Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2334 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2334 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 5076-2021 proposto da:
NOME COGNOME NOME COGNOME e COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO nello studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentati e difesi dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa da ll’ avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata all’indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1761/2020 della CORTE DI APPELLO di VENEZIA, depositata il 07/07/2020;
udita la relazione della causa svolta Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 29 ottobre 2024.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 1.2.2010 RAGIONE_SOCIALE evocava in giudizio COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME COGNOME innanzi al Tribunale di Belluno – Sezione distaccata di Pieve di Cadore, invocando l’accertamento della proprietà esclusiva, in capo alla società attrice, della porzione 22 della particella 2309 situata in Cortina d’Ampezzo e la condanna dei convenuti al suo rilascio ed al risarcimento del danno da occupazione senza titolo.
Nella resistenza dei convenuti, il Tribunale adito, con sentenza n. 590/2018, accoglieva la domanda, accertando l’inesistenza di diritti in capo ai convenuti sulla particella oggetto di causa e condannandoli a rimuovere gli ostacoli frapposti al libero godimento di essa da parte della società attrice.
Con la sentenza impugnata, n. 1761/2020, la Corte di Appello di Venezia rigettava il gravame interposto dagli originari convenuti avverso la decisione di prime cure, confermandola.
Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME affidandosi a cinque motivi.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
A seguito di proposta di definizione anticipata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. la parte ricorrente, con istanza del 30.1.2024, ha chiesto la decisione del ricorso.
In prossimità dell’odierna adunanza camerale, la parte ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente il collegio dà atto che, a seguito della pubblicazione della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 9611 del 10 aprile 2024, non sussiste alcuna incompatibilità del presidente della sezione o del consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, a far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1, atteso che la proposta non ha funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta del giudizio di cassazione, con carattere di autonomia e contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa.
Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 132 c.p.c. e la nullità della sentenza per omessa motivazione e omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 4 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente interpretato i fatti di causa e le risultanze istruttorie, facendo proprie acriticamente le conclusioni del C.T.U. e fornendo motivazione apparente, e dunque sostanzialmente omessa.
La censura è inammissibile, in primo luogo perché proposta ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. in presenza di ipotesi di c.d. ‘doppia conforme’, e comunque in quanto, nella restante parte, essa si risolve in doglianze di merito relative all’accertamento del fatto e alla valutazione delle prove acquisite. Il giudice di merito ha, in particolare, ritenuto che gli atti di cessione relativi alla porzione 22 abbiano interessato anche la scala, lato nord-est, che porta dal piano terra al primo piano, mentre
ha riconosciuto la sussistenza della servitù di passaggio in favore della porzione 22 ed a carico della diversa porzione 44, già 24. Trattasi di accertamenti di fatto, fondati sulla valutazione delle prove, che la parte ricorrente attinge proponendo una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. Un., Sentenza n. 24148 del 25/10/2013). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014). Nel caso di specie, infine, la motivazione della sentenza impugnata non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica ed è idonea ad integrare il c.d. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per
pervenire alla sua decisione (cfr. Cass., Sez. Un., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano, invece, la violazione e mancata applicazione degli artt. 2043 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe riconosciuto alla società RAGIONE_SOCIALE un danno da occupazione sine titulo dell’immobile oggetto di causa, quantificato in € 27,805,00, in difetto di qualsiasi elemento di prova a sostegno della pretesa risarcitoria.
La censura è inammissibile.
La Corte distrettuale ha evidenziato che ‘… il danno subito dal proprietario, per consolidata giurisprudenza, discende dalla perdita, totale o parziale, della disponibilità del bene e dall’impossibilità di conseguire l’utilità anche solo potenzialmente ricavabile dal bene medesimo, in relazione alla sua natura normalmente fruttifera e il risarcimento ben può essere determinato sulla base di elementi presuntivi; in sostanza, in virtù del principio del neminem laedere, la sola illegittima occupazione costituisce un fatto che determina un ingiusto danno a carico del proprietario del bene, fatto a cui necessariamente consegue l’obbligazione di risarcire il danneggiato nella misura del pregiudizio subito; il criterio della liquidazione del danno, per un valore corrispondente ai canoni di locazione, trova plausibile giustificazione logica -in caso di illecito spossessamento di un immobile e tenuto conto degli onerosi costi fiscali e di manutenzione di un immobile per essere lasciato inutilizzato- in un diverso impiego remunerativo da parte del proprietario e nella più agevole e comune modalità di sfruttamento economico del bene costituita dalla locazione; sicché la liquidazione può essere operata dal giudice sulla base di presunzioni semplici, con riferimento al c.d. danno figurativo, quale il
valore locativo del bene usurpato (Cass. 20545/2018, 1193/2018, 16670/2016 e 20823/2015). Il primo giudice, pertanto, ha linearmente motivato sul danno da mancato godimento della quota di porzione 22 occupata sine titulo dal convenuto stimata dal c.t.u. in € 167,50 mensili (5 mq x 33,50 €/mq/mese x 13 anni e 10 mesi), con riferimento al valore locativo di deposito commerciale dell’area e nei limiti in cui questa sia suscettibile di effettiva utilizzazione (cfr. p. 20 della relazione e pag. 7-8 dei chiarimenti del c.t.u. in risposta alle osservazioni dei c.t.p. depositati il 29/372013)’ (cfr. pagg. 8 e 9 della sentenza impugnata).
Tale statuizione è perfettamente in linea con l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui ‘In tema di risarcimento del danno da occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, il proprietario è tenuto ad allegare, quanto al danno emergente, la concreta possibilità di godimento perduta e, quanto al lucro cessante, lo specifico pregiudizio subito (sotto il profilo della perdita di occasioni di vendere o locare il bene a un prezzo o a un canone superiore a quello di mercato), di cui, a fronte della specifica contestazione del convenuto, è chiamato a fornire la prova anche mediante presunzioni o il richiamo alle nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza’ (Cass., Sez. Un., Sentenza n. 33645 del 15/11/2022). Pertanto, ‘… se il danno da perdita subita di cui il proprietario chiede il risarcimento non può essere provato nel suo preciso ammontare, esso è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato’ (Cass., Sez. Un., Sentenza n. 33645 del 15/11/2022).
La parte ricorrente, con la doglianza in esame, contesta in sostanza, in modo del tutto generico, il risultato finale della valutazione operata dal
giudice di merito, introducendo pertanto censure di merito, inammissibili in sede di legittimità.
Con il terzo motivo i ricorrenti si dolgono dell’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte veneziana non avrebbe considerato le risultanze della documentazione notarile depositata in atti di causa, dalla quale emergerebbe che l’COGNOME non sarebbe mai stato proprietario della porzione 22. Il C.T.U., dunque, avrebbe erroneamente ricostruito i fatti di causa, affermando, a pag. 3 del suo elaborato, che l’COGNOME sarebbe stato proprietario della detta porzione, contrariamente a quanto risulterebbe, invece, dai libri fondiari. Secondo la tesi dei ricorrenti, se la Corte distrettuale avesse correttamente raffrontato il contenuto dei rogiti del 1970-72, del 1997 e del 2005, avrebbe rilevato che l’eliminazione del collegamento funzionale tra piano terra e primo, realizzato mediante una parete divisoria sulla scala di servizio, era stato realizzato dal conduttore COGNOME con il consenso dei proprietari della porzione 22, e non invece dall’COGNOME.
La censura è inammissibile, innanzitutto perché proposta ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. in presenza di ipotesi di c.d. ‘doppia conforme’, e comunque perché si risolve essa pure, come le precedenti, in doglianze di merito relative all’accertamento del fatto e alla valutazione delle prove acquisite, con riferimento alla statuizione con la quale la Corte distrettuale ha condannato gli odierni ricorrenti a rimuovere le opere impeditive dell’esercizio della servitù di passaggio riconosciuta in favore della porzione 22, e dunque al rilascio della quota parte di detta area occupata sine titulo .
Con il quarto motivo, i ricorrenti contestano la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte lagunare avrebbe reso una
motivazione incomprensibile ed avrebbe errato nel riportare ed interpretare i motivi di gravame che erano stati mossi alla decisione di prima istanza.
Con il quinto motivo, invece, i ricorrenti lamentano la violazione della legislazione tavolare, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte territoriale non avrebbe verificato l’esistenza e l’intavolazione, a carico del piazzale antistante il fabbricato oggetto di causa, di un vincolo pubblico a parcheggio a favore dell’intero condominio.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono inammissibili.
La Corte di Appello ha ritenuto non conseguita la prova della esistenza, sul piazzale di cui anzidetto, di una servitù di passaggio a favore della porzione 44 e che, in assenza di intavolazione, la previsione convenzionale di un ‘vincolo pubblico a parcheggio’ potrebbe al più far sorgere un diritto di natura personale, non opponibile ai terzi.
Anche in relazione a questo profilo, la parte ricorrente contrappone, alla ricostruzione del fatto e delle prove prescelta dal giudice di merito, una lettura alternativa del compendio istruttorio (per la quale valgono le considerazioni già esposte) ed una diversa interpretazione del dato negoziale, senza tener conto che ‘La parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere
l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017; conf. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 16987 del 27/06/2018; in precedenza, nello stesso senso, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009 e Cass. Sez. L, Sentenza n. 25728 del 15/11/2013).
In considerazione dell’inammissibilità di tutti i motivi proposti dalla parte ricorrente, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380bis c.p.c., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis c.p.c.- il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma -nei limiti di legge- in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di quella
contro
ricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 5.000,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, inclusi iva e cassa avvocati.
Condanna, altresì, la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore pari ad € 5.000,00, nonché al pagamento della somma di € 4.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda