Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 905 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 905 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28824/2020 R.G. proposto da :
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COMUNE DI COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 1432/2020 depositata il 26/02/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME aveva adito nel febbraio 2009 il Tribunale di Latina convenendo in giudizio il Comune di Sabaudia e chiedendone la condanna a risarcire i danni da indebita occupazione di un terreno in località INDIRIZZO, iniziata con l’occupazione temporanea disposta nel marzo 1989 (la domanda era stata preceduta da altra dello stesso contenuto, proposta con atto di citazione notificato nel giugno 2000 avanti al Tribunale di Latina, che aveva rilevato con sentenza n.1272/2002 il difetto di giurisdizione dell’AGO; era seguita nel febbraio 2004 l’introduzione di un nuovo giudizio avanti al TAR del Lazio -sez. dist. di Latina-, che aveva ritenuto invece, con sentenza n.183/2006 di dichiarazione di inammissibilità, la giurisdizione ordinaria; era quindi seguita l’introduzione del presente giudizio).
Il Comune si era costituito eccependo la prescrizione della pretesa risarcitoria, che contestava altresì nel merito.
Il Tribunale di Latina aveva respinto l’eccezione di prescrizione, affermando costituire, l’occupazione non seguita da provvedimento legittimante l’acquisizione del bene da parte della PA , illecito permanente; la persistente illegittima privazione della disponibilità del bene precludeva infatti il decorso del termine; ne era seguita, tenuto conto dell’esito della disposta CTU, la condanna del Comune a pagare a titolo risarcitorio l’importo di € 80.601,50, oltre accessori e spese.
Il Comune di Sabaudia aveva proposto appello reiterando l’eccezione di prescrizione e contestando comunque l’entità dell’importo liquidato a titolo di danno.
Costituitosi ritualmente il contraddittorio, la Corte d’Appello di Roma aveva accolto l’appello, del quale aveva premesso l’ammissibilità in base al disposto dell’art.342 c.p.c., dichiarando prescritta la pretesa creditoria azionata da NOME COGNOME. La Corte di merito aveva così motivato: -non è condivisibile la qualificazione quale illecito permanente all’occupazione di cui si discute; -l’illecito, se fosse permanente, si perfezionerebbe solo all’atto della restituzione del bene, mentre nel caso di specie si controverte in tema di danni derivanti da una cd occupazione acquisitiva, la quale presuppone invece la perdita definitiva del bene a causa della sua trasformazione conseguente all’ultimazione dell’opera pubblica; appare corretto quindi individuare il momento iniziale di decorso del termine di prescrizione nella data di scadenza dell’occupazione legittima oppure nel momento di irreversibile trasformazione del fondo, se intervenuta dopo; nel caso di specie l’occupazione è iniziata nel marzo 1989 e il termine dei lavori è certificato al 13.12.1993, dopo la scadenza del termine quinquennale previsto per l’emissione del decreto espropriativo; -a far data dal 13.12.1993 nessuna valenza interruttiva può essere attribuita alla notificazione dell’atto introduttivo di un giudizio equivalente al presente, avvenuta in data 8.6.2000, perché oltre il quinquennio.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza de lla Corte d’appello di Roma articolandola su due motivi: con il primo lamenta la violazione e/o l’errata applicazione degli art.2935 c.c. e 2947 c.c. in materia di prescrizione, mentre con il secondo lamenta la violazione dell’art.342 c.p.c. per carenza di specificità dell’atto di appello, dal quale avrebbe dovuto conseguire l’inammissibilità dell’impugnazione.
Il Comune di Sabaudia resiste con controricorso, sottolineando che il primo atto di citazione con la domanda di risarcimento dei danni risaliva al giugno 2000 e che l’introduzione del presente giudizio, con citazione notificata il 19.2.2009 era seguita dopo
pronunce declinatorie della giurisdizione, prima da parte del Giudice ordinario e poi del TAR; ciò dovrebbe comportare l’applicazione al caso di specie dell’interpretazione giurisprudenziale che regolava la materia all’epoca della prima introduzione del giudizio.
Solo il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Deve essere affrontato per primo il motivo di ricorso riguardante la prospettata violazione del disposto dell’art.342 c.p.c. per carenza di specificità dei motivi di appello, trattandosi di questione processuale idonea a definire il giudizio: ove esso risultasse fondato, infatti, l’appello proposto dal Comune di Sabaudia sarebbe da dichiarare inammissibile, con passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale di Latina inadeguatamente sottoposta a censura.
9.1. Il motivo appare rispettoso del principio di autosufficienza, perché richiama l’atto di appello formato dal Comune di Sabaudia ed evidenzia quelli che ritiene essere i suoi punti critici -pag.4 dell’atto di appello, in relazione alla critica sul decorso del termine quinquennale di prescrizione considerata del tutto confusa e generica; pag.5-6 dello stesso atto sul criterio di calcolo del danno, anche in tal caso con rilievo di genericità e confusione-.
9.2. Si richiama, sul punto, l’orientamento interpretativo di legittimità in concreto appunto rispettato che, proprio in relazione alla denuncia di violazione dell’art.342 c.p.c., evidenzia che ‘ Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – che trova la propria ragion d’essere nella necessità di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte – trova applicazione anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali siano contestati errori da parte del giudice di merito; ne discende che, ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione
dell’art. 342 c.p.c., conseguente alla mancata declaratoria di nullità dell’atto di appello per genericità dei motivi, deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi formulati dalla controparte; l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, proprio per assicurare il rispetto del principio di autosufficienza di esso ‘ -così Cass. 29495/2020-.
9.3. In concreto la doglianza è priva di fondamento, poiché emerge chiaramente la comprensibilità e pertinenza del contenuto dell’impugnazione non solo dalle parti dell’atto di appello richiamate ma anche dalla motivazione della sentenza impugnata, che riporta la sostanza delle difese svolte dall’appellato NOME COGNOME pertinenti rispetto alle doglianze sollevate dal Comune, e, in relazione alle parti del deciso di primo grado effettivamente rimesse in discussione, valuta positivamente il primo motivo di appello proposto all’esito di un iter logico -giuridico che tiene conto della posizioni difensive, evidentemente chiare, delle parti.
9.4. Come infatti evidenziato ripetutamente da questa Corte, nel solco di un orientamento interpretativo consolidato dopo l’intervento delle SSUU con la sentenza n. 27199/2017 , ‘ Essendo l’appello un mezzo di gravame con carattere devolutivo pieno, non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito, il la principio della necessaria specificità dei motivi – previsto dall’art. 342, comma 1, c.p.c. prescinde da qualsiasi particolare rigore di forme, essendo
sufficiente che al giudice siano esposte, anche sommariamente, le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l’impugnazione, ovvero che, in relazione al contenuto della sentenza appellata, siano indicati, oltre ai punti e ai capi formulati, anche, seppure in forma succinta, le ragioni per cui è chiesta la riforma della pronuncia di primo grado, con i rilievi posti a base dell’impugnazione, in modo tale che restino esattamente precisati il contenuto e la portata delle relative censure ‘ -la massima è relativa alla sentenza della Corte di Cass. n.2320/2023, che ha ribadito di recente i richiamati principi già evidenziati dalle SSUU-.
Il primo motivo di ricorso è invece fondato.
10.1. Nella valutazione della prescrizione la Corte d’Appello non ha tenuto conto dell’articolazione del quadro normativo complessivo di riferimento e dell’orientamento interpretativo di legittimità che, a partire dalla sentenza delle SSUU n.735/2015, ha considerato sia le indicazioni emergenti dal diritto unionale e dalle sentenze della CEDU -sulla dubbia legittimità di meccanismi di espropriazione indiretta rispetto ai principi affermati dalla Convenzione EDU-, sia i rilievi espressi dalla Corte Costituzionale con le sentenze n.349/2007 e n.293/2010, sia l’evoluzione legislativa interna che ne è conseguita.
10.2. Con la sentenza n.735/2015 le Sezioni Unite hanno affermato il principio per cui ‘ L’occupazione e la manipolazione del bene immobile di un privato da parte della P.A., allorché il decreto di esproprio non sia stato emesso o sia stato annullato, integra un illecito di natura permanente che dà luogo ad una pretesa risarcitoria avente sempre ad oggetto i danni per il periodo, non coperto dall’eventuale occupazione legittima, durante il quale il privato ha subito la perdita delle utilità ricavabili dal bene sino al momento della restituzione, ovvero della domanda di risarcimento per equivalente che egli può esperire, in alternativa, abdicando alla proprietà del bene stesso. Ne consegue che la prescrizione
quinquennale del diritto al risarcimento dei danni decorre dalle singole annualità, quanto al danno per la perdita del godimento del bene, e dalla data della domanda, quanto alla reintegrazione per equivalente ‘.
10.3. Sul solco dell’orientamento interpretativo così tracciato, l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 22929/2017 ha precisato che la c.d. occupazione appropriativa per fini di pubblica utilità ‘è illegittima al pari dell’occupazione usurpativa, in cui manca la dichiarazione di pubblica utilità ‘ e ha ribadito che si ravvisa ‘ in entrambi i casi un illecito a carattere permanente, inidoneo a comportare l’acquisizione autoritativa alla mano pubblica del bene occupato, che viene a cessare solo per effetto della restituzione, di un accordo transattivo, della compiuta usucapione da parte dell’occupante che lo ha trasformato, ovvero della rinunzia del proprietario al suo diritto, implicita nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente ‘.
10.4. Esaminando il caso di specie alla luce delle indicazioni emergenti dall’orientamento interpretativo di legittimità consolidato sopra esposto (potendo eventualmente rilevare le indicazioni interpretative precedenti -si richiama, in particolare, la sentenza della Corte a SSUU n.7981/2007- ai soli fini della disciplina delle spese processuali, data la pendenza attuale della controversia) si deve osservare che il decorso iniziale del termine di prescrizione è da individuare, in concreto, nella domanda di risarcimento del danno proposta da NOME COGNOME nel giugno 2000, perché (non essendo noto il contenuto dell’atto, solo richiamato nel ricorso per cassazione dal privato, con il quale il Comune di Sabaudia aveva nel febbraio dello stesso anno messo a disposizione l’importo di € 10.097,76 ‘ quale liquidazione per l’esproprio e la temporanea occupazione ‘) in tale data l’attore ricorrente ha implicitamente rinunciato al suo diritto di proprietà sul bene già occupato in base alla delibera della Giunta comunale n.167 del 16.3.1989.
10.5. Risultano poi intervenute plurime interruzioni del termine quinquennale di prescrizione perché, come riconosciuto anche dal Comune: il giudizio introdotto nel giugno 2000 e concluso con sentenza n.1272/2002 del Tribunale di Latina, dichiarativa del difetto di giurisdizione dell’AGO, era stato seguito nel febbraio 2004 dall’introduzione di un nuovo giudizio avanti al TAR del Lazio -sez. dist. di Latina, conclusosi anch’esso con sentenza n.183/2006 di inammissibilità per rientrare la controversia nell’ambito della giurisdizione ordinaria; era quindi seguita, con citazione notificata il 19.2.2009, l’introduzione del presente giudizio.
Alla luce delle considerazioni che precedono, respinto il secondo motivo di appello e accolto il primo, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Roma perché rivaluti la controversia alla luce delle indicazioni che precedono in relazione all’eccezione di prescrizione.
Il giudice di rinvio provvederà altresì alla regolazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte respinge il secondo motivo di ricorso e accoglie il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Roma,