SENTENZA CORTE DI APPELLO DI SALERNO N. 968 2024 – N. R.G. 00000902 2022 DEL 06 11 2024 PUBBLICATA IL 07 11 2024
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI APPELLO DI SALERNO PRIMA SEZIONE CIVILE
LA CORTE DI APPELLO di Salerno in persona dei Magistrati
Dott NOME COGNOME
Presidente Rel
Dott. NOME COGNOME Consigliere
Dott. NOME COGNOME
Nella causa civile iscritta al n 902/22 vertente
TRA
: elettivamente domiciliato presso Avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende per procura in calce alla citazione in appello
APPELLANTE
E
in persona del Legale
Rappresentante p.t. elettivamente domiciliata presso Avv. A. COGNOME che la rappresenta e difende per procura allegata alla comparsa di costituzione.
APPELLATO
Avente ad oggetto : Appello a Sent. n. 3278/22 del Tribunale di Salerno
Viste le conclusioni ed a seguito della scadenza dei termini di legge ha pronunziato la seguente
SENTENZA
Con atto di citazione ritualmente notificato in data 26.10.2022 proponeva appello a sentenza n. 3278/22 emessa dal Tribunale di Salerno in data 29.09.2022, notificata in data 3.10.2022, con la quale il primo giudice dichiarava la parziale cessazione della materia del contendere sulla domanda di rilascio e rigettava la domanda risarcitoria con regolamentazione delle spese di lite.
Al primo motivo evidenziava che la sentenza aveva omesso ogni statuizione in ordine alla domanda di riconoscimento del contratto di comodato formulata da controparte sicchè doveva considerarsi fatto certo ed acquisito che la
ha detenuto senza titolo l’immobile in questione a far data dal 19.04.2001.
Ai motivi secondo, terzo, quarto e quinto lamentava la erroneità della decisione in punto di risarcimento dei danni.
Al sesto motivo lamentava la erronea determinazione in punto spese.
Concludeva per la riforma della sentenza nel senso di riconoscere che la società ha occupato e/o detenuto senza titolo dal 19.04.2001 al 30.04.2018 gli immobili di proprietà del dott. siti nel Comune di Lancusi di Fisciano, alla INDIRIZZO e, per l’effetto dichiarare l’inesistenza e/o la nullità di titolo non provato e dichiarare dovuta all’ appellante la somma di euro € 196.000,00 oltre interessi per risarcimento da occupazione senza titolo, ovvero per indennità.
Con condanna dell’appellato al p agamento della predetta somma e delle spese di lite del doppio grado.
Si costituiva la parte appellata la quale eccepiva la inammissibilità dell’appello ex art 342 cpc, nel merito deduceva la inammissibilità del primo motivo di appello, integrante nuova domanda, e contestava il contenuto dell’ intero appello di cui chiedeva il rigetto.
A seguito della udienza del 2.05.2024, tenuta con modalità di trattazione scritta, in cui venivano precisate le conclusioni la Corte, con ordinanza del 10.05.2024 assegnava la causa a sentenza con i termini di cui all’art. 190 cpc.
Alla scadenza dei termini la Corte nella camera di consiglio del 26.09.2024 decideva la controversia.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va disattesa la eccezione di inammissibilità dell’appello ex art 342 cpc proposta da parte appellata.
Dalla disamina del contenuto dell’atto di appello risultano osservati i precetti dettati dalla norma secondo il testo oggi vigente (applicabile agli atti di appello proposti successivamente alla data dell’Il settembre 2012) interpretato nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice.
Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l’atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado (Cass. SS. UU. n. 18868/17, n. 27199/17).
Al fine di delibare il primo motivo di gravame, correlato alle deduzioni proposte in comparsa di costituzione in appello, occorre precisare che in primo grado l’attore, odierno appellante, così concludeva: Dato atto che la Società convenuta detiene senza titolo gli immobili descritti in premessa, condannare tale società, in persona del legale rapp.te p.t., a rilasciare immediatamente detti immobili, liberi e vuoti di persone e di cose, in favore dott. .
In subordine, ove occorra in ragione delle avverse difese, pronunciare – in via progressivamente gradata od alternativa – l’inesistenza, la nullità, l’inefficacia, l’annullamento, la risoluzione o comunque la cessazione di eventuali titoli o rapporti dedotti dalla convenuta a sostegno della propria detenzione e, quindi, condannare la medesima società, in persona del legale rappRAGIONE_SOCIALE, a rilasciare immediatamente i predetti immobili, liberi e vuoti di persone e di cose.
In ogni caso, condannare la società convenuta a pagare all’attore anche ai sensi dell’art. 2043 c.c. ovvero dell’art. 2041 c.c. – gli importi dei frutti civili ovvero dei danni o, comunque, delle giuste indennità spettanti per la detenzione e la fruizione dei citati immobili dalla data del rogito di acquisto del dott. sino al rilascio, da commisurare almeno al canone corrente di mercato relativo a detti immobili e da determinare, occorrendo, anche a mezzo di CTU od equitativamente, oltre rivalutazione ed interessi maturati e maturandi a partire dal citato atto di acquisto sino al soddisfo.
La convenuta nel costituirsi chiedeva il rigetto delle domande evidenziando che il cespite immobiliare era da essa detenuto in virtù di atto di comodato stipulato verbalmente fra essa società e la del dott. con previsione di durata sino a quando il dott. non avesse reperito altri locali idonei all’esercizio dell’attività.
Il primo giudice in sentenza dava atto dell’intervenuta cessazione della materia del contendere in ordine alla domanda di rilascio, come concordemente convenuto dalle parti in causa, attesa la restituzione degli immobili come verificatasi in corso di causa.
Rigettava la domanda risarcitoria evidenziando che l’attore non aveva fornito quantomeno a titolo di allegazione le circostanze in fatto, sulle quali basare la domanda di risarcimento del danno, essendosi limitato a chiedere la condanna della convenuta al risarcimento medesimo.
Richiamava i diversi orientamenti della giurisprudenza della S.C., quello secondo cui il danno subito dal proprietario, in caso di occupazione altrui e senza titolo del suo cespite immobiliare, è in re ipsa, discendendo dalla perdita stessa della disponibilità del bene e dall’impossibilità di conseguire l’utilità ricavabile dal bene medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso e quello per cui è insostenibile la tesi secondo cui il danno da occupazione abusiva di immobile è in re ipsa, realizzando una sostanziale coincidenza dell’evento (il mancato godimento), che è un elemento del fatto produttivo del danno, con il danno-conseguenza, il quale va invece provato dal danneggiato che ne chieda in giudizio il risarcimento.
Concludeva nel senso che, premesso che il danno derivante dalla illegittima condotta della parte convenuta non può considerarsi in re ipsa, esso può essere dimostrato col ricorso a presunzioni semplici, rilevando che la parte attrice non aveva provato il danno neanche con l’allegazione di semplici presunzioni, in merito all’utilità che avrebbe potuto ritrarre dalla disponibilità del bene, mancando ogni prova -anche a livello indiziario -in ordine alla possibilità di locazione a terzi, ovvero al verificarsi di occasioni di vendita od anche alla possibilità di utilizzazione diretta.
Aggiungeva che la tesi accolta in sentenza era corroborata da altra e recente giurisprudenza della S.C. in tema di valutazione dei danni in caso di occupazione di un immobile “sine titulo”, concludendo per il rigetto della domanda in quanto nel caso di specie, l’atto re, lungi dal fornire quantomeno a titolo di allegazione delle circostanze in fatto, sulle quali basare la domanda di risarcimento del danno, si era limitato a chiedere la condanna della convenuta al risarcimento medesimo.
Orbene dall’intero tenore e cont enuto della motivazione emerge con chiarezza che il primo giudice ha ritenuto che la fattispecie concreta in esame dovesse ritenersi sussumibile nell’ambito della categoria di occupazione sine titulo.
Tale statuizione implicita nel rigetto della domanda di risarcimento danni da occupazione illegittima ma argomentata nella parte motiva non è stata oggetto di gravame incidentale.
Peraltro pur accedendo alla diversa tesi per cui la parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, non ha l’onere di proporre appello incidentale per richiamare in discussione le proprie domande o eccezioni non accolte nella pronuncia, da intendersi come quelle che risultino superate o non esaminate perché assorbite, essendo soltanto tenuta a riproporle espressamente nel giudizio di appello in modo tale da manifestare la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinunzia derivante da un comportamento omissivo (Cass., S.U. n. 13195/18, Cass. n. 33649/23), nel caso di specie le deduzioni fattuali esposte in primo grado e ribadite in appello non portano a diversa conclusione.
E difatti nella comparsa di risposta in primo grado la società riconosce la proprietà dell’immobile in capo all’attore, ma invoca la esistenza un titolo contrattuale (comodato) che sarebbe intercorso tra la originaria
accertare ” l’esistenza a far data dal trasferimento dell’immobile oggetto di causa….avvenuta il 19.4.2001 di un contratto di comodato ….
Sul punto va applicato il principio secondo cui il contratto di comodato di un bene stipulato dall’alienante di esso in epoca anteriore al suo trasferimento non è opponibile all’acquirente del bene stesso, atteso che le disposizioni dell’art. 1599 c.c. non sono estensibili, per il loro carattere eccezionale, a rapporti diversi dalla locazione.
L’acquirente a titolo particolare della cosa data in precedenza dal venditore in comodato non può, quindi, risentire alcun pregiudizio dall’esistenza di tale comodato e ha, pertanto, il diritto di far cessare, in qualsiasi momento, a suo libito, il godimento del bene da parte del comodatario e di ottenere la piena disponibilità della cosa (Cass. n. 664/16).
Venendo all’esame dei motivi secondo, terzo, quarto e quinto nei quali l’appellante lamenta la erroneità della decisione in punto di risarcimento dei danni va preliminarmente richiamato il contenuto dell’atto di citazione in primo grado nel quale il ha chiesto la condanna della Società convenuta al pagamento, anche ai sensi dell’art 2043 cc ovvero dell’art 2041 cc, dei frutti civi li ovvero dei danni o delle indennità spettanti per la detenzione fruizione degli immobili a far data dall’acquisto del bene e sino al rilascio.
Orbene il caso di occupazione abusiva caratterizzata dall’originario difetto di titolo è soggetta al regime de lla responsabilità di cui all’art. 2043 cod. civ., mentre è estraneo all’occupazione sine titulo il paradigma dell’arricchimento senza causa (art. 2041), nel quale l’assenza di giusta causa dello spostamento patrimoniale non riveste il carattere dell’anti giuridicità, mentre la diminuzione patrimoniale che qui si fa valere corrisponde a un danno per la presenza di un fatto illecito.
Le SS.UU. della Suprema Corte con sentenza n. 33645/22 hanno precisato che la violazione del contenuto del diritto, in quanto integrante essa stessa un danno risarcibile è suscettibile di tutela non solo reale ma anche risarcitoria, ritenendo che il concetto di ‘danno in re ipsa’ vada sostituito con quello di ‘danno presunto’ o ‘danno normale’, privilegiando la prospettiva della presunzione basata su specifiche circostanze da cui inferire il pregiudizio allegato.
Nella fattispecie di occupazione abusiva d’immobile è richiesta l’allegazione della concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento che è andata persa, in quanto il non uso, il quale è pure una caratteristica del contenuto del diritto, non è suscettibile di risarcimento.
E dunque ‘nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto mediante concessione del godimento ad altri dietro corrispettivo, che è andata perduta’; ‘nel caso di occupazione senza titolo di ben e immobile da parte di un terzo, se il danno da perdita subita di cui il proprietario chieda il risarcimento non può essere provato nel suo preciso ammontare, esso è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del ca none locativo di mercato’; ‘nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da mancato guadagno è lo specifico pregiudizio subito, quale quello che, in man canza dell’occupazione, egli avrebbe concesso il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato o che lo avrebbe venduto ad un prezzo più conveniente di quello di mercato’.
Il primo giudice ha rigettato la domanda risarcitoria evidenziando che l’attore non aveva fornito quantomeno a titolo di allegazione le circostanze in fatto, sulle quali basare la domanda di risarcimento del danno, essendosi limitato a chiedere la condanna della convenuta al risarcimento medesimo.
I motivi di appello appaiono tutti incentrati sulla esistenza e valutazione della prova (documentale e testimoniale) fornita in giudizio del danno richiesto non attingendo specificamente la ratio della decisione, conforme ai principi di diritto in materia, che si fonda non sulla mancata valorizzazione del compendio probatorio in atti bensì sulla mancata allegazione in atto introduttivo (o nella comparsa ex art 183 I termine cpc) del fatto costitutivo del diritto al risarcimento che non è la detenzione sine titulo in se bensì la indicazione specifica della concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto mediante concessione del godimento ad altri dietro corrispettivo, che è andata perduta.
Di tal che i motivi vanno rigettati.
Il sesto motivo non è fondato.
Correttamente il primo giudice ha compensato integralmente le spese di lite tra le parti (salvo quelle di CTU, poste a carico definitivo dell’attore in virtù del principio di causalità) in presenza di decisione che da un lato ha dichiarato cessata la materia del contendere in relazione al rilascio e dall’altro ha rigettato la domanda risarcitoria.
Al rigetto dell’appello segue la condanna dell’appellante al pagamento delle spese di lite del grado.
Sussistono i presupposti d i cui all’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. 115/2002, per il versamento a carico dell’appellante dell’ulteriore contributo unificato di cui all’art. 13 comma 1 – bis d.P.R. 115/2002.
PQM
Definitivamente pronunziando in merito sull’appello proposto, con atto di citazione notificato in data 26.10.2022, da a sentenza
n. 3278/22 emessa dal Tribunale di Salerno in data 29.09.2022, notificata in data 3.10.2022, così provvede:
Rigetta l’appello.
Conferma la gravata sentenza.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese di lite del grado che liquida in € 7.500,00 oltre rimborso forfettario spese generali, Iva e cpa con attribuzione all’Avv. A. COGNOME.
Sussistono i presupposti di cui all’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 115/2002, per il versamento a carico dell’appellante dell’ulteriore contributo unificato di cui all’art. 13 comma 1 – bis d.P.R. 115/2002.
Salerno 26.09.2024
Il Presidente Est Dott.ssa NOME COGNOME