Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19620 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 19620 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/07/2025
SENTENZA
sul ricorso 16849-2021 proposto da: COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME e COGNOME rappresentati e difesi da ll’avv. COGNOME
– ricorrenti –
contro
COMUNE DI PALERMO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso da ll’avv. NOME COGNOME
-controricorrente –
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE (I.A.C.P.) DELLA PROVINCIA DI PALERMO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 1939/2020 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata in data 28/12/2020
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
udito il Procuratore Generale, nella persona del Sostituto dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 14.1.2014 COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME COGNOME evocavano in giudizio il Comune di Palermo e l’Istituto Autonomo delle Case Popolari della Provincia di Palermo innanzi il Tribunale di Palermo, invocandone la condanna al risarcimento del danno da occupazione sine titulo di alcuni immobili, di proprietà degli attori, che erano stati inseriti in un progetto di esproprio interessante l’area della cd. Kalsa di Palermo, senza tuttavia che gli atti inerenti alla detta procedura fossero mai stati notificati agli attori stessi, i quali pertanto non avevano ricevuto, a differenza degli altri proprietari di immobili ricadenti nel detto progetto, alcun indennizzo a fronte della perdita della proprietà delle aree interessate all’interve nto di riqualificazione. Gli attori deducevano, in particolare, che gli immobili di loro proprietà erano loro pervenuto per successione di COGNOME e COGNOME
NOME, che con distinti atti del 1946 e del 1952 li avevano a suo tempo acquistati dai rispettivi proprietari, in condizione diruta, a fronte dei bombardamenti avvenuti nel corso del secondo conflitto bellico mondiale.
Nella resistenza dei convenuti, che eccepivano, tra l’altro, la mancata dimostrazione, da parte degli attori, della loro qualità di eredi, il Tribunale, con sentenza n. 957 del 2914, rigettava la domanda, ritenendo, per l’appunto, non dimostrata la predett a qualità. Inoltre, il Tribunale osservava che, anche a voler ritenere sussistente la legittimazione degli attori, quest’ultimi non avevano dato la prova della proprietà dei beni oggetto di causa, in quanto con gli atti del 1946 e del 1952 erano stati acquistati non già dei fabbricati, ma delle aree dirute a seguito dei bombardamenti, e dunque i cespiti immobiliari interessati dall’esproprio erano oggettivamente diversi da quelli a suo tempo acquistati dai danti causa dei medesimi attori.
Con la sentenza impugnata, n. 1939/2020, la Corte di Appello di Palermo rigettava il gravame interposto dagli odierni ricorrenti avverso la decisione di prime cure, ritenendo che, a prescindere dalla prova della qualità di eredi, comunque la domanda fosse infondata nel merito, posta la diversità degli immobili interessati dall’esproprio rispetto a quelli oggetto degli acquisti del 1946 e del 1952 e la conseguente mancanza di prova della proprietà dei beni asseritamente occupati sine titulo dagli appellati.
Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME affidandosi a cinque motivi.
Resistono con separati controricorsi il Comune di Palermo e l’Istituto Autonomo delle Case Popolari della Provincia di Palermo .
In prossimità dell’udienza pubblica, il P.G. ha depositato requisitoria scritta, insistendo per l’accoglimento del ricorso, ed il controricorrente I.A.C.P. ha depositato memoria.
E’ comparso all’udienza pubblica il P.G., nella persona del sostituto dott. NOME COGNOME il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. ed omessa pronuncia sul primo motivo di appello, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe del tutto omesso di pronunciarsi sulla questione della prova della qualità di eredi, che gli odierni ricorrenti deducono di aver ritualmente fornito, mediante produzione, in uno al verbale di udienza del 17 gennaio 2017, del certificato storico anagrafico.
Con secondo motivo, i ricorrenti denunciano invece la violazione o falsa applicazione degli artt. 934 c.c. e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto non conseguita la prova della proprietà, in capo agli odierni ricorrenti, dei beni oggetto di causa, sul presupposto che quanto a suo tempo acquistato dai danti causa dei COGNOME fosse, sostanzialmente, un immobile oggettivamente diverso da quello sottoposto alla procedura espropriativa posta in essere dal Comune di Palermo e dall’I.A.C.P. di Palermo.
Con il terzo motivo, i ricorrenti contestano la violazione o falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 2729 c.c., nonché l’ omesso esame di fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe trascurato di considerare la documentazione prodotta agli atti del giudizio, ed in particolare le
osservazioni critiche alla C.T.U. depositate il 20.11.2016, le note dei CC.TT.PP. del 9.7.2013 e le note a verbale dell’udienza del 17.1.2017.
Con il quarto motivo, i ricorrenti si dolgono della violazione o falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 2729 c.c., nonché dell’ omesso esame di fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte palermitana avrebbe denegato qualsiasi valenza probatoria alla nota dell’arch. Raffo del 7.11.2002 .
Ed infine, con il quinto ed ultimo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché nonostante la ricorrenza di gravi ed eccezionali ragioni, vista l’incertezza della fattispecie, la Corte di merito avrebbe posto le spese ad esclusivo carico degli odierni ricorrenti.
Per motivi di ordine logico va esaminato con priorità il secondo motivo, che è fondato.
La Corte di Appello ha ritenuto che gli immobili acquistati nel 1946 e nel 1952 dai danti causa degli odierni ricorrenti ‘… fossero comunque diruti e comunque totalmente danneggiati dagli eventi bellici, mentre gli immobili di cui gli appellanti hanno lamentato l’illegittima occupazione sono totalmente diversi, risultando proprio dalla documentazione dagli stessi richiamata già ristrutturati senza che peraltro risulti in alcun modo né tantomeno gli appellanti abbiano mai chiesto di provare, la esecuzione dei lavori da parte dei propri danti causa. Tale accertamento omesso risultava tuttavia necessario, dovendosi tener conto che, affinché sussista l’identità del fabbricato ricostruito rispetto a quello originario diruto, non è sufficiente che si dimostri che l’immobile, in parte crollato o demolito, sia esistente, ma è necessario che si dimostri la corrispondenza di quello attuale rispetto al precedente’ (cfr. pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata). Di seguito,
la Corte distrettuale richiama la differenza tra ristrutturazione e nuova costruzione, e conclude affermando che ‘L’attività di ricostruzione su ruderi non rientra nella nozione di ristrutturazione edilizia, ma costituisce sempre una nuova costruzione, dovendosi considerare i ruderi privi di ogni consistenza e quindi alla stregua di un’area non edificata’ (cfr. ancora pag. 5). Dunque, la domanda proposta dagli odierni ricorrenti è stata rigettata perché ‘Gli appellanti invero hanno dedotto l’occupazione abu siva di costruzioni non più sussistenti alla data di acquisto degli immobili da parte dei loro danti causa, senza tuttavia rivendicarne l’area di sedime, la quale risulta essere stata (anche) oggetto di acquisto da parte di questi ultimi’ (cfr. pag. 6 della sentenza).
La Corte distrettuale è incorsa in plurimi errori di diritto.
Da un lato, ha fatto derivare il rigetto della domanda dalla ravvisata diversità dell’immobile oggetto della contestata occupazione senza titolo, rispetto a quello diruto oggetto degli acquisti del 1946 e del 1952, affermando che ai fini dell’accoglimento della pretesa risarcitoria occorresse la prova dell’identità del fabbricato occupato rispetto a quello originariamente acquistato. In tal modo, il giudice di appello ha confuso la questione della consistenza del cespite, e della natura degli interventi realizzati sullo stesso (rilevanti, di per sé, ai fini dell’applicazione della normativa in tema di distanze, o in relazione alla necessità di titoli autorizzativi per l’esecuzione delle opere di trasformazione) con il profilo dell’appartenenza dell’area espr opriata. L’unico profilo che avrebbe dovuto essere indagato, infatti, era quello della sussistenza, in atti, della prova dell’appartenenza dell’area oggetto di esproprio in capo agli odierni ricorrenti.
Dall’altro lato, in relazione alla prova della proprietà, la Corte di merito ha ulteriormente confuso il criterio di cui all’art. 948 c.c.,
rilevante ai fini della dimostrazione dell’appartenenza del bene immobile nell’ambito della domanda di rivendicazione della relativa proprietà, con il diverso regime della prova prescritto per la domanda a contenuto risarcitorio derivante dall’occupazione sine titulo del cespite. Sotto questo profilo, inoltre, la Corte distrettuale è incorsa in un irriducibile contrasto logico, avendo da un lato rilevato la mancanza della cd. probatio diabolica prevista dall’art. 948 c.c. (cfr. pag. 6 della sentenza impugna ta), ma dall’altro lato considerato circostanza pacifica che gli odierni ricorrenti, e prima di loro i danti causa, fossero proprietari, per titolo, degli immobili diruti di cui è causa (cfr. pag. 4 della sentenza).
Ancora, la Corte palermitana ha erroneamente affermato che la domanda di occupazione proposta dai COGNOME si riferisse al solo edificio, e non anche all’area di sedime sulla quale esso insiste, così ipotizzando una sorta di separazione giuridica tra destino del suolo e dell’edificio, che il vigente ordinamento consente soltanto in presenza di un diritto di superficie.
In realtà, la Corte di Appello avrebbe dovuto ragionare in termini diametralmente opposti a quanto è accaduto, verificando innanzitutto se gli odierni ricorrenti avessero effettivamente dimostrato la loro qualità di eredi degli originari acquirenti delle aree dirute sulle quali oggi insistono gli immobili dei quali si contesta l’occupazione senza titolo, e poi accertando se, sulla scorta dei titoli di proprietà allegati, sussistesse, o meno, la prova dell’effettivo acquisto, da parte dei danti causa degli odierni ricorrenti, della proprietà delle aree oggetto di esproprio da parte del Comune e dello I.A.C.P. A tal fine, la Corte di merito avrebbe dovuto considerare che l’esproprio non cade soltanto sulla costruzione realizzata sul suolo, ma innanzitutto su q uest’ultimo, e dunque comunque ritenere sufficiente, ai fini della prova del diritto
degli odierni ricorrenti, la dimostrazione della titolarità dell’area di sedime. Sotto questo profilo, la domanda di riconoscimento del danno da occupazione non poteva che essere riferita all’intero bene occupato, e dunque non soltanto alla costruzione, ma anche (ed anzi, innanzitutto) al suolo, poiché in linea di principio l’esproprio incide sulle aree, e non sui manufatti eventualmente insistenti su di esse.
Da quanto precede deriva l’ulteriore errore di diritto commesso dalla Corte distrettuale, nella parte in cui la stessa ha negato qualsiasi rilevanza, ai fini della prova, alla nota dell’arch. Raffa del 7.11.2002, con la quale quest’ultimo aveva evidenziato che le aree oggetto della domanda dei COGNOME non erano state comprese nelle procedure di esproprio, onde per poterle legittimamente occupare occorreva l’adozione, da parte del Comune, della dichiarazione di pubblica utilità e degli atti conseguenti. Detta comunicazione, infatti, non poteva essere ritenuta priva di qualsiasi rilievo istruttorio sol perché ‘…atto interno relativo ad un procedimento amministrativo…’ (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata) ma avrebbe dovuto essere valutata, unitamente alle altre risultanze istruttorie, ai fini dell’apprezzamento complessivo sulla fondatezza, o meno, della domanda spiegata dagli odierni ricorrenti. Sotto questo profilo, è parzialmente fondato anche il quarto motivo, con il quale si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art . 2697 c.c., che invece resta assorbito per la restante parte, al pari del terzo, dovendo il giudice del rinvio procedere ad una nuova, complessiva, rivalutazione del compendio istruttorio, sulla base dei principi di diritto esposti in precedenza.
Egualmente assorbito è il primo motivo, con il quale viene denunziata l’omessa pronuncia della Corte di Appello in relazione alla legittimazione degli odierni ricorrenti. Sul punto, se da un lato va precisato che l’omessa pronuncia non si configura, poiché la Corte di
Appello ha ritenuto che la questione, proposta con il primo motivo di gravame, fosse assorbita dal rigetto nel merito dell’impugnazione, sul presupposto che l’eventuale accertamento della qualità di eredi, in capo agli appellanti, non avrebbe potuto comunque condurre all’accoglimento della domanda da essi proposta, ritenuta appunto -infondata dal giudice di seconda istanza (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata), va tuttavia evidenziato che, per quanto detto, la questione della legittimazione degli odierni ricorrenti avrebbe dovuto essere esaminata prioritariamente dalla Corte di Appello, non potendosi ritenere corretta la statuizione di rigetto della loro domanda, sulla scorta del solo rilievo dell’omessa coincidenza tra i beni oggetto degli acquisti dei loro danti causa e quelli, risultanti dalla ristrutturazione o ricostruzione dei primi, assoggettati alla contestata occupazione sine titulo da parte del Comune di Palermo e dello I.A.C.P.
Il quinto motivo, con il quale si denuncia il governo delle spese operato dalla Corte distrettuale, è del pari assorbito.
In definitiva, va accolto il secondo motivo e, in parte qua , il quarto, con assorbimento di tutti gli altri. La sentenza impugnata va conseguentemente cassata, in relazione alle censure accolte, e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Palermo, in differente composizione.
P.Q.M.
la Corte accoglie il secondo motivo del ricorso e, in parte qua , il quarto, con assorbimento di tutti gli altri. Cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte, e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Palermo, in differente composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, addì 29 maggio 2025.
IL PRESIDENTE NOME COGNOME
IL RELATORE NOME COGNOME