Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7580 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 7580 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21509/2021 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 598/2021 depositata il 26/01/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
1. Il Tribunale di Latina, dichiarata la giurisdizione dell’autorità giurisdizionale ordinaria, in accoglimento della domanda proposta dal Comune di Fondi nei confronti di NOME COGNOME, condannava quest’ultimo a pagare all’amministrazione attrice a titolo di risarcimento danni ex art. 2043 c.c. per l’illegittima occupazione di un terreno demaniale gravato dall’uso civico di Selva Vetere la somma complessiva di € 58.662,55, oltre spese legali, ponendo a definitivo carico del COGNOME quelle occorse per la CTU.
La domanda proposta dall’attore, volta all’accertamento della insussistenza del diritto del Comune di Fondi di richiedere somme a titolo risarcitorio e/o indennitario per l’occupazione di fondi rustici gravati da usi civico, siti in località Selva Vetere, era, invece, infondata. Il Comune, quale ente esponenziale RAGIONE_SOCIALE interessi delle popolazioni amministrate, aveva legittimazione sostanziale e processuale a far valere i diritti appartenenti a dette collettività, quale era nella specie il diritto al risarcimento del danno derivante dall’occupazione di terreno appartenente al demanio di uso civico, oggetto di specifica domanda riconvenzionale.
La natura demaniale del terreno e l’occupazione dello stesso da parte del COGNOME erano circostanze incontroverse e l ‘ occupazione indebita di un terreno di natura demaniale costituiva un fatto ingiusto ai sensi dell’art. 2043 c.c. ed obbligava al risarcimento dei danni consistenti nella sottrazione del bene alla fruizione collettiva in conformità alla sua natura. L’assunto della
convenuta di avere posseduto il terreno in buona fede non era condivisibile, in quanto gli occupanti di terre soggette ad usi civici andavano reputati possessori di mala fede in base a giurisprudenza consolidata. Il possesso di un bene demaniale, se non autorizzato in via amministrativa, era illegittimo e quindi di mala fede, non rilevando in contrario la durata pluriennale del possesso, né il fatto che il bene fosse in ipotesi suscettibile di legittimazione, né la circostanza che l’occupante vi avesse apportato migliorie. La controversia apparteneva alla giurisdizione ordinaria, non venendo in considerazione l’accertamento della qualitas soli, bensì unicamente il diritto del Comune ad ottenere il risarcimento del danno da abusiva occupazione dell’area demaniale mentre del tutto irrilevante era la domanda di legittimazione avanzata dall’attore ai sensi della L. 1766/1927, in quanto, sino al conseguimento del provvedimento di legittimazione, l’occupazione restava abusiva.
L’eccezione di prescrizione, avanzata dal l’ attore a fronte della pretesa azionata dal Comune in via riconvenzionale, era tardiva ed inammissibile, essendo stata sollevata soltanto in sede di CTU. in relazione al quantum debeatur, il AVV_NOTAIO aveva accertato la consistenza e la destinazione urbanistica dei terreni e delle costruzioni ivi rinvenute, valutando, altresì, in detrazione le migliorie apportate, determinando il valore della indennità annua per occupazione indebita in percentuale del 3% sul valore dei terreni ed applicando, ove dovuto, l’abbattimento del 50% derivante da delibera di G.M. 170/2003 per il periodo di diciotto anni 1995-20 12. Il danno derivante dalla illegittima occupazione dei fondi andava pertanto determinato in € 46.414,35 alla data della CTU, somma alla quale andava aggiunto quanto dovuto a
titolo di risarcimento del danno per le annualità successive maturate dopo il 2012 sino all’attualità, per un totale complessivo di € 58.662,55 .
NOME COGNOME proponeva appello avverso tale pronuncia.
Il Comune RAGIONE_SOCIALE Fondi resisteva all’impugnazione.
La Corte d’Appello di Roma rigettava il gravame. In primo lugo dichiarava inammissibili alcune censure in relazione all’art. 342 c.p.c. perché frammiste ad una caotica ricostruzione dei fatti di causa, per lo più mutuata dal contenuto della comparsa conclusionale di primo grado e senza alcun confronto con la sentenza impugnata e in mancanza di specifici rilievi mossi alla stessa.
Dunque, esaminava l’atto di appello nelle sole parti in cui poteva individuare censure specifiche alla pronuncia impugnata. Quanto alla mancata ammissione di prova orale con reiterazione della richiesta in appello, la doglianza era doppiamente da disattendersi, innanzi tutto perché contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, la prova testimoniale era stata ammessa dal giudice di primo grado con ordinanza del 23/11/2009 ed anche espletata, in secondo luogo perché le istanze istruttorie (per i capitoli non ammessi) erano inammissibili ex art. 345 c.p.c., in quanto non espressamente ribadite all’udienza di precisazione delle conclusioni. Quanto al difetto di competenza giurisdizionale del giudice adito, sul rilievo che la domanda riconvenzionale avrebbe dovuto essere proposta dinanzi al Commissario RAGIONE_SOCIALE la doglianza era innanzi tutto inammissibile, perché non prendeva in nessuna considerazione il percorso motivazionale
compiuto dal primo giudice sul punto. Inoltre, era in ogni caso infondata nel merito e andava condiviso sul punto quanto ritenuto dal primo giudice, essendo la giurisdizione del Commissario agli Usi RAGIONE_SOCIALE limitata alle sole controversie relative all’accertamento della qualitas soli dei terreni, mentre nel caso di specie si trattava di terreni pacificamente assoggettati ad uso civico.
Lo stesso per il terzo motivo di appello – concernente la domanda di legittimazione ex lege n. 1766 del 1927 -che era prima di tutto inammissibile per le ragioni in premessa enunciate, trattandosi di domanda apodittica, inidonea a scalfire il percorso motivazionale della sentenza impugnata e, inoltre, anche infondato dovendosi condividere quanto affermato dal primo giudice circa il fatto che la legittimazione ha efficacia solamente ex nunc e che nella specie tale provvedimento amministrativo non risultava intervenuto e ciò anche a prescindere da quanto sostenuto dal Comune appellato in merito alla giuridica impossibilità per il COGNOME di ottenerlo, ai sensi dell’art. 9 della L. 1766/1927, a cagione dell’abusiva ed illecita trasformazione urbanistica del terreno, con conseguente illegittimo mutamento di destinazione d’uso dello stesso.
La quarta ragione di doglianza atteneva alla CTU che secondo l ‘ appellante era erronea e contraddittoria, essenzialmente in quanto il Consulente avrebbe reputato avvenuta la modificazione urbanistica dei terreni per effetto della edificazione delle costruzioni ed inoltre in quanto non avrebbe stabilito l ‘entità del risarcimento dovuto in misura pari a quanto richiesto in genere dall’autorità amministrativa ai soggetti che avanzano domanda di legittimazione. Entrambe le censure erano infondate. Il CTU nel
quantificare l ‘ entità dei danni, aveva condivisibilmente tenuto conto della destinazione d’uso e della abusiva trasformazione edilizia dei terreni con i fabbricati realizzati, rapportando gli stessi all’effettivo utilizzo del terreno usurpato. Si trattava, infatti, di un vasto complesso di terreni con sovrastanti molteplici costruzioni, ubicati in prossimità del mare, recintati e trasformati in proprietà esclusiva, mutati quindi nella loro destinazione agricola. In secondo luogo, avendo la domanda riconvenzionale del Comune ad oggetto il risarcimento danni per arbitraria occupazione di terreni demaniali, la consulenza non poteva che essere finalizzata alla quantificazione dello stesso; né il giudice avrebbe potuto chiedere al CTU la determinazione di “un indennizzo spettante ai sensi di legge per la legittimazione .. “, atteso che l’istituto della legittimazione e la determinazione del canone relativo rientravano nella competenza dell’autorità amministrativa. Inammissibile doveva poi ritenersi l’asserita esistenza del contratto di concessione per la particella 244, trattandosi di assunto mai dedotto in primo grado e, comunque, non rilevato dal CTU. Del tutto irrilevante era, infine, la circostanza che il perito demaniale NOME AVV_NOTAIO (la quale era stata chiamata dal Comune ad operare le valutazioni del risarcimento) fosse stata sostituita nell’incarico a suo tempo ricevuto a seguito della scadenza del proprio mandato, considerato che il Tribunale aveva fondato la propria decisione non già sulla determinazione del perito comunale, ma su quelle del CTU. In conclusione, non risultava che alcuna delle particelle occupate dal COGNOME fosse stata fatta oggetto di legittimazione, né che fossero stati corrisposti canoni, non potendosi confondere l’azione di risarcimento promossa dal Comune con il canone enfiteutico di
cui all’art. 10 della legge n. 1766 del 1927, da determinarsi con apposita istruttoria amministrativa regionale in sede di procedimento di legittimazione dei terreni. Doveva, dunque, rigettarsi la richiesta di rinnovazione della CTU, mediante la quale l’appellante mirava ad ottenere la determinazione del l’ indennizzo/risarcimento sulla base di parametri estimativi attinenti ai canoni dovuti in ipotesi di legittimazione. Infine, con il motivo concernente la violazione RAGIONE_SOCIALE artt. 8-9-10 l. n.1766/1927, veniva proposta la questione della mancata applicazione della normativa sugli usi civici con particolare riferimento all’istituto della legittimazione. Il motivo era inammissibile ex art. 342 e 345 c.p.c. perché generico e nuovo, nonché perché questione non rientrante nella giurisdizione ordinaria. Come già incidentalmente affermato dal giudice di primo grado in sede di rigetto dell’eccezione di difetto di giurisdizione, l’eventuale pendenza della domanda di legittimazione non faceva venire meno l’abusività e la mancanza di titolo dell’occupazione arbitraria. In vero per giurisprudenza costante “l ‘ occupazione senza titolo del demanio civico è legittimata, ex nunc, solo nel caso di emissione del provvedimento, di natura concessoria, di cui all’art. 9 L. 1766/1927 all’esito del relativo procedimento amministrativo (Cass. s. u. 4434/1984, 19792/2011). In pendenza di detto procedimento l’occupante permane quindi in una situazione d’illiceità tanto che può essere esercitata la tutela risarcitoria e, secondo la giurisprudenza amministrativa, può essere anche disposta, in via di autotutela, la reintegrazione del suolo demaniale in favore del Comune (cfr. Consiglio di Stato n. 124511998). La decisione del Tribunale di Latina risultava quindi del tutto conforme a logica giuridica,
dovendosi ritenere all’evidenza illegittimo il possesso di un bene demaniale fin quando non ne sia dichiarata la legittimazione in via amministrativa, a nulla rilevando la durata pluridecennale del possesso, né il fatto che il bene potesse essere legittimabile, né la circostanza che vi fossero state apportate migliorie da parte dell’occupante.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza.
Il Comune di Fondi ha resistito con controricorso.
Questa Corte ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
A seguito di tale comunicazione, la parte ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso.
Fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ. entrambe le parti, con memoria depositata in prossimità dell’udienza , hanno insistito nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione del principio del contraddittorio ai sensi dell’art. 101 c.p.c.
Per l’appello proposto dal COGNOME avanti la Corte di Appello di Roma, iscritto il 28.12.2017, la prima udienza veniva differita al 1.06.2018. Alla suddetta udienza del 1.06.2018 veniva, altresì, discussa la istanza di sospensiva che la Corte respingeva, rinviando la causa per la precisazione delle conclusioni e la lettura della sentenza ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c. all’udienza del 15 gennaio 2021. Con provvedimento del Presidente – Prima Sezione
Civile – del 5.11.2020 la suddetta udienza veniva fissata in modalità cartolare ai sensi dell’art. 83 di n.18/2020 conv. con modifiche nella L. 27/2020 e l’art.221 D.L. n.34/2020. Quindi, la parte appellante depositava note di trattazione scritta insistendo nelle richieste istruttorie e precisando le conclusioni con richiesta di concessione dei termini per il deposito delle memorie conclusionali e di replica ex art.190 del cpc. Così anche la difesa del Comune di Fondi depositava note di trattazione scritta precisando le conclusioni, ma introducendo una nuova domanda di condanna dell’appellante “sempre a titolo di risarcimento, al pagamento delle ulteriori annualità maturate e successive alla pubblicazione della sentenza impugnata (da ottobre 2017 all’attuale) secondo la quantificazione effettuata dal CTU, perdurando lo stato di occupatore senza titolo dei terreni oggetto di causa .
Nel caso, dato atto che la udienza di discussione orale della causa ai sensi dell’art. 281 sexies del c.p.c. è stata celebrata in modalità cartolare, con il deposito di note telematiche, parte appellante non è stata messa nelle condizioni di controdedurre sulla domanda nuova ed inammissibile della parte appellata, avanzata solo nelle suddette note depositate al fascicolo telematico.
Al fine di garantire il contraddittorio la Corte avrebbe dovuto rinviare la discussione per consentire alla difesa dell’allora appellante di prendere puntuale posizione sulla suddetta domanda nuova e tardiva nel rispetto del principio del contraddittorio.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: illogicità o carenza di motivazione sulla doglianza relativa alla condanna alle spese nella sentenza di primo grado impugnata. Violazione dell’art.2233 del c.c. e dell’art. 92 e ss. c.p.c.
Con la sentenza di primo grado, l’allora attore è stato condannato a pagare per le sole spese di lite la somma complessiva, comprensiva RAGIONE_SOCIALE accessori di legge, di € 11.543,84 (oltre al costo della CTU di euro 3.317,72).
Secondo parte ricorrente sarebbe di tutta evidenza la abnormità della decisione in quanto a fronte di 170 euro di spese si riconosce quasi 8000,00 euro di onorari che con gli accessori di legge arrivano ad una somma complessiva di € 11.543,84.
La Corte non è entrata nel merito della impugnazione su tale aspetto facendo riferimento ad una specifica indicazione di singole voci che non trova alcun fondamento in quanto la sproporzione e la abnormità nella condanna in questione sarebbe del tutto evidente dovendo seguire un criterio di proporzionalità e ragionevolezza ex art.2233, secondo comma, c.c., tenendo conto delle spese documentate o l’impegno professionale profuso.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art.342 c.p.c. e RAGIONE_SOCIALE artt. 115 e 116 c.p.c. omesso esame integrale dell’atto di appello e della produzione documentale. violazione l. n. 1766 del 1927. Omessa pronuncia sulle contestazioni alla ctu sull’omessa indicazione dell’iter logic oargomentativo nella determinazione della indennità risarcitoria riconosciuta al Comune di Fondi.
La Corte di Appello ha respinto anche il quarto motivo di appello relativo alla CTU con erronea valutazione delle risultanze rispetto ai dati raccolti e alla situazione di fatto accertata e senza esplicare in maniera chiara i criteri di valutazione della quantificazione del danno. In particolare, non sarebbe stato sufficientemente spiegato il coefficiente di valore dei terreni che il
CTU ha stabilito in € 7,50 e la Corte si è limitata ad acquisire tale dato. La CTU sarebbe del tutto carente in merito ai criteri di determinazione non solo della indennità risarcitoria spettante al Comune, ma anche nella valutazione delle migliorie apportate ai terreni oggetto del giudizio. La Corte avrebbe anche del tutto omesso di esaminare la consulenza di parte a firma del geom. NOME COGNOME con i relativi allegati
La proposta di definizione del giudizio formulata ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c. è di inammissibilità e/o manifesta infondatezza del ricorso avverso pronuncia di accoglimento di usucapione (doppia conforme), per le seguenti ragioni:
inammissibilità e/o manifesta infondatezza del ricorso avverso pronuncia di accoglimento di domanda di condanna al pagamento dell’indennità di occupazione di area demaniale (doppia conforme).
primo motivo: inammissibile, o comunque manifestamente infondato, in quanto con esso si contesta la violazione dell’art. 281 -sexies c.p.c., poiché la Corte di Appello avrebbe fissato l’udienza di discussione con modalità cartolari, così impedendo al ricorrente di controdedurre in relazione alla domanda nuova che il Comune di Fondi avrebbe introdotto soltanto con le note di trattazione scritta depositate per l’udienza. Tale domanda avrebbe avuto ad oggetto il pagamento dell’indennità di occupazione anche per le annualità successive all’inizio della causa. La censura non considera che detta domanda è stata espressamente disattesa dalla Corte distrettuale (cfr. pag. 10 della sentenza impugnata): di conseguenza, il ricorrente non ha interesse all’impugnazione, n on ravvisandosi alcuna sua soccombenza, sul punto, e dovendosi ribadire il principio
secondo cui che ‘L’interesse ad agire richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice poiché il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per l’attore senza che siano ammissibili questioni di interpretazioni di norme, se non in via incidentale e strumentale alla pronuncia sulla domanda principale di tutela del diritto ed alla prospettazione del risultato utile e concreto che la parte in tal modo intende perseguire’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28405 del 28/11/2008; Rv. 605612; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 15355 del 28/06/2010, Rv. 613874; Cass. Sez. 6-L, Ordinanza n. 2051 del 27/01/2011, Rv. 616029; Cass. Sez. L, Sentenza n. 6749 del 04/05/2012, Rv. 622515). Infatti ‘… il processo non può essere utilizzato solo in previsione della soluzione in via di massima o accademica di una questione di diritto in vista di situazioni future o meramente ipotetiche’ (Cass. Sez. L, Sentenza n. 27151 del 23/12/2009, Rv. 611498).
Secondo motivo: inammissibile, o comunque manifestamente infondato, in quanto con esso si contesta la statuizione con cui la Corte di Appello ha rigettato, ritenendola generica, la censura proposta dall’odierno ricorrente in relazione alla ‘abnormità’ dell a condanna alle spese disposta dal giudice di prima istanza. La censura non contiene alcuna indicazione di erronea applicazione di uno scaglione di valore della tariffa in vigore, né indica quale sarebbe stato, in ipotesi, lo scaglione corretto da applicare, ma si limita a censurare, in modo generico, il quantum delle spese riconosciuto dal primo giudice. Né ha alcun rilievo l’argomento
secondo cui, a fronte di spese vive per € 170, sarebbero stati liquidati onorari nella misura di € 8.000, perché non si ravvisa alcuna correlazione tra le due voci, la prima delle quali mira a tenere indenne la parte vittoriosa delle anticipazioni, mentre la seconda è parametrata all’attività svolta dal difensore ed alla complessità della causa trattata.
Terzo motivo: inammissibile, o comunque manifestamente infondato, in quanto con esso si lamenta l’omesso esame dell’atto di appello e della produzione documentale ad esso acclusa. In disparte la considerazione che il contenuto dell’atto di impugnazione è stato esaminato dalla Corte di Appello, che lo ha rigettato, ritenendolo infondato, va evidenziato che nel caso di specie si configura una ipotesi di cd. doppia conforme, con conseguente preclusione della deducibilità del vizio di cui all’art. 360, primo co mma, n. 5, c.p.c. Inoltre, va evidenziato che l’omesso esame denunziabile in Cassazione, a tutto voler concedere, deve riguardare un fatto storico considerato nella sua oggettiva esistenza, ‘… dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo’ (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17761 del 08/09/2016, Rv. 641174; cfr. anche Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 2805 del 05/02/2011, Rv. 616733). Non sono quindi ‘fatti’ nel senso indicato dall’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi
alternative, ed infine neppure le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio.
La censura, dunque, si risolve nella contrapposizione, alla ricostruzione del fatto e delle prove prescelta dal giudice di merito, di una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. NUMERO_DOCUMENTO). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez.
1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).
Nel caso di specie, infine, la motivazione della sentenza impugnata non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico -argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
Il ricorrente con la memoria depositata dal nuovo difensore si limita a ribadire i motivi di ricorso insistendo nella richiesta di accoglimento RAGIONE_SOCIALE stessi.
Il collegio condivide le conclusioni formulate dal consigliere delegato nella comunicazione di possibile inammissibilità o manifesta infondatezza del ricorso e osserva che, con la memoria seguita alla richiesta di decisione, il ricorrente non ha offerto alcuna argomentazione che possa suggerire una diversa soluzione.
La proposta, peraltro, è ampiamente motivata con una precisa indicazione della giurisprudenza di legittimità che si attaglia al caso di specie, sicché è sufficiente richiamare le motivazioni ivi espresse sia in relazione al difetto di interesse a proporre la censura di cui al primo motivo, peraltro manifestamente infondata, sia con riferimento alla censura relativa alla liquidazione delle spese, che, infine, alla inammissibilità del terzo per motivo per il ricorrere di un’ipotesi di c.d. ‘doppia confor me’.
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
9. Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna del ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge in favore della cassa delle ammende.
10. Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Comune di Fondi, parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3500,00 (tremilacinquecento) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge; condanna altresì il ricorrente, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore liquidata in euro 3500,00 (tremilacinquecento), nonché al pagamento della somma di euro 3000,00 (tremila) in favore della cassa delle ammende;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione