Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 10740 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 10740 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 19670-2021 proposto da:
NOMECOGNOME con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME ma domiciliata ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona dell’institore Avvocato NOME COGNOME domiciliata ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
Oggetto
OCCUPAZIONE SENZA TITOLO
Occupazione di
‘casa cantoniera’
R.G.N. 19670/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 26/11/2024
Adunanza camerale
Avverso la sentenza n. 3797/2021 d ella Corte d’appello di Roma, depositata in data 19/01/2021;
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale del 26/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ricorre, sulla base di sei motivi, per la cassazione della sentenza n. 3797/21, del 19 gennaio 2021, della Corte d’appello di Roma, che accogliendo il gravame esperito dalla società Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a. avverso la sentenza n. 1056/13, del 13 dicembre 2013, del Tribunale di Civitavecchia -ha condannato l’odierna ricorrente, e con essa NOME COGNOME, al rilascio della casa cantoniera sita in Santa Marinella, località Volpelle Marangone, al Km 76.445 della linea ferroviaria Roma-Grosseto, oltre al ripristino dello stato dei luoghi antecedente alle opere da essi realizzate, nonché al risarcimento del danno nella misura di € 50.000,00, comprensiva di interessi e rivalutazione, oltre interessi legali dalla pronuncia al soddisfo.
Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente di essere stata convenuta in giudizio -unitamente al COGNOME -da Ferrovie dello Stato Italiane. Detta società, sul presupposto di essere proprietaria dell’immobile, che assumeva essere stato occupato abusivamente dai convenuti (sullo stesso realizzando, oltretutto, opere non autorizzate), chiedeva accertarsi il suo pieno diritto di proprietà, nonché condannarsi la Valenza e il COGNOME a rilasciare il bene ed a ripristinarne lo ‘ status quo ante ‘, oltre che a risarcire il dan no da occupazione ‘ sine titulo ‘.
Nella contumacia dei convenuti (che l’odierna ricorrente assume dovuta a mancata conoscenza dell ‘atto di citazione), il giudice di prime cure rigettava ogni domanda, sul rilievo che
l’attrice non avesse adempiuto l’onere di provare la proprietà del bene.
Esperito gravame dall ‘attrice soccombente, il giudice d’appello -nella contumacia del solo COGNOME -lo accoglieva, provvedendo nei termini sopra meglio indicati.
Avverso la sentenza della Corte capitolina ha proposto ricorso per cassazione la Valenza, sulla base -come detto -di sei motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione dell’art. 826 cod. civ. e dell’art. 1 della legge 17 maggio 1985, n. 210.
Si censurano i ‘passaggi argomentativi’, che si assumono compiuti dalla Corte territoriale per affermare la proprietà del bene in capo alla società Ferrovie dello Stato Italiane. La sentenza impugnata, infatti, sul presupposto che l’immobile in questione c ostituisca ‘casello ferroviario’, come tale rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato ex art. 826 cod. civ., ha ritenuto il medesimo appartenente ‘ ex lege ‘ all’Azienda Autonoma Ferrovie dello Stato. Difatti, secondo la sentenza impugnata, con l’e ntrata in vigore della suddetta legge n. 210 del 1985, in virtù della successione -da essa disposta -dell’Ente Ferrovie dello Stato in tutti i rapporti attivi e passivi già facenti capo a tale Azienda Autonoma, oltre che nella titolarità dei beni di sua appartenenza, anche il bene in questione sarebbe divenuto di proprietà di tale Ente. Successivamente, trasformato detto Ente in società per azioni dal decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito con modificazioni in legge 8 agosto 1992, n. 359, a tale società venivano trasferiti i beni già di appartenenza dell’Ente stesso, secondo quanto previsto dal decreto-legge 23 gennaio
1993, n. 16, convertito con modificazioni in legge 24 marzo 1993, n. 75.
Tuttavia, lamenta la ricorrente, la Corte romana -assumendo che l’immobile in questione facesse parte del patrimonio indisponibile dello Stato (per poi trarne le conseguenze sopra illustrate) -avrebbe falsamente applicato l’art. 826 cod. civ., giacché l’appartenenza di un bene a tale categoria non è automatica, ma richiede una ‘destinazione pubblicistica effettiva, reale ed attuale ‘. Per contro, il giudice d’appello ‘non ha verificato’ si assume in ricorso -‘se l’immobile abbia mai avuto una destinazione pubblicistica tale da essere considerato di appartenenza dell’Azienda Autonoma Ferrovie dello Stato, né ha verificato l’eventuale uso effettivo e concreto che del bene’ essa abbia fatto, nonché la ‘permanenza’, nel tempo, di tale destinazione.
Si sostiene, inoltre, che la sentenza impugnata avrebbe dato una ‘falsa e/o erronea interpretazione’ pure dell’art. 1, comma 3, della l. n. 210 del 1985, giacché il trasferimento -disposto da tale previsione normativa -all’Ente Ferrovie dello Stato dei beni già nel la disponibilità dell’Azienda Autonoma Ferrovie dello Stato non ha comportato, automaticamente, che tra tali beni vi fosse quello oggetto di causa, in mancanza della dimostrazione dell’appartenenza dello stesso all’Azienda Autonoma e della sua d estinazione all’esercizio dell’attività ferroviaria. Difatti, se almeno dal 1979 essa Valenza risiedeva nell’immobile con il proprio nucleo familiare, deve escludersi che il bene, nel 1985, avesse destinazione effettiva e attuale a servizio pubblico.
3.2. I motivi secondo e terzo, illustrati dalla ricorrente congiuntamente, denunciano -in entrambi i casi ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. -‘omesso esame circa un fatto decisivo della controversia’, e ciò ‘in riferimento all’omesso
esame di un fatto storico risultante dagli atti processuali, cioè del possesso dell’immobile per cui è causa, da parte della Sig.ra NOME COGNOME sin dal 1979′, oltre a ‘vizio di motivazione per omessa considerazione delle risultanze documentali’.
Infatti, dai certificati storici di residenza della Valenza, e del suo convivente COGNOME, risulta che essi sono iscritti -l’una dal 4 ottobre 1979, l’altro dall’11 dicembre 1980 all’anagrafe del Comune di Santa Marinella proprio ‘in INDIRIZZO INDIRIZZO. In atti, inoltre, vi sono sottolinea la ricorrente -le ‘bollette pagate’ delle utenze elettriche e telefoniche intestate ad essa Valenza, nonché, soprattutto, la sentenza n. 737/97 con cui il Pretore di Civitavecchia ha prosciolto la medesima e il COGNOME dall’imputazione relativa all’occupazione abusiva del casello ferroviario. Esito al quale esso è pervenuto sul rilievo del difetto di querela, nonché dell’insussistenza dell’aggravante dell’appartenenza dell’immobile ad ente pubblico (…) o della destinazione pubblica del casello’, risultando lo stesso ‘dismesso da anni’.
3.3. In subordine, nell’ipotesi di conferma della proprietà del bene in capo alla società Ferrovie dello Stato Italiane, la ricorrente svolge, pure in questo caso congiuntamente, i motivi quarto e quinto, con i quali denuncia -ai sensi, rispettivamente, dei nn. 3) e 4) del comma 1 dell’art. 360 cod. proc. civ. violazione dell’art. 2934 cod. civ. e nullità della sentenza per vizio di ultrapetizione.
La ricorrente lamenta che la liquidazione, effettuata in via equitativa, del danno da occupazione abusiva è avvenuta senza considerare né la prescrizione quinquennale, donde la violazione dell’art. 2934 cod. civ., né la circostanza che l’attrice, nell’atto di citazione, aveva quantificato tale danno in € 21.945,48, sicché la Corte capitolina sarebbe incorsa -nel liquidare il maggiore importo di € 50.000,00 nel vizio di ultrapetizione.
Inoltre, essa avrebbe riconosciuto pure gli interessi e la rivalutazione (quest’ultima, peraltro, ritenuta dalla ricorrente non spettante) in mancanza di specifica richiesta nella citazione di primo grado e, comunque, senza effettuare ‘i dovuti, relativi, conteggi’.
Infine, nel riconoscere il diritto di Ferrovie dello Stato Italiane al risarcimento del danno, la Corte territoriale non avrebbe dato rilievo all’inerzia del creditore, protrattasi dal 1979 al 2010 (anno al quale risale la citazione introduttiva del presente giudizio), e dunque al ‘ragionevole ed apprezzabile affidamento’ sul definitivo non esercizio del diritto, ciò che -secondo un arresto di questa Corte -integra l’ipotesi dell’abuso del diritto (è citata Cass. Sez. 3, sent. 14 giugno 2021, n. 16743).
3.4. Infine, è denunciata con il sesto motivo -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 2056 cod. civ.
Si censura la sentenza impugnata perché, in spregio alle norme testé richiamate, ha ritenuto ‘ in re ipsa ‘ il danno lamentato dall’attrice/appellante, mentre lo stesso, in quanto ‘danno conseguenza’, deve essere provato dal preteso danneggiato, il quale deve dimostrare di aver subito un’effettiva lesione del proprio patrimonio per non aver potuto locare il bene, ovvero direttamente e tempestivamente utilizzarlo , o perso l’occasione di venderlo a prezzo conveniente.
Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso , la società Ferrovie dello Stato Italiane, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
Il Procuratore Generale presso questa Corte, in persona di un suo Sostituto, non ha rassegnato conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, ritiene questa Corte di dover valutare se sussista, o meno, la necessità dell’integrazione del contraddittorio verso il Di COGNOME, atteso che l’ipotetico definitivo consolidarsi dell’ordine di rilascio dell’immobile produrrebbe effetti anche nei suoi confronti, al pari della condanna alla rimessione in pristino e al risarcimento dei danni.
Nondimeno, poiché il presupposto di tali domande -ovvero, l’occupazione ‘ sine titulo ‘ della casa cantoniera integra un illecito aquiliano, deve escludersi tale necessità, occorrendo dare seguito al principio secondo cui, ‘in tema di responsabilità da fatto illecito, il carattere solidale dell’obbligazione risarcitoria, escludendo la configurabilità di un rapporto unico ed inscindibile tra i soggetti che abbiano concorso nella produzione del danno, comporta, sul piano processuale, l’autonomia delle domande cumulativamente proposte nei confronti degli stessi, la quale impedisce di ravvisare non solo un litisconsorzio necessario tra gli autori dell’illecito, ma anche un rapporto di dipendenza tra l’affermazione o l’esclusione della responsabilità di alcuni di essi e l’accertamento del contributo fornito dagli altri, a meno che la responsabilità dei primi non debba necessariamente essere ricollegata a quella di questi ultimi, per effetto dell’o biettiva interrelazione esistente, sul piano del diritto sostanziale, tra le rispettive posizioni’ (Cass. Sez. 1, sent. 13 ottobre 2016, n. 20692, Rv. 642052-03).
Ciò detto, il ricorso va accolto, nei limiti di seguito indicati.
8.1. primo motivo di ricorso è inammissibile e, comunque, non fondato.
8.1.1. L’inammissibilità discende dalla constatazione che il motivo non critica le ampie considerazioni con le quali la Corte territoriale ha ritenuto accertata la proprietà del bene in capo all’ente , in particolare ignorandosi l’atto di trascrizione cui fa riferimento la sentenza impugnata. Inoltre, la seconda censura svolta dalla ricorrente, quella che dà rilievo alla circostanza che essa Valenza abiterebbe nell’immobile sin dal 1979 (e dunque prima del 1985), prospetta una circostanza di fatto ed evoca documenti riguardo ai quali, però, nulla si riferisce sul se e sul come l’una sia stata dedotta, nonché gli altri siano stati prodotti, nel giudizio di merito . In ogni caso, quand’ anche tali documenti fossero stati prodotti, essi risulterebbero giustamente ignorati dalla Corte territoriale, tenuto conto che, in primo grado, la ricorrente era rimasta contumace (ella assume involontariamente , ma l’ass erzione è del tutto generica) e, dunque, incorsa in decadenza per ogni produzione in appello.
8.1.2. Il motivo è, comunque, pure infondato.
Difatti, la sentenza impugnata, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, ha riscontrato l’effettiva destinazione del bene oggetto di causa ad uso pubblico, affermando trattarsi di casa cantoniera, ‘e cioè di un edificio costruito lungo una linea ferroviaria per essere utilizzato dal personale ferroviario responsabile della manutenzione e del controllo della linea stessa’, precisando che ‘in sede di esame testimoniale’, è stata confermata ‘la destinazione dell’immobile’, oltre alla ‘sua insistenza su area ricompresa in un piano particellare di esproprio dell’Azienda Autonoma della Ferrovie dello Stato del maggio del 1969. Su tali basi, pertanto, la Corte territoriale ha concluso
trattarsi ‘di un bene destinato al pubblico servizio, tale per le sue caratteristiche e per il suo legame funzionale con l’esercizio del servizio ferroviario’.
8.2. I motivi secondo e terzo -suscettibili di trattazione unitaria, giacché svolti congiuntamente dalla ricorrente -sono, per più ragioni, inammissibili.
Tale esito s’impon e, in primo luogo, perché i motivi in esame risultano correlati all’eccezione riconvenzionale di usucapione, ritenuta, però, tardiva dalla Corte romana, ex art. 345 cod. proc. civ.
Essi, inoltre, prospettano un’omissione che non investe propriamente un fatto -il possesso dell’immobile, sin dal 1979, da parte di essa Valenza -bensì una serie di elementi istruttori, evenienza che non integra, di per sé, il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., qualora il fatto storico, rilevante in causa ‘sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie’ (cfr. da ultimo, Cass. Sez. 2, ord. 20 giugn o 2024, n. 17005, Rv. 671706-01, nonché Cass. Sez. 6-Lav., ord. 8 novembre 2019, n. 28887, Rv. 655596-01; Cass. Sez. 2, ord. 29 ottobre 2018, n. 27415, Rv. 651028-01; Cass. Sez. 6-Lav., ord. 10 febbraio 2015, n. 2498, Rv. 634531-01; Cass. Sez. 6-Lav., ord. 1° luglio 2015, n. 13448, Rv. 635853-01 e Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01).
Degli stessi, poi, non si procede né alla riproduzione né alla dovuta ‘localizzazione’, donde l’inammissibilità della censura ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ., a mente del quale la necessità della ‘l’indicazione espressa degli atti p rocessuali o dei documenti sui quali il ricorso si fonda’ va intesa nel senso che ‘indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo,
riportandone il contenuto, dire dove nel processo esso è rintracciabile, sicché la mancata «localizzazione» del documento basta per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, senza necessità di soffermarsi sull’osservanza del principio di autosuffici enza dal versante «contenutistico»’ (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 1, ord. 10 dicembre 2020, n. 28184, Rv. 660090-01).
Inammissibile è pure il dedotto vizio di motivazione, ormai ravvisabile -dopo la modifica apportata all’art. 360 cod. proc. civ. dall’art. 54, comma 1, lett. b), del decreto -legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile ‘ ratione temporis ‘ al presente giudizio) solo quando la parte motiva della sentenza si collochi sotto la soglia del ‘minimo costituzionale’ (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonché, ‘ ex multis ‘, Ca ss. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 1, ord. 30 giugno 2020, n. 13248, Rv. 658088-01).
Tale vizio, dunque, ricorre esclusivamente nella ‘quadruplice’ ipotesi individuata dalle Sezioni Unite (Cass. Sez. Un., sent. n. 8053 del 2014, cit .), ovvero: ‘la «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico» e la «motivazione apparente»; il «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e la «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile»’ (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 5 marzo 2024, n. 5792, al § 10.9, pag. 24), nessuna delle quali, non solo sussiste nel caso che occupa, ma, a ben vedere, neppure è idoneamente prospettata.
Difatti, nel caso che occupa, il (preteso) vizio motivazionale è denunciato ‘per omessa considerazione delle risultanze documentali’, e dunque in spregio al principio secondo cui la sua rituale prospettazione presuppone che tale vizio ‘emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza
impugnata’ (Cass. Sez. Un., sent. n. 8053 del 2014, cit .), vale a dire ‘prescindendo dal confronto con le risultanze processuali’ (così, tra le molte, Cass. Sez. 1, ord. 20 giugno 2018, n. 20955, non massimata, nonché Cass. Sez. 1, ord. 3 marzo 2022, n. 7090, Rv. 664120-01), essendo il vizio di motivazione, ormai, solo ‘testuale’ (come rammenta, da ultimo, in Cass. Sez. Un., sent. n. 5792 del 2024, cit ., nuovamente al § 10.9.).
8.3. Quanto ai restanti motivi, formulati per l’ipotesi di reiezione dei precedenti e, dunque, di conferma della condanna al rilascio (giacché investono la consequenziale condanna al risarcimento del danno, adottata proprio sul presupposto che l’occupazione dell’immobile sia stata ‘ sine titulo ‘), è il sesto ad avere carattere pregiudiziale, perché investe la prova del danno e non -come il quarto e il quinto -la sua quantificazione.
8.3.1. Il sesto motivo -in disparte il suo carattere assertorio, che ne mina l’ammissibilità risulta, comunque, non fondato.
8.3.1.1. La Corte territoriale non ha affatto ritenuto quello da occupazione ‘ sine titulo ‘ un danno ‘ in re ipsa ‘ (o ‘evento’), ma lo ha, piuttosto, qualificato come danno ‘conseguenza’, affermando che esso ‘discende dalla perdita della disponibilità del bene e dall’impossibilità di conseguire l’utilità da esso ricavabile’, soggiungendo che ‘costituisce oggetto di u na presunzione iuris tantum , che, nel caso di specie, è confermata dalle emergenze processuali’. Su tali basi, poi, la Corte capitolina ha concluso che ‘la liquidazione di detto danno può essere operata sulla base di presunzioni semplici, con riferimento al cd. danno figurativo, quale il valore locativo del bene occupato’.
In questo modo la sentenza impugnata si è conformata ha quanto affermato da questa Corte nella sua massima sede
nomofilattica, secondo cui, in tema di risarcimento del danno da occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, ‘il proprietario è tenuto ad allegare, quanto al danno emergente, la concreta possibilità di godimento perduta e, quanto al lucro cessante, lo specifico pregiudizio subito’ (esemplificativamente indicato come ‘perdita di occasioni di vendere o locare il bene a un prezzo o a un canone superiore a quello di mercato’), danno ‘di cui, a fronte della specifica contestazione del conv enuto, è chiamato a fornire la prova anche mediante presunzioni o il richiamo alle nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza’, (Cass. Sez. Un., sent. 15 novembre 2022, n. 33645, Rv. 66619304).
8.3.2. I motivi quarto e quinto, invece, sono fondati ‘per quanto di ragione’, ovvero in relazione alla mancata indicazione dei criteri di computo di interessi e rivalutazione.
8.3.2.1. Inammissibile ‘ prima facie ‘ è, invece, la censura relativa alla prescrizione, perché la stessa -come anche dedotto dalla controricorrente -non risulta essere stata eccepita in primo grado dalla Valenza, né avrebbe potuto esserlo in appello, giusto il divieto di ‘ nova ‘ ex art. 345 cod. proc. civ.
Di tale questione, inoltre, non vi è traccia nella sentenza impugnata, donde la necessità di dare seguito al principio secondo cui ‘ove una determinata questione giuridica che implichi un accertamento di fatto -non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legi ttimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anc he di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare « ex actis »
la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa’ (Cass. Sez. 2, ord. 24 gennaio 2019, n. 2038, Rv. 652251-02).
8.3.2.2. Quanto, invece, alle censure che investono la rivalutazione -che è dovuta, a dispetto di quanto sostiene la ricorrente, atteso che il credito risarcitorio derivante da ‘occupazione senza titolo’ ha natura di credito di valore, ‘come tale suscettibile di rivalutazione monetaria, in quanto mirando alla reiterazione del patrimonio del danneggiato, la somma di denaro stabilita non rappresenta l’oggetto dell’obbligazione risarcitoria, ma solo un elemento di commisurazione del danno’ (Cass. Sez. 2, sent. 7 giugno 2021, n. 7692, Rv. 547307-01) -e gli interessi, deve osservarsi che, tra di esse, la doglianza relativa alla supposta tardività della loro richiesta è inammissibile, ex art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ.
La sentenza impugnata attesta -cfr. pag. 4, ultimo capoverso, e poi pag. 5, primo capoverso -che l’appellante ha ‘domandato il risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell’occupazione abusiva, contestata dal maggio 1993, che ha quantificato dal 2002 al 2010 in € 21.945,98, ai sensi della circolare interna n. 4259/2002, oltre agli importi maturati successivamente oltre interessi e rivalutazione’.
La sentenza non chiarisce in quale sede processuale l’appellante ebbe a formulare tale domanda, ed in particolare se ciò avvenne già in primo grado. Nondimeno, era onere della ricorrente -ex art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ. -dimostrare il carattere tardivo della richiesta, riproducendo stralci della domanda formulata dell’attrice in prime cure.
Né osta a tale esito il rilievo che quello denunciato è un ‘ error in procedendo ‘, in relazione al quale questa Corte quale giudice del ‘fatto processuale’ può accedere agli atti del giudizio.
Difatti, se è vero che, in questo caso, ‘il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda’, resta, nondimeno, inteso che l’ammissibilità del sindacato demandato a questa Corte è comunque subordinata alla condizione che ‘la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dagli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ.’ (Cass. Sez. Un., sent. 22 maggio 2012, n. 8077, Rv. 622361-01).
8.3.2.3. La medesima conclusione, ovvero l’inammissibilità della censura, sempre per le stesse ragioni (vale a dire, la violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ.), deve dichiararsi pure per il denunciato vizio di ultrapetizione, visto che la sentenza impugnata afferma che l’appellante ‘ha quantificato dal 2002 al 2010 in € 21.945,98, ai sensi della circolare interna n. 4259/2002’, il danno da risarcire, salvo però richiedere pure gli ‘importi maturati successivamen te oltre interessi e rivalutazione’.
Infatti, a nche in relazione alla censura di violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. la ricorrente avrebbe dovuto precisare il contenuto della domanda svolta dall’attrice in primo grado, pena, altrimenti, il difetto di autosufficienza della censura, più volte affermato da questa Corte anche con riferimento al caso in cui venga lamentato un vizio del procedimento ‘per erronea individuazione del «chiesto» ex art. 112 cod. proc. civ.’, allorché si affermi o -come nella specie -si neghi che ‘la deduzione della situazione di fatto pertinente alla richiesta è avvenuta sin dalla comparsa di costituzione in primo grado’ (ma analogo principio
non può che valere anche per l’atto di citazione), essendo in tal caso ‘necessario che il ricorrente, alla luce del principio di autosufficienza dell’impugnazione, indichi le espressioni con cui detta deduzione è stata formulata nel giudizio di merito’ (Ca ss. Sez. 3, sent. 30 aprile 2010, n. 10605, Rv. 612776-01).
8.3.2.4. Ciò detto, l’unica censura fondata è quella relativa alla mancata esplicitazione dei ‘conteggi’ circa la rivalutazione e gli interessi, dal momento che la sentenza tace sul punto, incorrendo, così, nel vizio motivazionale, da ritenersi integrato quando la motivazione ‘benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio co nvincimento’ (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01, nonché, più di recente, Cass. Sez. 6-5, ord. 23 maggio 2019, n. 13977, Rv. 654145-01 e Cass. Sez. 6-1, ord. 1° marzo 2022, n. 6758, Rv. 664061-01).
In conclusione, vanno accolti soltanto il quarto e il quinto motivo di ricorso, per quanto di ragione, cassando in relazione la sentenza impugnata e rinviando alla Corte d’appello di Roma, in diversa sezione e composizione, per la decisione sul merito e sulle spese, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il quarto e il quinto motivo di ricorso, per quanto di ragione, rigettando il ricorso per il resto.
Cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa sezione e composizione, per la