Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 11809 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 11809 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10533/2022 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME
-ricorrente-
Contro
NOME COGNOME
-intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI LECCE, SEZ.DIST. DI TARANTO n. 16/2022 depositata il 17/01/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/03/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Rilevato che:
NOME COGNOME proprietaria di un immobile sito in Taranto, in INDIRIZZO convenne in giudizio NOME COGNOME per sentir accertare che il medesimo occupava abusivamente l’immobile e per sentirlo condannare al rilascio e al
risarcimento del danno; ovvero, in subordine, rilevato che nel 2014 il Solito aveva registrato un contratto di locazione verbale, di dichiarare la risoluzione del medesimo contratto per inadempimento del conduttore all’obbligazione del pagamento del canone.
Il Solito si costituì in giudizio eccependo, in rito, che esso avrebbe dovuto essere convertito in quello di cui all’art. 447 bis c.p.c., e, nel merito, di aver stipulato un contratto di locazione con un soggetto terzo, sicché la sua occupazione non poteva dirsi priva di titolo.
Il Tribunale e la Corte d’ Appello accolsero la domanda della COGNOME, ritenendo che il Solito non avesse dato prova dell’esistenza di un valido titolo per la detenzione del bene. Pregiudizialmente la corte del gravame, richiesta di pronunciarsi sulla pretesa incertezza del rito, sol levata dall’appellante, ha ritenuto che l’eccezione non fosse supportata da un valido interesse, in quanto il Solito non aveva illustrato le ragioni del pregiudizio asseritamente subìte in conseguenza dell’adozione di un rito div erso da quello che avrebbe dovuto essere adottato. Nel merito il giudice ha ritenuto che il Solito non avesse assolto all’onere di provare i fatti posti a base della sua prospettazione difensiva.
Avverso la sentenza il COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
L’intimata non ha resistito a l ricorso.
Il Consigliere Delegato ha formulato proposta di definizione anticipata del ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c. sulla base della seguente motivazione: <>.
Parte ricorrente ha chiesto la decisione ai sensi del secondo comma dell’art. 380bis c.p.c. ed è stata fissata la trattazione ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c. Il ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che:
Preliminarmente il Collegio condivide pienamente l’ampia motivazione della proposta di definizione anticipata e lo specifico scrutinio ch’essa ha fatto dei motivi.
La memoria di parte ricorrente svolge argomenti del tutto inidonei a superare quello scrutinio.
In proposito valga quanto segue, che ha valore solo confermativo e talora aggiuntivo rispetto alla proposta.
Con il primo motivo -nullità del procedimento di primo e secondo grado ex art. 360 n. 4 c.p.c. errores in procedendo violazione degli artt. 447 bis, 702 ter 426,175,189,190, 281/quinquies e sexies, 429, 430, 439 e 134 c.p.c. violazione delle regole del giusto processo (artt. 111 Cost.) e del diritto alla difesa (art. 24 Cost.)- il ricorrente lamenta che il rito seguìto non é stato quello dell’art. 447/ bis c.p.c. in materia di locazioni ma un rito misto, inammissibile ed illegittimo, e non previsto dal codice di rito. Esso infatti, iniziato come sommario e trasformato in rito ordinario, sarebbe stato peraltro incidente in senso negativo sul contraddittorio, sui diritti di difesa e sul regime delle prove. Con il secondo motivo -violazione o falsa applicazione di norme ex art. 360, n. 3 c.p.c. violazione degli artt. 115, 2697 c.c. 2727 e 2729 c.c. e con il terzo -insufficiente e contraddittoria motivazione ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti- si contesta che fosse il ricorrente ad essere onerato della prova circa il momento di inizio del rapporto di locazione tra le parti.
Con riferimento alle questioni dedotte con il primo motivo di ricorso, la Corte di Appello ha riportato la giurisprudenza relativa all’ipotesi di applicazione al processo di un rito in parte diverso da quello previsto dal codice di procedura civile (Cass. Civ. 4508/1999, 10030/1996, 19903/2008, 8721/2010, Cass 4239/1990, 4573/1993) e ha ritenuto che, nella fattispecie, in base alla giurisprudenza richiamata ed all’esame dello svolgimento del processo , non vi è stata alcuna lesione del diritto di difesa. Questo in quanto le parti hanno avuto la possibilità di integrare e/o modificare la domanda con atti del tutto equipollenti, quindi di svolgere regolarmente le proprie difese tecniche.
La Corte di Appello quindi ha verificato che, in concreto, non vi è stata lesione del diritto di difesa ed il ricorrente, in merito, non ha contestato alcuna precisa ed apprezzabile lesione ma si è limitato a delle osservazioni generiche che di per sé già rendono il ricorso inammissibile ed ha concluso con una
inammissibile richiesta di rivisitazione istruttoria non proponibile in questa sede.
La memoria argomenta sulla base di Cass., Sez. Un., n. 36596 del 2021, che nulla ha a che fare con la problematica dell’errore del rito e che comunque, se anche si volesse considerare rilevante quanto alla logica che la connota con riferimento a detto errore, nella specie risulterebbe invocata in modo inidoneo, atteso che la corte territoriale, senza che nulla il ricorso abbia osservato al riguardo, ha dettagliatamente spiegato, a partire dall’ultima proposizione della pagina 3 e sino alla prima della pagina successiva, perché il ricorrente non aveva ricevuto alcun pregiudizio dalla confusione sul rito ch’egli lamentava. A questa motivazione parte ricorrente non dedica alcuna considerazione, il che integrerebbe addirittura ragione di inammissibilità ulteriore del motivo.
Sulla questione del mutamento del rito occorre, d’altro canto , dare continuità al consolidato indirizzo di questa Corte secondo cui ‘L’omesso cambiamento del rito, anche in appello, dal rito speciale del lavoro a quello ordinario o viceversa non spiega effetti invalidanti sulla sentenza, che non è né inesistente né nulla, e la relativa doglianza, che può essere dedotta come motivo di impugnazione, è inammissibile per difetto di interesse qualora non indichi uno specifico pregiudizio processuale che, dalla mancata adozione del diverso rito, sia concretamente derivato, in quanto l’esattezza del rito non deve essere considerata fine a se stessa, ma può essere invocata solo per riparare una precisa ed apprezzabile lesione che, in conseguenza del rito seguito, sia stata subìta sul piano pratico processuale.’ (Cass., 3, n. 19942 del 18/7/2008, Cass., 3, n. 14374 del 24/5/2023).
Sulle questioni dedotte con il secondo e terzo motivo, la Corte di Appello ha ritenuto che la domanda principale della COGNOME (attrice/ ricorrente in primo grado), accolta dal Tribunale, fosse di accertare e dichiarare l’occupazione senza titolo dell’immobile oggetto di causa. Di conseguenza, ‘l’onere della prova a carico della ricorrente era quello di provare la sua versione dei fatti ovvero che non era mai intervenuto tra esse ed il Solito (resistente in primo grado) alcun contratto di locazione scritto’ . Era dunque a carico del COGNOME l’onere di provare la sua tesi difensiva ossia di aver ricevuto in locazione
l’immobile nel 1993 dalla Sig.ra COGNOMEterza non proprietaria del bene) provando anche il titolo che legittimava costei a concedere l’immobile in locazione.
Orbene, a parere sia della Corte d’Appello che del Tribunale, il Solito non ha dato alcuna prova né dell’esistenza di un contratto con la Deofano né e soprattutto dell’esistenza di un titolo in capo alla Deofano che dimostrasse la legittima disponibilità del bene.
La Corte ha ritenuto che ‘quand’anche fosse stato provato il sorgere del contratto nel 1993, il contratto intervenuto con la COGNOME era da considerarsi nullo per avere ad oggetto un bene di terzi di cui la predetta non aveva alcuna legittima disponibilità ‘.
La ratio decidendi è affermata dai giudici del merito con una pronuncia cd. ‘doppia conforme’ ex art. 348 ter, comma 5 cpc senza che possa ritenersi assolto, da parte del ricorrente, l’ onere di indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente della decisione di primo grado e del rigetto dell’appello, dimostrando che sono tra loro diverse. Mentre il ricorrente nulla osserva né potrebbe osservare tenuto conto che la corte d’appello riprende esattamente la motivazione del Tribunale. In ogni caso, la questione rilevante non è quella relativa a chi spettasse la prova della decorrenza del contratto di locazione, come vuol fare intendere il ricorrente (come se vi fossero più contratti validi), dato che -come non ha mancato di rilevare la corte territoriale- la COGNOMEattrice ricorrente principale) ha chiesto e visto accolta la domanda principale di occupazione senza titolo e pertanto era il Solito a dover dare la prova della sussistenza della successione di titoli idonei alla locazione del bene. D’altronde, ai sensi dell’art. 2697 cc. l’onere di provare un fatto ricade su colui che invoca proprio quel fatto a sostegno della sua tesi.
Si applica il principio di diritto già affermato da questa Corte secondo cui (Cass., 3, n. 18660/2013) ‘a fronte della domanda volta all’accertamento di un rapporto locativo, al fine di ottenere la condanna del convenuto al pagamento del canone, oppure volta all’accertamento di un’occupazione senza titolo, al fine di ottenere la condanna del convenuto al pagamento dell’indennità di occupazione, compete esclusivamente al convenuto provare
il possesso di un titolo, come il comodato, che ne assicuri non solo il legittimo godimento del bene, ma anche il carattere essenzialmente gratuito.’
Ne consegue il rigetto del ricorso. Stante la mancata costituzione in giudizio della Gigante non è d’uopo procedere alla liquidazione delle spese, neanche ai sensi dell’art. 96, terzo comma c.p.c. ma soltanto alla condanna al pagamento di una somma alla Cassa per le Ammende , ai sensi dell’art. 96 , quarto comma, c.p.c., che viene liquidata come in dispositivo in ragione dell’evidente abuso del processo derivante dalla richiesta di decisione del ricorso di fronte ad una proposta di definizione anticipata del tutto analitica e puntuale nell’esame dei motivi.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento alla Cassa per le Ammende della somma di € 3.000,00.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile dell’11