Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27375 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27375 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/10/2025
SENTENZA
sul ricorso n. 22624/2020 r.g. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, rappAVV_NOTAIOntati e difesi, giusta procura in atti, dallo AVV_NOTAIO, il quale dichiara di voler ricevere le notifiche e le comunicazioni relative al pAVV_NOTAIOnte procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso il suo studio.
-ricorrenti-
CONTRO
COMUNE RAGIONE_SOCIALE CATANZARO, in persona del legale rappAVV_NOTAIOntante pro tempore, rappAVV_NOTAIOntato e difeso dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, giusta mandato agli atti, i quali dichiarano di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative al pAVV_NOTAIOnte procedimento agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati.
-controricorrente-
ricorrente incidentale-
avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro n. 2234/2019, depositata il 20/11/2019.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/9/ 2025 dal AVV_NOTAIO COGNOMEAVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME agivano in giudizio dinanzi al Tar, con ricorso notificato il 5/12/2000, nei confronti del RAGIONE_SOCIALE di Catanzaro, per ottenere il risarcimento dei danni subiti dall’occupazione illecita del terreno di loro proprietà.
Con la delibera del Consiglio comunale n. 56 del 26/2/1986, con la successiva delibera della Giunta comunale n. 4128 del 6/12/1989 e con decreto del Presidente della Regione n. 1296 del 27/12/1989, veniva approvata la variante al PRG del RAGIONE_SOCIALE di Catanzaro (variante Spagnesi).
Tali delibere costituivano il presupposto della successiva delibera della Giunta comunale n. 3208 del 14/12/1988, con cui veniva approvato il progetto esecutivo per la costruzione di un istituto magistrale, ex art. 1, comma 4, della legge n. 1 del 1978.
I lavori dovevano iniziare entro un anno e terminare entro 3 anni; l’espropriazione doveva iniziare entro un anno e terminare in 5 anni.
Con decreto del Sindaco dell’11/3/1991 n. 1491 veniva autoriz -zata l’occupazione di urgenza per metri quadri 2230.
L’inizio dei lavori avveniva nel febbraio del 1992.
I lavori non erano terminati entro il terzo anno dall’approvazione del progetto (14/12/1988), quindi entro il 14/12/1991. Il decreto di esproprio veniva emesso il 2/3/1998.
Il Tar Calabria, con sentenza n. 494 del 16/4/1994, annullava i provvedimenti propedeutici alla delibera n. 3208 del 14/12/1998.
Di qui, l’esistenza di una occupazione usurpativa del terreno, con richiesta da parte degli attori del risarcimento del danno per illecita occupazione.
Il Tar Calabria, con sentenza del 1/3/2006 dichiarava il proprio difetto di giurisdizione.
Gli attori procedevano alla riassunzione del giudizio dinanzi al Giudice ordinario.
Nelle more gli attori pAVV_NOTAIOntavano opposizione alla stima dinanzi alla Corte d’appello, con iscrizione del ricorso nel R.G. n. 799 del 2003, a seguito di atto di citazione notificato il 30/5/2003.
Il Tribunale di Catanzaro, con sentenza n. 1469 del 2012, a seguito dell’espletamento della CTU affidata all’AVV_NOTAIO (che accertava la natura edificatoria dei terreni), dichiarava la litispendenza esclusivamente con riferimento alla domanda di opposizione alla stima per l’occupazione legittima.
Il Tribunale reputava sussistere l’ipotesi dell’occupazione usurpativa «spuria», in quanto le delibere di variante al PRG (variante Spagnesi) erano state annullate dal Tar con la sentenza n. 494 del 16/4/ 1994.
Non vi era stata dunque automatica acquisizione della proprietà del bene in favore della PA.
Il Tribunale condannava il RAGIONE_SOCIALE a pagare agli attori la somma di euro 172.754,83, computata in lire 150.000/mq, alla data del 5/ 12/2000.
Avverso tale sentenza proponeva appello il RAGIONE_SOCIALE di Catanzaro.
6.1. Con il primo motivo di impugnazione, l’appellante deduceva l’esistenza di proroghe per l’occupazione di urgenza, sicché era va-
lido il decreto di esproprio, anche in considerazione dell’intervenuta sentenza del Consiglio di Stato n. 7771 del 25/11/2003, che aveva annullato la sentenza del Tar Calabria n. 494 del 1994.
6.2. Con il secondo motivo di impugnazione l’appellante reputava che, in virtù della zonizzazione conformativa, i terreni non erano edificabili, essendo preclusi interventi edilizi da parte dei privati, stante la destinazione dei terreni ad edilizia scolastica.
6.3. Con il terzo motivo di impugnazione si chiedeva la restituzione delle somme già versate in favore dei privati.
La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza n. 2234/2019, pubblicata il 20/11/2019, accoglieva l’appello del RAGIONE_SOCIALE.
La Corte territoriale disponeva una prima CTU, in data 2/7/2013, affidata all’AVV_NOTAIO e, successivamente, in data 23/5/ 2016, una ulteriore CTU affidata al AVV_NOTAIO.
7.1. La Corte d’appello accoglieva il primo motivo di impugnazione articolato dal RAGIONE_SOCIALE, in quanto il decreto di espropriazione era stato emesso il 2/3/1998 in carenza di potere.
Sussisteva, dunque, un’ipotesi di occupazione usurpativa, ma per ragioni diverse da quelle indicate dal tribunale.
Infatti, la sentenza del Tar Calabria n. 494 del 1994 era stata riformata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 7771 del 25/11/ 2003.
Tuttavia, con l’approvazione del progetto esecutivo dell’opera pubblica, con la delibera n. 3208 del 14/12/1998, era stato previsto che i lavori dovevano iniziare non oltre il triennio dall’approvazione del progetto, ex art. 1, comma 3, della legge n. 1 del 1978.
In realtà, i lavori erano iniziati solo nel febbraio del 1992, essendo stati superati i tre anni.
Inoltre, erano stati superati anche i termini di cui all’art. 13 della legge n. 2359 del 1865; l’ultimo termine era stato fissato al 14/12/
1993, ossia 5 anni dalla data della delibera n. 3208, del 14/12/1988. I lavori erano stati ultimati il 27/7/1999 (pag. 15 della motivazione della sentenza della Corte di appello).
A tale data dovevano essere terminati sia i lavori, sia il procedimento espropriativo.
Non doveva tenersi conto del diverso termine dell’occupazione temporanea di urgenza.
7.2. Quanto alla destinazione urbanistica, la Corte territoriale fondava il proprio assunto sulla CTU redatta dall’AVV_NOTAIO, per il quale, mentre ai sensi del PRG il terreno rientrava nel tipo edilizio 22, zona edifici per uso pubblico, con la variante apportata il terreno rientrava tra gli edifici per istruzione superiore, zona F1, a destinazione scolastica.
Per il AVV_NOTAIO, poi, il valore del terreno era di euro 4,65 al metro quadrato per l’anno 2012, ma, tenendosi conto della giacitura pianeggiante, la somma doveva essere elevata ad euro 11,64 mal metro quadrato, per una somma complessiva di euro 25.957,20.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso principale per cassazione gli attori.
Ha proposto ricorso incidentale il RAGIONE_SOCIALE di Catanzaro, depositando anche memoria scritta.
Gli attori hanno proposto controricorso al ricorso incidentale del RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di ricorso principale gli attori deducono « Error in iudicando : erronea qualificazione giuridica ex art. 342 c.p.c., con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
Per i ricorrenti principali d’appello proposto dal RAGIONE_SOCIALE di Catanzaro era inammissibile, per assenza di specificità, ex art. 342 c.p.c.
Con il secondo motivo di impugnazione principale si deduce « Error in iudicando : violazione dell’art. 116 c.p.c., con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
La sentenza impugnata sarebbe erronea in quanto la Corte d’appello avrebbe proceduto alla rinnovazione della CTU, fondandosi sull’erronea qualificazione giuridica della natura non edificatoria del terreno.
La Corte d’appello avrebbe «interpretato in modo difforme una prova avente valore legale, con la conseguente erronea qualificazione di terreno non edificabile dai privati e la successiva minore valutazione economica del danno risarcibile».
Quanto affermato dalla Corte territoriale non corrisponderebbe a quanto deliberato dal RAGIONE_SOCIALE di Catanzaro, che con la delibera n. 3208 del 14/12/1988 aveva approvato «ai sensi dell’art. 1, 5º comma, della legge n. 1/78 e successive proroghe, variando l’area già destinata zona F 1 Istruzione superiore nella variante generale del PRG, adottata con deliberazione del C.C. n. 56/86 – in tipo edilizio n. 22, zona per edifici di uso pubblico del vigente PRG (Marconi)».
Si tratterebbe di documento avente valore di prova legale.
Pertanto, la destinazione urbanistica del suolo alla data dell’occupazione era quella della zona edilizia n. 22 del PRG Marconi, essendo pacifica l’edificabilità legale.
Con il terzo motivo di impugnazione si lamenta « Error in procedendo : omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.».
La Corte territoriale, sulla base dell’errore costituito dalla qualificazione del terreno con destinazione a zona F1 – Istruzione Superiore, ha disposto la rinnovazione della CTU.
In realtà, invece, il terreno doveva essere inserito nell’ambito della zona omogenea di tipo edilizio n. 22, che «non comportava, l’imposizione di un vincolo conformativo inibitorio e non escludeva che l’opera di uso pubblico prevista dal piano regolatore, (cinema), potesse essere realizzata per iniziativa privata ed è utilizzata come unità produttiva privata».
Con il quarto motivo di impugnazione ricorrenti deducono « Error in iudicando : violazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.».
La Corte d’appello ha ritenuto che la sentenza del Tar Calabria n. 494 del 16/4/1994 fosse stata riformata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 7771 del 25/11/2003.
Tuttavia, ad avviso dei ricorrenti, non sarebbe stata valutata la circostanza che la sentenza del Consiglio di Stato attiene ad altri soggetti, con impossibilità di estensione del giudicato.
Con il primo motivo di ricorso incidentale il RAGIONE_SOCIALE deduce « Error in iudicando : violazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per violazione delle circostanze fattuali e delle regole e dei principi di diritto sulla occupazione illegittima».
Sarebbe erronea l’affermazione della Corte d’appello laddove ha ritenuto che il decreto di esproprio sia stato emesso in carenza di potere, in quanto i lavori avevano avuto inizio dopo il termine di tre anni dall’approvazione del progetto.
La Corte territoriale ha dunque affermato che l’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità comportava che l’occupazione perpe-
trata oltre tale termine, con la trasformazione del fondo, doveva essere qualificata come usurpativa.
Non si sarebbe tenuto conto, però, del fatto che il decreto di occupazione d’urgenza è stato oggetto di numerose proroghe legali richiamate, anche per effetto retroattivo, dall’art. 4 della legge n. 166 del 1/8/2002.
Tali proroghe prorogherebbero automaticamente anche i termini della dichiarazione di pubblica utilità (si richiamano Cass., Sez. U, 8/ 2/2006, n. 2130; Cass., n. 3672 del 2014; Cass. n. 11481 del 2016; Cass., n. 10394 del 2012).
Con il secondo motivo di impugnazione incidentale si deduce « Error in procedendo ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio». La Corte d’appello ha accertato il valore del suolo alla data della domanda pAVV_NOTAIOntata dinanzi al Tar Calabria il 5/12/2000, quindi nel momento in cui gli attori hanno optato per il risarcimento dei danni.
In realtà, per i ricorrenti, il diritto al risarcimento è maturato con la determinazione delle attrici di optare per l’indennizzo risarcitorio in luogo della restituzione del bene, nel corso del giudizio dinanzi al Tribunale e non in quello davanti al Tar, dovendosi fissare la decorrenza del diritto al risarcimento con riferimento all’epoca della riassunzione del giudizio dinanzi al Tribunale, quindi al 25/10/2006.
Il primo motivo del ricorso principale è inammissibile.
7.1. Infatti, i ricorrenti, deducendo l’inammissibilità dell’appello proposto dal RAGIONE_SOCIALE di Catanzaro per assenza di specificità ex art. 342 c.p.c., avrebbero dovuto riportare, quanto meno per stralcio, il contenuto del gravame articolato dall’ente territoriale.
Per questa Corte, infatti, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – che trova la propria ragion d’essere nella necessità di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del
motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte – trova applicazione anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali siano contestati errori da parte del giudice di merito; ne discende che, ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., conseguente alla mancata declaratoria di nullità dell’atto di appello per genericità dei motivi, deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi formulati dalla controparte; l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo , presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dallo onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, proprio per assicurare il rispetto del principio di autosufficienza di esso (Cass., Sez. 1, 23/12/2020, n. 29495).
Va anche precisato che gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, ovvero la trascrizione totale o parziale della sentenza appellata, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua di-
versità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass., Sez. 63, 30/5/2018, n. 13535).
Va quindi affrontato il primo motivo di ricorso incidentale del RAGIONE_SOCIALE, relativo alla questione della natura dell’occupazione, se espropriativa oppure usurpativa.
8.1. Il motivo è fondato.
8.2. La Corte d’appello ha ritenuto trattarsi di occupazione usurpativa e non meramente espropriativa.
La Corte di merito ha ritenuto la natura usurpativa dell’occupazione, non in base alla tesi sostenuta dal giudice di prime cure, ma utilizzando altre e diverse argomentazioni.
Ed infatti, la Corte territoriale ha rilevato, innanzitutto, che la sentenza del Tar Calabria n. 494 del 16/4/1994, che aveva annullato le delibere comunali propedeutiche alla successiva delibera n. 3208 del 14/12/1988, era stata riformata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 7771 del 25/11/2003.
Pertanto, la natura usurpativa dell’occupazione non poteva trarsi dalla sentenza pronunciata dal Tar Calabria, riformata in sede d’appello.
Tuttavia, la natura usurpativa dell’occupazione è stata ricavata da due distinte ordini di ragioni.
10.1. Da un lato, infatti, si è evidenziato che con la delibera n. 3208 del 14/12/1988, adottata ai sensi dell’art. 1, comma 4 della legge n. 1 del 1978, era stato approvato il progetto esecutivo per la costruzione di un istituto magistrale, determinando l’inizio dei lavori in anni uno, la fine dei lavori in anni 3, l’inizio dell’espropriazione in anni uno e la fine dell’espropriazione in anni 5.
Si è fatto anche riferimento al decreto di autorizzazione all’occupazione di urgenza emesso dal sindaco con provvedimento n. NUMERO_DOCUMENTO dell’11/03/1991.
Tuttavia, l’inizio dei lavori era pacificamente avvenuto nel febbraio del 1992.
Per la Corte d’appello, però, l’art. 1, comma 3, della legge n. 1 del 1978 prevedeva che lavori dovessero iniziare non oltre il triennio dall’approvazione del progetto, sicché, nella specie, tale termine era inesorabilmente decorso.
10.2. Dall’altro lato, però, il Giudice di secondo grado ha aggiunto che vi è stata violazione anche dei termini di cui all’art. 13 della legge n. 2359 del 1865, in quanto l’ultimo termine era stato fissato in 5 anni, quindi al 14/12/1993, con riferimento alla delibera del 14/12/ 1988 («noltre va ancora osservato che il decreto di esproprio del 2 marzo 1998 è intervenuto anche oltre i termini di cui all’art. 13 della legge del 1865 n. 2359, fissati nel provvedimento di approvazione del progetto n. NUMERO_DOCUMENTO: la scadenza dell’ultimo di tali termini coincide infatti con la data del 14 dicembre 1993»).
Il decreto di esproprio è stato emesso con provvedimento n. 7327 del 2/3/1998.
Il termine di fine lavori era dunque anch’esso decorso, essendo stati ultimati i lavori il 27/7/1999 (p. 15 sentenza della Corte di appello).
Con l’ulteriore precisazione che a nulla rilevava il diverso termine dell’occupazione temporanea di urgenza, prorogato nel corso degli anni, non essendo utile a tal riguardo neppure l’art. 4 della legge n. 166 del 2002.
Per tale ragione – ad avviso della Corte d’appello – una volta scaduto il 14/12/1993 l’ultimo termine per il compimento delle espropriazioni e dei lavori previsto dall’art. 13 della legge n. 2359 del 1865, era ammissibile l’azione di risarcimento del danno esperita agli attori a tutela della proprietà per l’occupazione dell’immobile, ormai
divenuta senza titolo, con l’accertata irreversibile trasformazione dell’immobile fin dal 27/7/1999, data di ultimazione dei lavori.
La decisione della Corte d’appello si pone, però, in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte.
12.1. Si premette che si è in pAVV_NOTAIOnza di occupazione appropriativa (accessione invertita o espropriazione indiretta) quando vi è trasformazione irreversibile del fondo, con destinazione a opera pubblica o ad uso pubblico, in assenza di decreto di esproprio, con carattere di illecito, che si consuma alla scadenza del periodo di occupazione legittima, se nel frattempo l’opera pubblica è stata realizzata, ovvero al momento della trasformazione, nel caso in cui l’ingerenza nella proprietà privata abbia già carattere abusivo o se essa acquisti tale carattere perché la trasformazione medesima avviene dopo la scadenza del periodo di occupazione legittima; e ciò sempre che vi sia una dichiarazione di pubblica utilità che attesti la destinazione pubblicistica dell’opera (Cass., Sez. U, 6/5/2003, n. 6853; Cass., Sez. 1, 3/7/2024, n. 18222; Cass., Sez. 1, 23/5/2018, n 12846).
In materia di occupazione acquisitiva sono intervenute numerose pronunce della Corte costituzionale (Corte cost., n. 148 del 1999; n. 369 del 1995; n. 188 del 1995; n. 486 del 1991), oltre a varie pronunce della Corte EDU (Corte EDU, 5/9/2024, causa Giuffrè c. Italia; Corte EDU, 30/5/2000, Belvedere alberghiera c. Italia; Corte EDU; 9/2/2017, Messana c. Italia; Corte EDU, 28/6/2011, COGNOME e altri c. Italia).
Pertanto, le caratteristiche principali dell’occupazione appropriativa sono: l’esistenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità; l’avvenuta irreversibile trasformazione del fondo; l’assenza del decreto espropriativo.
In caso di occupazione acquisitiva, dopo la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 735 del 2015, è previsto il trasferimento della proprietà dal privato alla PA nel momento in cui il privato chieda il risarcimento del danno, in tal modo rinunciando al proprio diritto di proprietà.
12.2. L’occupazione è invece usurpativa nell’ipotesi in cui la dichiarazione di pubblica utilità manchi ovvero debba ritenersi giuridicamente inesistente, come nei casi in cui essa sia stata annullata dal Giudice amministrativo (espropriazione spuria) o sia carente dei suoi caratteri tipici, fra i quali la previsione dei termini richiesti dall’art. 13 della legge n. 2359 del 1865 o ancora sia divenuta inefficace, configurandosi in tal caso solo una mera occupazione-detenzione illegittima dell’immobile privato, inquadrabile nella responsabilità ex art. 2043 c.c., con le necessarie implicazioni in punto di esperibilità delle azioni reipersecutorie a tutela della non perduta proprietà del bene, con gli unici limiti insiti negli artt. 2058, 2º comma, e 2933, 2º comma, c.c. (Cass., Sez. U, 16/5/2003, n. 7643; 21/9/2004, n. 18916; Cass., Sez. 1, 27/7/2017, n. 18651).
Si ha peraltro occupazione usurpativa anche per i terreni nei quali nel corso dell’esecuzione dell’opera pubblica si sia verificato uno sconfinamento dalle aree legittimamente occupate, con un comportamento di mero fatto da parte dell’Amministrazione (Cass., 13/1/ 2010, n. 397; Cass., Sez. U, 16/3/2025, n. 7008; Cass., Sez. U, 19/ 02/2007, n. 3723).
13. Nella specie, proprio in ragione, sia del mancato rispetto del termine di inizio dei lavori, avvenuto oltre il triennio dall’approvazione del progetto esecutivo, sia per il superamento del termine ultimo fissato per l’esecuzione dei lavori, si sarebbe – in tesi – in pAVV_NOTAIOnza di una occupazione usurpativa.
14. Quanto ai termini di cui all’art. 13 della legge n. 2359 del 1865, previsti per il compimento delle espropriazioni e dei lavori, e ai termini fissati dal decreto di occupazione, ai sensi dell’art. 20 della legge n. 865 del 1971, essi assolvono a diverse funzioni nell’ambito della procedura espropriativa, i primi segnando il limite per la giuridica esistenza e validità della dichiarazione di pubblica utilità ed i secondi – relativi all’occupazione temporanea – riguardando l’apprensione del bene per l’inizio dei lavori ed il completamento delle procedure di espropriazione e dell’opera pubblica; con la conseguenza che l’inutile decorso del termine, non prorogato né modificato, previsto dalla dichiarazione di pubblica utilità comporta la sopravvenuta inefficacia del relativo provvedimento, anche indipendentemente dalla pAVV_NOTAIOnza di un più lungo termine previsto per l’occupazione temporanea e dalle successive proroghe di esso (Cass., Sez. 1, 21/10/ 2005, n. 20459; Cass., Sez. 1, 11/11/2003, n. 16907).
Pertanto, posto che la dichiarazione di pubblica utilità costituisce il necessario presupposto per l’espropriazione, e che la relativa dichiarazione, o comunque il provvedimento che ai sensi di legge le è equiparato, deve contenere i due termini per l’inizio dei lavori e della procedura espropriativa e i due termini per il relativo compimento, la scadenza di questi ultimi ne comporta l’inefficacia, conseguendone che l’attività espropriativa susseguente è esplicata in carenza di potere, a nulla rilevando che non sia ancora scaduto il periodo di occupazione (Cass., Sez. U, 26/4/2007, n. 10024).
15. Con la precisazione che l’espropriazione per pubblica utilità (c.d. espropriazione appropriativa) è illegittima al pari dell’occupazione usurpativa, in cui manca la dichiarazione di pubblica utilità, ravvisandosi in entrambi i casi un illecito a carattere permanente, inidoneo a comportare l’acquisizione autoritativa alla mano pubblica del bene occupato, che viene a cessare solo per effetto della restitu-
zione, di un accordo transattivo, della compiuta usucapione da parte dell’occupante che lo ha trasformato, ovvero della rinunzia del proprietario al suo diritto, implicita nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente (Cass., Sez. 1, 29/9/2017, n. 22929; Cass., Sez. U, n. 735 del 2015).
16. Deve, però, osservarsi che in tema di espropriazione per pubblica utilità, ai fini di quanto stabilito dall’art. 13 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, solo la scadenza del termine finale per il compimento dei lavori ha carattere perentorio, dovendo a tutti gli altri termini attribuirsi, invece, efficacia ordinatoria. Una tale interpretazione risulta avallata dall’art. 4 della legge 1 agosto 2002, n. 166, il quale – nel prevedere che le proroghe dei termini di scadenza delle occupazioni di urgenza, stabilite dalle varie disposizioni di legge succedutesi in materia, coordinate tra loro nelle scadenze, si intendono, con effetto retroattivo, riferite anche ai procedimenti espropriativi in corso alle scadenze previste dalle singole leggi e si intendono efficaci anche in assenza di atti dichiarativi delle amministrazioni procedenti – riferisce l’effetto di proroga anche ai connessi procedimenti espropriativi, compreso il termine per l’emissione del decreto di esproprio (Cass., Sez. U, 8/2/2006, n. 2630).
Si è chiarito successivamente che le proroghe dei termini di scadenza delle occupazioni di urgenza stabilite da varie disposizioni di legge (nella specie, l’art. 22 della l. n. 158 del 1991) e di cui all’art. 4 della l. n. 166 del 2002 si applicano, con effetto retroattivo, anche ai procedimenti espropriativi in corso alle scadenze previste dalle singole leggi e si intendono efficaci anche in assenza di atti dichiarativi delle Amministrazioni precedenti, deponendo in tal senso sia la lettera della norma – che, con l’avverbio “anche” («…riferite anche…»), manifesta l’intento del legislatore ad estendere gli effetti delle proroghe precedentemente disposte oltre i confini segnati ai
termini di scadenza delle sole occupazioni d’urgenza – sia la ” ratio legis “, essendo diversamente inconcepibile il legittimo perdurare di un regime occupatorio temporaneo senza il corrispondente slittamento dei termini utili per l’emissione del decreto definitivo di esproprio (Cass., Sez. 1, 3/6/2016, n. 11481; v. anche Cass., Sez. 1, 21/ 6/2012, n. 10394).
Si è ulteriormente evidenziato che a norma dell’art. 23 della legge 20 maggio 1991 n. 158, interpretato alla luce dell’art. 4 della legge 1 agosto 2002 n. 166, sono prorogati di un biennio anche i procedimenti espropriativi in corso alle scadenze previste dalle singole leggi, con effetto dal giorno 1 gennaio 1991, a ciò non essendo di ostacolo la circostanza che nel frattempo il termine finale dell’occupazione in corso fosse già scaduto e che l’opera pubblica fosse già stata interamente eseguita (Cass., Sez. 1, 17/2/2014, n. 3672).
Restano, dunque, assorbiti i restanti motivi di ricorso principale ed il secondo motivo di ricorso incidentale.
La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso principale, accoglie il primo motivo di ricorso incidentale, dichiara assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23 settembre 2025
Il Presidente NOME COGNOME