Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4822 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3   Num. 4822  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 33322/2019 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall ‘ avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) ,  elettivamente  domiciliati  presso  l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-ricorrenti- contro
COMUNE di L’A QUILA
-intimato- avverso  la  SENTENZA  della  CORTE  D ‘ APPELLO di  L’ AQUILA  n. 1330/2019 depositata il 25/07/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
 Il  RAGIONE_SOCIALE  LRAGIONE_SOCIALEAquila  convenne  in  giudizio,  davanti  al Tribunale  della  stessa  città,  NOME,  NOME  e  NOME  COGNOME,
OCCUPAZIONE SENZA TITOLO.
R.G. 33322/2019
COGNOME.
Rep.
C.C. 7/1/2025
C.C. 14/4/2022
chiedendo  che  fossero  condannati  al  rilascio  del  predio  di  NOME COGNOME  e  al  pagamento  delle  somme  dovute  dal  15  marzo  1993, con interessi e rivalutazione.
Espose,  a  sostegno  della  domanda,  che  i  convenuti  avevano chiesto  ed  ottenuto  dal  Commissario  regionale  per  gli  usi  civici dell’Abruzzo l’autorizzazione ad occupare temporaneamente il demanio  di  Vio  COGNOME  a  decorrere  dal  15  marzo  1993,  dietro pagamento di un canone mensile di lire 2.400.000, canone che non era stato effettivamente versato se non per i primi due mesi.
Si costituirono in giudizio i tre convenuti, eccependo preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, l’incompetenza del giudice adito per essere la causa di competenza della Sezione specializzata agraria e la nullità dell’atto di citazione per la sua genericità. Rilevarono, nel merito, che ciascuno di loro aveva ottenuto, dal RAGIONE_SOCIALE di L’Aquila, specifici atti di concessione di specifiche porzioni dei terreni in questione, prorogati di anno in anno, e di aver sempre pagato i relativi canoni.
Svolta l’istruttoria con acquisizione di documenti ed espletamento  di  una  c.t.u., il  Tribunale  accolse  la  domanda, condannò  i  convenuti  al  rilascio  dei  terreni  in  questione  e  al risarcimento  dei  danni  liquidati  nella  somma  complessiva  di  euro 310.242,82, nonché al pagamento delle spese di giudizio.
La sentenza è stata impugnata dai convenuti soccombenti e la  Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza del 25 luglio 2019, in parziale accoglimento del gravame, ha ridotto l’entità della condanna  a  carico  degli  appellanti  alla  minore  somma  di  euro 268.521,06, compensando le spese di entrambi i gradi nella misura di un quarto e ponendo a carico degli appellanti gli altri tre quarti.
Ha  osservato  la  Corte  territoriale,  innanzitutto,  che  doveva essere  rigettata  l’eccezione  di  nullità  dell’atto  di  citazione,  posto che dagli atti emergeva in modo chiaro che il RAGIONE_SOCIALE aveva agito «per  porre  fine  all’illegittima  condotta  degli  appellanti  che,  dopo
aver ottenuto un’autorizzazione provvisoria del Commissario regionale per gli usi civici di occupare il demanio di Vio COGNOME, già riconosciuto demaniale  di uso civico», previo  pagamento  del canone di lire 2.400.000 mensili, una volta occupato il fondo «non avevano più versato alcunché», rifiutandosi nello stesso tempo di restituirlo  in  quanto  si  erano  proclamati  possessori  dei  terreni  in questione.
La Corte d’appello ha poi respinto sia l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario sia l’eccezione di incompetenza, rilevando che la natura demaniale del predio occupato e l’oggetto del giudizio non implicavano «un accertamento positivo o negativo di rapporti soggetti alla normativa in materia di contratti agrari»; tanto più che gli stessi appellanti avevano affermato, a sostegno delle loro ragioni, di essere assegnatari di parte dei terreni, il che dimostrava l’estraneità della vicenda rispetto ai contratti agrari.
Ciò premesso, la Corte abruzzese ha osservato che non vi era alcuna prova -contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti -dell’esistenza di un rapporto di pascipascolo, anche perché risultava dagli atti che gli COGNOME «avevano avuto in assegnazione, ciascuno per una parte, il predio di COGNOME». Tale assegnazione, però, risaliva all’anno 2001, mentre l’occupazione abusiva aveva avuto inizio nel 1993 e si era protratta per diversi anni; ed era pacifico, d’altra parte, che «fino ai provvedimenti di assegnazione temporanea nessuna somma era stata versata al RAGIONE_SOCIALE dagli occupanti». Risultava comunque che, a partire dal momento in cui erano intervenuti i provvedimenti di assegnazione, il RAGIONE_SOCIALE aveva tratto un provento da quei fondi, del quale occorreva tenere conto ai fini della liquidazione del debito complessivo a carico degli occupanti.
La  Corte  d’appello,  quindi  dando  atto  che  gli  COGNOME avevano versato la somma di euro 5.000 richiesta per l’anno 2005 e che una parte dei terreni in questione era stata loro assegnata
negli anni 20012005 e per l’anno 2013 ha ritenuto di confermare integralmente  la  condanna  inflitta  dal  Tribunale  «con  riferimento all’occupazione dell’area (particella 65) su cui insistono i fabbricati» detenuti  abusivamente  dal  1993,  detraendo  invece  dal  debito complessivo le somme indicate dal c.t.u. relative agli anni nei quali vi  era  stata  l’assegnazione  dei  fondi.  In  tal  modo  la  condanna stabilita dal Tribunale doveva essere parzialmente ridotta.
 Contro  la  sentenza  della  Corte  d’appello  di  L’Aquila  hanno proposto ricorso NOME, NOME e NOME COGNOME con un unico atto affidato a sei motivi.
Il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE L’Aquila non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Fissato il ricorso in decisione per la camera di consiglio del 10 febbraio 2023, questa Terza Sezione, con ordinanza interlocutoria 20 settembre 2023, n. 26887, ha rimesso la decisione alle Sezione Unite  in  relazione  al  secondo  motivo  di  ricorso,  che  poneva  una questione di riparto di giurisdizione.
Le  Sezioni  Unite  di  questa  Corte,  con  ordinanza  12  aprile 2024, n. 9941, hanno rigettato il secondo motivo di ricorso, hanno dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario ed hanno rimesso a questa Sezione la decisione degli ulteriori motivi.
La trattazione è stata quindi fissata ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ. e il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360,  primo  comma,  n.  3),  cod.  proc.  civ.,  violazione  e  falsa applicazione  degli  artt.  12,  13  e  112  cod.  proc.  civ.,  in  relazione alla determinazione dell’oggetto del giudizio.
I ricorrenti ricordano di aver sempre sostenuto, fin dal giudizio di  primo  grado,  di  utilizzare  individualmente  parti  dei  terreni  in questione, sulla base di «regolari concessioni amministrative quinquennali» tuttora in corso. Ne consegue che i giudici di merito
avrebbero dovuto valutare anche il legittimo affidamento delle zone di pascolo, mentre nella decisione essi avevano tenuto conto solo della  domanda  e  non  anche  delle  eccezioni  dei  convenuti,  con conseguente violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
1.1.  Il  motivo  è  inammissibile  per  una  serie  di  concorrenti ragioni.
La Corte osserva, innanzitutto, che esso è formulato con una tecnica non rispettosa dell’art. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ., dal momento che non riproduce, né direttamente né indirettamente,  quale  sia  il  contenuto  delle  pretese  eccezioni  non esaminate e si limita a richiamare una serie di atti senza indicare se, come e dove siano stati messi a disposizione di questa Corte.
La censura, peraltro, è inammissibile anche a prescindere dalle carenze  ora  indicate,  perché  dimostra  di  non  cogliere  la ratio decidendi della  sentenza  impugnata  la  quale,  contrariamente  a quanto sostengono gli appellanti, ha esaminato e tenuto in considerazione tutti gli elementi asseritamente omessi.
Del tutto oscura appare, poi, la censura di pretesa violazione degli artt. 12 e 13 del codice di rito.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360,  primo  comma,  n.  3),  cod.  proc.  civ.,  violazione  e  falsa applicazione dell’art. 34 cod. proc. civ. e dell’art. 56 della legge 3 maggio 1982, n. 203.
I  ricorrenti  sostengono  che  la  sentenza  impugnata  avrebbe erroneamente  rigettato  l’eccezione  di  incompetenza  sollevata  in relazione  alla  presunta  competenza  della  Sezione  specializzata agraria, mentre la sussistenza di contratti di pascipascolo avrebbe dovuto essere tenuta in considerazione a tali fini.
2.1.  Il  motivo  è  inammissibile  per  una  serie  di  concorrenti ragioni.
La Corte osserva, innanzitutto, che esso è formulato con una tecnica non rispettosa dell’art. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ., dal momento che richiama atti e documenti senza indicare se, come e dove siano stati messi a disposizione di questa Corte.
Oltre  a  ciò,  anche  questo  motivo  dimostra  di  non  cogliere  la ratio decidendi della sentenza impugnata la quale, contrariamente a quanto sostengono gli appellanti, ha esaminato e spiegato, con argomentazioni corrette e prive di vizi logici, le ragioni per le quali ha ritenuto non fondata l’eccezione di incompetenza e inesistente il contratto di pascipascolo.
 Con  il  quarto  motivo  di  ricorso  si  lamenta,  in  relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 164 cod. proc. civ., in relazione alla presunta nullità dell’atto di citazione.
I ricorrenti rilevano che la Corte d’appello avrebbe errato nell’affermare l’inesistenza del vizio di nullità dell’atto di citazione da loro eccepito fin dal primo grado. La nullità deriverebbe, invece, dal fatto che nell’atto di citazione non era stato spiegato se «la pretesa avanzata era basata sul rapporto concessorio intercorrente tra le parti o su una occupazione di fatto e abusiva». I vizi dell’atto di citazione, che i ricorrenti definiscono come «evidenti», non avrebbero potuto essere eliminati con la semplice e generica affermazione secondo cui era chiara la finalità del RAGIONE_SOCIALE di porre fine ad un’occupazione illegittima.
3.1.  Il  motivo  è  inammissibile  per  una  serie  di  concorrenti ragioni.
Fermo restando, anche in relazione a questo motivo, il rilievo di  inammissibilità  derivante  dalla  redazione  del  ricorso  con  una tecnica non rispettosa dell’art. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ.,  la  Corte  osserva  che  la  censura  non  si  misura  con  l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata la quale, contrariamente a  quanto  sostengono  gli  appellanti,  ha  spiegato  chiaramente  le
ragioni per le quali l’atto di citazione non poteva essere considerato nullo,  dal  momento  che  in  esso  erano  chiaramente  spiegati  quali fossero  il petitum e  la causa  petendi della  domanda  giudiziaria avanzata in primo grado dal RAGIONE_SOCIALE di L’Aquila.
 Con  il  quinto  motivo  di  ricorso  si  lamenta,  in  relazione all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, che sono stati oggetto di discussione tra le parti.
Secondo i ricorrenti, la decisione impugnata sarebbe in aperto contrasto con il fatto che al momento di inizio del giudizio odierno (anno 2005) i ricorrenti non potevano essere considerati occupanti abusivi dei terreni, posto che essi erano stati assegnatari di questi con concessioni quinquennali e il canone fissato veniva regolarmente pagato.
4.1.  Il  motivo  è  inammissibile  per  una  serie  di  concorrenti ragioni.
Fermo restando, anche in relazione a questo motivo, il rilievo di  inammissibilità  derivante  dalla  redazione  del  ricorso  con  una tecnica non rispettosa dell’art. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ., ed anche volendo trascurare l’assoluta genericità della censura, la Corte osserva che il motivo non si misura con l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata.
La  Corte  di  merito,  infatti,  ha  spiegato  in  modo  corretto  e argomentato  che  i  ricorrenti  erano  da  considerare  in  un  primo tempo occupanti abusivi, mentre successivamente avevano ottenuto  concessioni  rinnovate  anno  per  anno,  in  relazione  alle quali avevano pagato il dovuto solo in piccola parte; elemento che, comunque, ha condotto la Corte abruzzese a ridurre, in proporzione, la misura della condanna inflitta in primo grado.
Ciò significa, all’evidenza, che non ha senso parlare di omesso esame di fatti decisivi.
Con il sesto motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360,  primo  comma,  n.  3),  cod.  proc.  civ.,  violazione  e  falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., sul rilievo per cui il  giudice  di  merito  avrebbe  deciso  la  causa  senza  fondarsi  su alcuna prova.
I ricorrenti osservano che il RAGIONE_SOCIALE non avrebbe mai dato prova del fatto che essi avevano utilizzato i fabbricati aziendali (inagibili) e che potessero usufruire dei pascoli. A fronte di un’esplicita eccezione in tal senso, il RAGIONE_SOCIALE non avrebbe contestato tali fatti. La sentenza, poi, avrebbe ritenuto dimostrata la circostanza dell’occupazione dei capannoni da parte dei ricorrenti sulla base delle sole affermazioni del c.t.u., non considerando che la consulenza tecnica non è un mezzo di prova.
5.1.  Il  motivo  è  inammissibile  per  una  serie  di  concorrenti ragioni.
La Corte osserva che le censure ivi prospettate, oltre ad essere del  tutto  generiche  nella  loro  formulazione,  non  indicano  in  alcun modo  quali  sarebbero  le  eccezioni  formulate  e  non  contestate, senza contare che gli stessi ricorrenti sostanzialmente riconoscono (p. 2) di aver occupato i terreni già dal 1993, il che significa che la censura è posta in modo evidentemente capzioso.
Si tratta, comunque, di un tentativo di ottenere in questa sede un diverso e non consentito esame del merito.
6. Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.
Non occorre provvedere sulle spese, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato.
Sussistono tuttavia i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma  1quater ,  del  d.P.R.  30  maggio  2002,  n.  115,  per  il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La  Corte,  dato  atto  della  decisione  del  secondo  motivo  di ricorso  con  l’ordinanza  delle  Sezioni  Unite  n.  9941  del  2024, provvedendo sui restanti motivi ai sensi dell’art. 142 disp. att. cod. proc. civ., dichiara il ricorso inammissibile.
Ai  sensi  dell’art.  13,  comma  1 -quater ,  del  d.P.R.  30  maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per  il  versamento,  da  parte  dei  ricorrenti,  dell’ulteriore  importo  a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
Così  deciso  in  Roma,  nella  camera  di  consiglio  della  Terza