Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2189 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2189 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19537/2019 R.G. proposto da:
NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) , che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), che lo rappresenta e difende;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO di ROMA n. 2303/2019 depositata il 06/05/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/06/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Velletri NOME COGNOME e NOME COGNOME al fine di sentirli condannare al rilascio di un appezzamento di terreno di circa otto ettari su cui insiste un fabbricato rurale di due piani con adiacenti stalle, fienile e
grotta. A sostegno della pretesa, adduceva l’attore la propria qualità di unico ed esclusivo proprietario degli immobili, contestualmente lamentando l’occupazione senza alcun titolo da parte dei convenuti; in via subordinata, chiedeva che, ove fosse eventualmente accertata dal Tribunale l’esistenza di un contratto di comodato, questo fosse dichiarato cessato o risolto per inadempimento dei convenuti.
1.1. Il Tribunale di Velletri accertava che il rapporto originariamente instauratosi sin dal 1962 tra gli aventi causa dell’attore e l’avente causa dei convenuti dovesse essere ricondotto ad un contratto di comodato gratuito senza termine che dichiarava risolto, sicché la conseguente qualifica di comodatari attribuita ai convenuti COGNOME e COGNOME conduceva il Tribunale a riconoscere loro il rimborso e le sole spese straordinarie necessarie e urgenti, ex art. 1808, comma 2, cod. civ., non già le riparazioni, i miglioramenti e le addizioni pretesi dai convenuti nella loro qualità di possessori, ex art. 1150 cod. civ.
NOME COGNOME e NOME COGNOME impugnavano la sentenza del Tribunale di Velletri innanzi alla Corte d’Appello di Roma. La Corte territoriale, disposto il mutamento di rito da ordinario a speciale locatizio, in parziale accoglimento dell’appello principale e in accoglimento dell’appello incidentale, condannava gli appellanti al rilascio degli immobili per cui è causa, in quanto occupati senza titolo, rigettava la domanda di pagamento degli appellanti in accoglimento dell’eccezione di compensazione avanzata dal NOME. A sostegno della sua decisione osservava la Corte che:
-l’originaria concessione in comodato doveva intendersi limitata al godimento di un solo locale al piano terreno per stessa ammissione delle parti, mentre nessuna prova era stata fornita circa l’esistenza di un rapporto di comodato con riferimento alla restante parte di immobili occupati dagli appellanti;
con riferimento alla concessione in comodato dell’unico locale al piano terreno è ravvisabile l’ interversio possessionis da parte degli
appellanti, ex art. 1141 cod. civ., sebbene – con una prima lettera raccomandata del 1991 e successivamente con atto di citazione notificato nel luglio 1994 ai fini di conseguire la restituzione dei beni – il COGNOME avesse interrotto l’altrui acquisto per usucapione;
merita accoglimento l’appello incidentale condizionato del COGNOME dove viene reiterata la richiesta di condanna al rilascio dei beni poiché occupati senza titolo, non avendo pregio l’eccezione di difetto di legittimazione attiva del COGNOME in quanto l’onere probatorio a suo carico può ritenersi attenuato (e comunque la sua qualità di proprietario riconosciuta alla luce dell’atto di assegnazione del 15.12.1951 in favore della madre dell’appellato e della dichiarazione di successione in atti), posto che i convenuti in primo grado hanno pacificamente riconosciuto di essere stati immessi nel godimento iniziale dai danti causa del COGNOME, spiegando altresì domanda riconvenzionale per il pagamento di migliorie e riparazioni;
-gli appellanti principali hanno avanzato domanda, tra l’altro, di pagamento di somme per riparazione e miglioramenti effettuati come possessori ex art. 1150 cod. civ.: detto credito deve ritenersi estinto per compensazione con il credito vantato dall’appellato a titolo di indennità di occupazione.
La sentenza della Corte d’Appello di Roma è stata impugnata per cassazione da NOME COGNOME e NOME COGNOME, e il ricorso affidato a due motivi.
Si difendeva NOME COGNOME depositando controricorso e ricorso incidentale condizionato.
Resistevano al ricorso incidentale condizionato NOME COGNOME e NOME COGNOME, depositando a loro volta controricorso.
In prossimità dell’adunanza entrambe le parti hanno fatto pervenire memorie.
CONSIDERATO CHE:
RICORSO PRINCIPALE
Con il primo motivo ( ex art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ.) si deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 342 cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello statuito su una domanda di rivendicazione ex art. 948 cod. civ. non ritualmente riproposta in sede di gravame. Il Tribunale di Velletri, accogliendo la domanda formulata in via subordinata a titolo contrattuale proposta dall’allora attore, rigettava implicitamente la domanda formulata in via principale fondata sulla rivendicazione del diritto dominicale. Il giudice del gravame ha, però, ritenuto che avverso il rigetto della domanda di rivendicazione il COGNOME avesse proposto espressa impugnazione incidentale condizionata: detta statuizione deve considerarsi errata – per violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato – poiché nessuna espressa doglianza è stata, invece, mossa avverso la sentenza del Tribunale di Velletri nell’appello incidentale condizionato, che non elevava nessuna censura sulla domanda di rivendicazione implicitamente rigettata dal giudice di prime cure, come più volte precisato dalla Corte di legittimità (Cass. Sez. U, n. 11799 del 12.05.2017; Cass. Sez. 6-2, n. 10406 del 02.05.2018; Cass. Sez. 2, n. 2855 del 12.02.2016): se ne trova traccia solo nelle conclusioni in cui NOME COGNOME chiedeva che la Corte condannasse gli appellanti al rilascio dell’immobile. Tale laconica e generica conclusione non può considerarsi idonea ad investire la Corte d’Appello della domanda di rivendicazione.
1.1. Il motivo è infondato: non si è in presenza di domanda respinta o non esaminata (per le quali è previsto l’appello incidentale eventualmente condizionato), ovvero non esaminata dal giudice di prime cure perché assorbita. Nel caso di specie, il giudice di seconde cure ha deciso su fatti costitutivi immutati, vertenti sin dall’agire in primo grado sull’ occupazione sine titulo, già posti dall’attore a base delle sue richieste di rilascio degli immobili (oltre che di risarcimento danni). Non sono ravvisabili, dunque, vizi di ultrapetizione, poiché si tratta di diversa qualificazione della domanda. E’ principio
consolidato espresso da questa Corte, dal quale non vi è ragione di discostarsi, in virtù del quale in materia di procedimento civile, sussiste vizio di «ultra» o «extra» petizione, ex art. 112 cod. proc. civ., quando il giudice pronunzia oltre i limiti delle domande proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato. Tale principio va peraltro posto in immediata correlazione con il principio iura novit curia di cui all’art. 113, comma 1, cod. proc. civ., rimanendo sempre salva la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite, nonché all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, e ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti ( ex plurimis , di recente: Cass. Sez. L, n. 5832 del 03.03.2021).
Con il secondo motivo ( ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ.) si deduce violazione degli artt. 1223, 2697 e 2729 cod. civ., per avere la Corte d’Appello riconosciuto in capo all’odierno resistente un credito da indennità da occupazione sine titulo in assenza di qualsivoglia allegazione e prova. I ricorrenti lamentano che l’odierno resistente non ha prospettato alcun peculiare utilizzo che avrebbe potuto fare dei beni occupati. La Corte di legittimità, secondo il più recente orientamento, ha stabilito che il danno da occupazione senza titolo non può considerarsi un danno in re ipsa (tra le tante: Cass. n. 12045 del l’08.05. 2019; Cass. Sez. 3, n. 13701 del 25.05.2018).
2.1. Il motivo è infondato: l’orientamento richiamato dal ricorrente (come d’altra parte l’opposto orientamento citato dai controricorrenti: v. p. 17) è superato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Cass. Sez. U, Sentenza n. 33645 del 15/11/2022, Rv. 666193 – 02), che hanno chiarito come il danno da occupazione sine titulo rappresenti un’azione lesiva che attinge il diritto pieno di proprietà e che viene in rilievo – unitamente alla tutela reale – per la
violazione dell’ordine giuridico: è, perciò, un «danno (emergente) normale» o «presunto», purché la richiesta risarcitoria sia stata elevata nella causa petendi della domanda, unitamente alla richiesta di tutela reale. Il danno risarcibile è rappresentato dalla specifica possibilità di esercizio del diritto di godere che è andata persa, quale conseguenza immediata e diretta (causalità giuridica) della violazione cagionata dall’occupazione abusiva del «diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo» (art. 832 cod. civ.). Il godimento ha un valore economico ed esso, nell’ambito di una valutazione del danno, può essere il medesimo sia se il godimento è diretto, sia se è indiretto mediante la percezione dei frutti civili per il godimento che altri abbia della cosa. E in effetti, nel caso che ci occupa, risulta sin dagli atti introduttivi in primo grado che i danti causa di NOME COGNOME avevano concesso il godimento di un solo locale al pianterreno del fabbricato a NOME COGNOME (rispettivamente, coniuge e padre di NOME COGNOME e NOME COGNOME) ben prima degli anni ‘ 80; che successivamente i COGNOME avevano occupato altri locali e altre porzioni del terreno e dei manufatti soprastanti; risulta anche che NOME COGNOME avesse chiesto la restituzione dei beni fin dagli anni ‘ 90. L’equivalente economico di tale godimento perduto per il COGNOME, quale spoliazione della sua facoltà di godimento indiretto, rientra nell’area della perdita subita (danno emergente) e, per tale via, nel c.d. danno in re ipsa . Stabilito, quindi, che il danno sussiste per la violazione in sé del diritto di godere, il risarcimento spetta al proprietario a prescindere che si denunci il mancato esercizio della facoltà di godere in modo diretto o in modo indiretto. Nel caso di specie, il giudice del merito ha affidato la liquidazione equitativa dell’indennità di occupazione alla valutazione stimata dal C.T.U. in € 23.670,51 annui: scelta insindacabile in sede di legittimità, poiché comunque riflette l’ equivalente in danaro del godimento indiretto perduto dal COGNOME.
II. RICORSO INCIDENTALE CONDIZIONATO
Con il primo motivo si chiede che la Suprema Corte di Cassazione voglia comunque disporre rilascio in base all’azione di rivendica ovvero in base all’azione di comodato. NOME COGNOME aveva, infatti, spiegato azione di rivendica nonché ampiamente provato la propria qualità di proprietario; inoltre, sin dall’atto di citazione in primo grado, aveva affermato l’immissione nel godimento degli immobili dei COGNOME per espressa volontà dei suoi danti causa; infine, i COGNOME rifiutavano la restituzione al proprietario degli immobili senza, tuttavia, mai rivendicarne la titolarità, né addurre altro legittimo titolo.
Con il secondo motivo del ricorso incidentale condizionato si deduce la violazione degli artt. 1150, 1223, 2697 e 2729 cod. civ., ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello riconosciuto agli odierni ricorrenti un credito da migliorie e riparazioni in assenza di qualsivoglia allegazione prova.
Avendo il Collegio rigettato il ricorso principale, il ricorso incidentale resta assorbito.
In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito quello incidentale condizionato; liquida le spese secondo soccombenza, come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato;
condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che liquida in € 3.5 00,00 per compensi, oltre ad €200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda