Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4493 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3   Num. 4493  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24223/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato all’indirizzo Pec del difensore, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME. -ricorrente e controricorrente all’incidentale contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato presso l’indirizzo Pec del difensore, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME AVV_NOTAIO.
-ricorrente incidentale- avverso  la  SENTENZA  della  CORTE  D’APPELLO  di  NAPOLI  n. 3235/2021 depositata il 07/09/2021.
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Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/11/2024 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
Rilevato che
RAGIONE_SOCIALE, proprietaria di un complesso alberghiero in Massa  Lubrense,  conveniva  l’RAGIONE_SOCIALE  innanzi  al Tribunale di Torre Annunziata perché fosse condannata al rilascio di  un  locale  all’interno  del  complesso  anzidetto,  detenuto  senza titolo  dal  2002  senza  titolo  e  per  la  sola  materiale  presenza  di una  cabina elettrica nonché  al risarcimento del  danno  per l’illegittima occupazione, e dunque correlato alla mancata disponibilità del locale
Si costituiva, resistendo, RAGIONE_SOCIALE
1.2. Con sentenza del 19 luglio 2017, in parziale accoglimento  della  domanda,  Il  Tribunale  di  Torre  Annunziata condannava l’RAGIONE_SOCIALE al rilascio del locale, rigettava la domanda di risarcimento del danno e compensava tra le parti le spese di lite.
Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE proponeva appello, in particolare allegando che la RAGIONE_SOCIALE aveva sottoscritto un contratto per fornitura ad uso alberghiero e che, ai sensi della clausola sub 1.3. delle condizioni generali, approvata specificamente per iscritto ex art. 1341 cod. civ. nella stipulazione del contratto di somministrazione e dell’importo nella determinazione del prezzo dell’energia, aveva assunto l’obbligo di consentire gratuitamente l’installazione della cabina elettrica, necessaria per la fornitura.
Si costituiva la RAGIONE_SOCIALE, resistendo al gravame, e proponendo appello incidentale con cui si doleva del rigetto della domanda  di  risarcimento  dei  danni,  a  suo  dire  dimostrato  per presunzioni  e  comunque  esistente  in  re  ipsa  per  il  solo  fatto dell’occupazione senza titolo.
2.1.  Con  sentenza  n.  3235/2021  del  7  settembre  2021  la Corte  d’Appello  di  Napoli  rigettava  sia  l’appello  principale  che l’appello incidentale.
 Avverso  tale  sentenza  RAGIONE_SOCIALE  propone  ora ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo.
RAGIONE_SOCIALE  resiste  con  controricorso,  anche  contenente ricorso incidentale.
RAGIONE_SOCIALE  resiste  con  controricorso  al  ricorso incidentale della RAGIONE_SOCIALE
 La  trattazione  del  ricorso  è  stata  fissata  in  adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il PM non ha depositato conclusioni.
Le parti non hanno depositato memorie.
Considerato che
1. Con un unico motivo, articolato in più censure, la ricorrente principale denuncia ‘Error in procedendo et in iudicando -nullità della sentenza ex art. 360, n. 3, c.p.c. per violazione o falsa applicazione di norme di diritto: violazione e falsa applicazione della legge n. 125/2007, violazione e falsa applicazione degli artt. 8.5 e 14.2 Allegato C TIC alla Delibera 654/15 -Omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi del giudizio -Erroneità della sentenza per erroneo apprezzamento dei mezzi istruttori (artt. 2697 c.c., artt. 115 e 116 cpc in relazione agli artt. 360 nn. 3 e 5, c.p.c.). Nullità della sentenza ex art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., per travisamento della prova e conseguente violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che la fattura RAGIONE_SOCIALE dovesse essere contrastata da allegazioni di RAGIONE_SOCIALE‘.
Censura  l’impugnata  sentenza  là  dove  ha  rilevato  che,  a fronte  della  carenza  di  un  titolo  legittimante  l’occupazione  del
locale  per  cui  è  causa  ‘l’RAGIONE_SOCIALE  ha  prodotto  in giudizio,  nel  secondo  termine  ex  art.  183  c.p.c.,  la  copia  di  un contratto datato 19 febbraio 2007 e sottoscritto dall’amministratore  unico  della  RAGIONE_SOCIALE,  e  che  la  clausola anzidetta impone al cliente di concedere al fornitore l’uso di un locale,  salvo  il  diritto  a  un  equo  compenso  solo  quando  gli impianti  non  vengano  prevalentemente  utilizzati  per  fornitura nell’immobile’.
Di seguito si soggiunge: ‘Senonché, all’eccezione dell’RAGIONE_SOCIALE la RAGIONE_SOCIALE ha replicato sostenendo che il contratto anzidetto sarebbe venuto meno a partire dal mese di maggio del 2009: alla prova del titolo di godimento dalla società convenuta nel secondo termine ex art. 183 c.p.c. la società attrice ha tempestivamente opposto, nel terzo termine, la prova contraria desumibile dalla fattura prodotta, da cui si evince che nel mese di maggio 2009 la fornitura di energia elettrica alla RAGIONE_SOCIALE (in Massa INDIRIZZO) è stata eseguita da altra società somministratrice (la RAGIONE_SOCIALE). In mancanza di ulteriori allegazioni da parte dell’RAGIONE_SOCIALE, circa l’eventuale estraneità della fattura all’immobile servito dal contratto del 2007, deve, pertanto, presumersi che il rapporto contrattuale tra le due società sia cessato, con la conseguenza che l’RAGIONE_SOCIALE non dispone più di alcun titolo contrattuale per continuare a utilizzare il locale di proprietà della GAN. Né depone in senso contrario la previsione contenuta sub 1.4 del contratto di fornitura, circa il diritto della cliente a chiedere un equo compenso ove gli impianti non siano prevalentemente utilizzati per forniture nell’immobile, poiché l’avverbio usato (prevalentemente) rende chiaro che gli impianti installati nel locale del cliente siano pur sempre anche al servizio di quest’ultimo. Venuta meno la vigenza del contratto di somministrazione, la detenzione del locale da parte dell’E-
RAGIONE_SOCIALE  non  è  più  sorretta  da  alcun  titolo  giuridico, per cui la condanna al rilascio è conforme a diritto’.
Si lamenta quindi che la corte territoriale avrebbe fatto mal governo della regola di riparto dell’onere della prova e della valutazione delle risultanze probatorie acquisite in giudizio, attribuendo esclusiva rilevanza alla cessazione del contratto di somministrazione tra RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE e trascurando di considerare che il diritto di quest’ultima di continuare a detenere il locale ove è situata la cabina elettrica non attiene alla fornitura, bensì alla RAGIONE_SOCIALE.
Si aggiunge che il fatto che si tratterebbe di questione diversa dalla vendita risulterebbe con chiarezza dal tenore letterale delle condizioni generali del contratto, come detto ritualmente depositato in prime cure in allegato alla memoria n. 2 del 183, che testualmente, all’art. 1.3, recita: ‘ove motivi tecnici lo rendano necessario, il Cliente è tenuto a concedere o a far concedere al Fornitore l’uso di un locale, con diretto accesso dalla strada, idoneo all’installazione delle apparecchiature necessarie per l’esecuzione della fornitura’.
E, sulla base di normativa primaria e secondaria (anche norme dell’Authority) del settore elettrico, si asserisce che ‘Quello che più rileva però nell’odierna controversia è precisare che le condizioni di trasporto dell’energia elettrica non sono affatto cambiate con il cambio del fornitore! Esse, infatti, restano identiche in quanto tutti i fornitori per ottenere la RAGIONE_SOCIALE di energia elettrica dall’unico concessionario di stato sono tenute ex lege ad aderire alle condizioni generali di trasporto dell’energia lungo la rete fino al punto di consegna del cliente finale’.
1.1. Il motivo è inammissibile, per plurime ragioni.
In  disparte  il  non  marginale  rilievo  per  cui  si  fa  anche riferimento ad un vizio che non esiste più, dato che in rubrica si menziona  il  vizio di ‘omessa,  insufficiente e contraddittoria
motivazione circa fatti controversi e decisivi del giudizio’, nell’unico (per non dire ‘indistinto’) motivo la società ricorrente deduce una molteplicità di profili  con  inestricabile  combinazione tra questioni di fatto e questioni di diritto (v. Cass. 19959/2014; 25332/2014).
1.1.2.  Viene  inoltre  evocato  il  vizio  di  violazione  e  falsa applicazione di legge ex art. 360, n. 3, cod. proc. civ., in maniera non conforme agli insegnamenti di questa Suprema Corte.
Quanto all’art. 2697 c.c. non si rispetta il principio di diritto secondo cui: <>  (v.  la  recente  Cass.,  15/10/2024,  n. 26739,  e  precedenti  conformi,  fra  cui  già  Cass.,  Sez.  Un.,  n. 16597 del 2016, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto).
Quanto all’art. 115 ed all’art. 116 c.p.c., si ricorda che è stato costantemente precisato che per dedurre la violazione dell’articolo 115 cod. proc. civ. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio). Mentre quanto al presupposto della violazione dell’articolo 116 cod. proc. civ. è invece che il giudice, nel valutare una risultanza probatoria, non abbia operato (in assenza di diversa indicazione normativa) secondo il suo ‘prudente apprezzamento’, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria
(come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento; diversamente, ove si deduca che il giudice abbia solo male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui è ancora consentito il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione, e dunque solo in presenza dei gravissimi vizi motivazionali individuati dalle stesse Sezioni Unite (Cass., Sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34474; Cass., Sez. Un. n. 20867/20, cit.; e già Cass. n. 11892 del 2016).
Le critiche che la ricorrente rivolge alla impugnata sentenza si risolvono, infatti, al di là dell’apparente deduzione di vizi di violazione di legge, in una contestazione del cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove (non legali) da parte del giudice di merito e non sono, pertanto, inquadrabili neppure nel pur formalmente invocato paradigma dell’articolo 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio.
Anche la critica allo svolgimento del ragionamento presuntivo non viene svolta nell’ambito della violazione di legge, dato  che  non  si  concentra  sull’insussistenza  dei  requisiti  della presunzione nel ragionamento condotto nella sentenza impugnata,  ma  perviene  a  svolgere  argomentazioni  dirette  ad infirmarne la plausibilità, criticando la ricostruzione del fatto.
In conclusione, non emergono, dal ricorso in esame, né la precisa  indicazione  delle  norme  di  diritto  asseritamente  violate, né  la  specifica  indicazione  delle  affermazioni  contenute  nella
sentenza impugnata che si assumono essere in contrasto con le norme regolatrici  della  fattispecie  e  con  la  loro  interpretazione, come  stabilito  da  consolidato  orientamento  di  questa  Corte (Cass., 02/03/2018, n. 5001; Cass., 12/01/2016, n. 287; Cass., 20/08/2015, n. 17060).
La società ricorrente, che nell’ambito del motivo proposto espressamente perviene a lamentare ‘l’erroneo apprezzamento dei mezzi istruttori’ da parte della corte di merito, anche citando Delibere e comunque atti amministrativi (artt. 8.5 e 14.2 dell’Allegato C TIC alla delibera ARERA 654/2015) -per i quali non opera il principio jura novit curia – senza specificare se, dove e quando, nel precedente contesto processuale, li abbia in precedenza prodotti ed abbia svolto allegazioni fondate sul loro contenuto precettivo, mira ad un riesame delle risultanze probatorie, e comunque del merito della causa, precluso in questa sede di legittimità (Cass., Sez. un., 07/04/2014, n. 8053 e n. 8054, già citate).
5. Con il primo motivo di ricorso incidentale la Gan denuncia ‘Violazione o falsa  applicazione  delle  norme  di  diritto  dettate  in materia di ripartizione dell’onere della prova del danno conseguente  alla  occupazione  illegittima  di  cespiti  immobiliari. Erronea interpretazione dei precedenti giurisprudenziali che ritengono tale tipologia di danno presunta salvo la prova contraria che deve essere fornita dall’occupante senza titolo’.
Lamenta che la corte territoriale le ha negato il risarcimento del  danno,  che  doveva  perlomeno  essere  considerato  quale danno presunto.
Critica la motivazione svolta dall’impugnata sentenza evocando un orientamento di legittimità -a suo dire contrapposto a quello citato nell’impugnata sentenza –  in  tema  di  danno in  re ipsa da occupazione illegittima e, rilevando un contrasto giurisprudenziale,  sollecita  la  rimessione  della  questione  alle
Sezioni Unite.
5.1. Il motivo è inammissibile ex art. 360bis n. 1 cod. proc. civ.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno già avuto modo di affermare che, in caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno emergente è la concreta possibilità, andata perduta, di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto, mediante concessione a terzi dietro corrispettivo (restando, invece, non risarcibile il venir meno della mera facoltà di non uso, quale manifestazione del contenuto del diritto sul piano astratto, suscettibile di reintegrazione attraverso la sola tutela reale); e che il fatto costitutivo del diritto al risarcimento del lucro cessante è lo specifico pregiudizio subito, rappresentato dall’impossibilità di concedere il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato o di venderlo ad un prezzo più conveniente di quello di mercato.
Entrambe le voci di danno, inoltre, devono formare oggetto di allegazione, dovendosi dedurre, quanto al danno emergente, la concreta possibilità di godimento perduta e, quanto al lucro cessante, lo specifico pregiudizio subito (sotto il profilo della perdita di occasioni di vendere o locare il bene a un prezzo o a un canone superiore a quello di mercato), di cui, a fronte della specifica contestazione del convenuto, l’attore è chiamato a fornire la prova anche mediante presunzioni o richiamo alle nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza (cfr. Cass., Sez. Un., 15/11/2022, n. 33645).
Orbene,  dalla  lettura  dell’impugnata  sentenza  risulta  che  la corte  di  merito  ha  rigettato  la  domanda  risarcitoria  della  RAGIONE_SOCIALE pronunciando conformemente ai suindicati principi di diritto.
Con il secondo motivo di ricorso incidentale, dedotto in via
subordinata al precedente, la Gan denuncia ‘Omesso esame, da parte  della  Corte  d’Appello  di  Napoli,  di  documenti  in  grado  di comprovare l’esistenza del danno lamentato dalla RAGIONE_SOCIALE e di fornire indizi circa la sua entità. Conseguente violazione dell’art. 360, comma I, n. 5 del codice di procedura civile’.
Lamenta che il giudice del merito, nel ritenere non provato, neppure  in  via  presuntiva,  il  danno  lamentato  dalla  odierna ricorrente incidentale, avrebbe omesso di valutare alcuni elementi che, se invece presi in considerazione,  avrebbero condotto ad una differente decisione.
Deduce, in particolare, che la corte non avrebbe tenuto conto né della circostanza che il locale oggetto di causa avesse accesso autonomo alla piazza principale di una delle più rinomate località balneari del mondo, e dunque fosse funzionale alla ottimale organizzazione della struttura alberghiera in cui era situato, né delle proposte di concessione in locazione e di vendita del locale in questione, sempre rifiutate da essa RAGIONE_SOCIALE; circostanze tutte che, se invece considerate, avrebbero dovuto indurre ad una diversa valutazione circa l’esistenza e l’entità del danno risarcibile.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Non trascrive il contenuto dei documenti evocati e non chiarisce se e dove i fatti rappresentati nei documenti medesimi, e la cui valutazione sarebbe stata omessa, erano già stati oggetto di argomentazione in primo grado e, soprattutto, dn ell’ àmbito devolutivo del giudizio di appello, per cui, in pratica, come eccepisce pure parte ricorrente principale, non indica -in manifesta violazione dei criteri indicati dalle citate sentenze delle Sezioni Unite nn. 8053 e 8054 del 2014 – se e dove risultasse che la corte territoriale dovesse occuparsene.
Secondo  consolidato  orientamento  questa  Corte,  qualora  il ricorrente, in sede di legittimità, denunci l’omessa valutazione di
prove documentali, per il principio di autosufficienza codificato nell’art. 366, n. 6, cod. proc. civ., ha l’onere non solo di trascrivere il testo integrale, o la parte significativa del documento nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare gli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate nel giudizio di merito, pena l’irrilevanza giuridica della sola produzione, che non assicura il contraddittorio e non comporta, quindi, per il giudice alcun onere di esame, e ancora meno di considerazione dei documenti stessi ai fini della decisione (v. tra le tante Cass., 21/05/2019, n. 13625).
La censura, pertanto, si risolve in una affermazione apodittica e  nella  mera  prospettazione,  in  via  oppositiva,  di  un  risultato interpretativo  difforme  da  quello  cui  è  pervenuta  la  corte  di merito.
In conclusione, vanno dichiarati inammissibili sia il ricorso principale sia il ricorso incidentale.
 Le  spese  del  giudizio  di  legittimità  sono  integralmente compensate, stante la reciproca soccombenza delle parti.
P.Q.M.
La  Corte  dichiara  inammissibile  il  ricorso  principale  ed  il ricorso incidentale.
Compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai  sensi  dell’art.  13  comma  1 -quater del  d.P.R.  n.  115  del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,  da  parte  sia  della  ricorrente  principale  che  della ricorrente incidentale, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto  per  il  ricorso,  a  norma  del  comma  1bis ,  dello  stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza