti al Tribunale di Lecce, deducendo che gli erano stati commissionati alcuni lavori di muratura, che aveva eseguito presso l’abitazione estiva del convenuto, e che aveva richiesto quale pagamento la somma di euro 4.800, che aveva proposto ricorso ai sensi dell’art. 696 -bis c.p.c. e che il procedimento si era concluso con la stima per dette opere di euro 2.200, che nonostante l’invio di un telefax nel quale NOME aveva dichiarato di offrire tale somma nulla era stato pagato. L’attore chiedeva quindi di condannare il convenuto al pagamento di euro 4.800 o, in subordine, al pagamento della minore somma di euro 2.200, oltre interessi e rivalutazione monetaria. Si costituiva NOME COGNOME, contestando la fondatezza della domanda e poi offrendo banco iudicis , all’udienza, la somma di euro 2.200, che veniva trattenuta dall’attore in conto sul maggiore credito vantato. Il Tribunale di Lecce, con sentenza n. 675 dell’11 febbraio 2014, accertava che la somma dovuta all’attore ammontava ad euro 2.200 e dava atto che la somma era già stata corrisposta banco iudicis dal convenuto ed era già stata offerta ai sensi dell’art. 1220 c.c. prima della notifica dell’atto di citazione, che era pertanto evidente la soccombenza dell’attore in relazione alle spese del giudizio che venivano poste integralmente a suo carico.
La sentenza è stata impugnata da NOME COGNOME in relazione al mancato riconoscimento degli interessi e alla condanna alle spese; l’appellante sottolineava come NOME non avesse effettuato una valida offerta non formale con il telefax, in quanto non aveva messo alcuna somma a disposizione del creditore, e
come tale offerta non comprendesse in ogni caso gli interessi legali maturati sulla somma capitale; la sentenza impugnata aveva poi errato nel porre le spese a carico dell’attore, il quale era stato costretto ad agire in giudizio. Con la sentenza 30 ottobre 2017, n. 1133, la Corte d’appello di Lecce ha ritenuto fondato il gravame: al telefax non poteva essere attribuita natura di offerta non formale ai sensi dell’art. 1220 c.c., mentre la cessazione dell’obbligo di pagare gli interessi non poteva essere conseguita che con l’offerta reale formale, prevista dall’art. 1212 c.c. come fase del procedimento per realizzare la mora credendi ; ha quindi condannato NOME al pagamento degli interessi e a metà delle spese giudiziali di entrambi i gradi del processo.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ricorre per cassazione.
Resiste con controricorso NOME COGNOME.
Il ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in tre motivi.
Il primo motivo contesta ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c.’: la Corte d’appello è incorsa in un grave travisamento dei fatti, posto che ha omesso di considerare una circostanza dirimente, ritualmente dedotta nel corso del giudizio di appello e ribadita anche all’udienza di precisazione delle conclusioni, ovvero che solo in appello COGNOME ha chiesto la corresponsione degli interessi legali maturati sulla somma trattenuta a seguito di accettazione dell’offerta.
Il motivo è infondato. Come si legge nella ricostruzione del processo di primo grado effettuata dalla Corte d’appello alla pag. 2 della sentenza, COGNOME aveva sì chiesto la condanna del ricorrente a pagare euro 4.800 in via principale, ma in subordine la condanna del medesimo a pagare la minore somma di euro 2.200 oltre interessi, rivalutazione monetaria e spese di lite. La domanda
relativa al pagamento degli interessi è pertanto domanda che è stata proposta sin dall’atto introduttivo del giudizio di primo grado, così che la Corte d’appello non si è pronunciata su una domanda nuova.
Il secondo motivo denuncia ‘nullità della sentenza o del procedimento, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1220 c.c.’: la sentenza impugnata è da censurarsi laddove ha affermato che al telefax non può essere attribuita natura di offerta non formale.
Il motivo non può essere accolto. Ad avviso del ricorrente, con l’invio del telefax del 19 giugno 2007 era stata effettuata una offerta non formale ai sensi dell’art. 1220 c.c., a norma del quale il debitore non può essere considerato in mora, se tempestivamente ha fatto offerta della prestazione dovuta, anche senza osservare le forme indicate agli artt. 1206 e seguenti c.c., a meno che il creditore l’abbia rifiutata per un motivo legittimo. Come sottolinea la Corte d’appello, all’invio del telefax – che aveva il seguente testo ‘NOME COGNOME, che sottoscrive per ratifica, offre a saldo, stralcio e tacitazione di qualsivoglia pretesa creditoria avanzata in suo danno dalla RAGIONE_SOCIALE la somma omnicomprensiva di euro 2.200, con espresso avvertimento che la presente offerta formale è spiegata ai sensi e per gli effetti degli artt. 1207 e seguenti c.c. e che, conseguentemente, dalla data di ricezione dell’offerta medesima il creditore deve intendersi espressamente in mora’ non può essere riconosciuto il valore di offerta idonea ad escludere la mora del debitore. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ‘l’offerta non formale della prestazione esclude la mora del debitore, ai sensi dell’art. 1220 c.c., così preservandolo dalla responsabilità per il ritardo, solo se sia reale ed effettiva, e cioè abbia i caratteri della serietà, tempestività e completezza e consista nell’effettiva introduzione dell’oggetto della prestazione dovuta nella sfera di disponibilità del creditore nei luoghi indicati dall’art. 1182 c.c. per l’adempimento dell’obbligazione, in modo che
quest’ultimo possa aderirvi senza ulteriori accordi e limitarsi a ricevere la prestazione stessa’ (così Cass. n. 25155/2010, negli stessi termini v. anche Cass. n. 15352/2006 e Cass. n. 22734/2014). Nel caso in esame vi è stata una mera dichiarazione di disponibilità all’adempimento, perdipiù incompleta (in base alla norma di cui all’art. 1208 c.c., l’offerta del debitore deve infatti comprendere la totalità della somma dovuta, degli interessi e delle spese liquide, v. al riguardo Cass. n. 562/2000 e più di recente Cass. n. 27255/2017), né convince l’argomento del ricorrente secondo cui la serietà dell’offerta sarebbe dimostrata dal fatto che la somma è poi stata offerta e consegnata banco iudicis alla prima udienza del processo, trattandosi di comportamento successivo che non può quindi dimostrare la serietà e tempestiva di una precedente disponibilità all’adempimento.
3) Il terzo motivo contesta ‘contraddittorietà, illogicità e/o scarsa motivazione nella individuazione della soccombenza per le spese del giudizio’: la Corte d’appello, con provvedimento ‘manifestamente contraddittorio e illogico’, ha ulteriormente errato nello stabilire la soccombenza del ricorrente in relazione alle spese di lite; da un lato ha rilevato, così come ‘graniticamente acclarato sia dall’accertamento tecnico preventivo sia dal primo grado di giudizio, la assoluta sproporzione fra la somma richiesta dal creditore e la reale quantificazione economica delle opere eseguite’ e dall’altro lato ha ingiustamente condannato il ricorrente al pagamento della metà delle spese giudiziali dei due gradi di merito, quando invece controparte doveva essere condannata a pagare le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Il motivo non può essere accolto. Anzitutto il vizio denunciato di contraddittoria e insufficiente motivazione non è più denunciabile in cassazione a seguito della modifica del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. ad opera del d.l. n. 83/2012, convertito nella legge n. 134/2012 (v. al riguardo la pronuncia delle sezioni unite n. 8038/2018). Il vizio poi
non è neppure presente nella motivazione della sentenza impugnata, ove dalla premessa dell’accoglimento della domanda con importo inferiore a quello richiesto in via principale si è coerentemente dedotta la compensazione parziale delle spese dei due gradi del processo e il riconoscimento in favore di COGNOME della restante metà delle medesime. D’altro canto, come hanno precisato le sezioni unite nella pronuncia n. 3206/2022, ‘l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall’art. 92, comma 2, c.p.c.’. A diverse conclusioni non porta il rilievo del ricorrente che evidenzia la propria buona fede e la mala fede di controparte, alla luce della propria disponibilità a pagare la somma poi riconosciuta dal giudice e l’offerta della medesima, banco iudicis , nel corso del processo. È vero che, secondo l’art. 91, primo comma c.p.c., quando il giudice accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, proposta che la Corte costituzionale ha chiarito deve provenire dalla controparte (Corte cost. n. 268/2020). La stessa Corte costituzionale ha però osservato come l’art. 91 c.p.c. faccia salva l’applicazione dell’art. 92, comma 2 c.p.c., così consentendo all’autorità giudiziaria di compensare le spese del giudizio, il che appunto ha fatto la Corte d’appello nel caso in esame.
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente, che liquida in euro 1.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda