Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23088 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 23088 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 11/08/2025
1. NOME COGNOME e sodali ricorrono per cassazione avverso le sopra riportate sentenze con le quali la Corte di appello di Potenza, di seguito alla cassazione ad opera dell’ordinanza 10680/2014 di questa Corte di un suo pregresso pronunciamento, ha rinnovato il giudizio in merito al contenzioso corrente tra i COGNOME ed il Consorzio per lo sviluppo industriale di Potenza e la COVIP RAGIONE_SOCIALE circa l’irreversibile trasformazione di un fondo di loro proprietà già oggetto di un decreto di espropriazione annullato dal TAR ;e, per quel che qui ancora rileva, con la prima delle sentenze per cui è ora ricorso, adottata in via non definitiva, ha dichiarato inammissibile la domanda dei Tolla intesa a sentir ordinare alla RAGIONE_SOCIALE il rilascio immediato del bene e con la seconda sentenza, parimenti ricorsa, adottata in via definitiva, ha dichiarato ancora inammissibile la domanda dei Tolla intesa a sentir condannare RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni derivanti dal mancato godimento del fondo dalla data della sua irreversibile trasformazione al rilascio.
A conforto del primo deliberato, il giudice di appello, preso atto che, nell’impugnare la sentenza di primo grado, i COGNOME avevano espressamente precisato che «la domanda di originaria retrocessione non è stata ulteriormente convalidata», chiedendo perciò che la Corte adita affermasse l’obbligo del Consorzio al risarcimento in loro favore del danno subito in conseguenza dell’intera perdita del fondo,
ha sostenuto che «il tenore delle difese e delle conclusioni formulate dai signori COGNOME NOME e COGNOME NOME nell’atto di appello non lasciano adito a dubbi in ordine al definitivo abbandono della domanda -pure articolata nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado dinanzi al tribunale di Potenza -di condanna delle parti convenute (il RAGIONE_SOCIALE Provincia di Potenza e la società RAGIONE_SOCIALE) alla restituzione del suolo sottratto», con l’ovvio riflesso che si palesano così del tutto inammissibili la domanda restitutoria avanzata dai COGNOME con l’atto di citazione in riassunzione notificato ai sensi dell’art. 392 cod. proc. civ.
Riguardo al secondo deliberato il decidente si è detto invece convinto che, sebbene in relazione a profili risarcitori sottesi alla vicenda in disamina la titolarità del relativo obbligo risarcitorio faccia capo al Consorzio per aver proceduto esso alla materiale apprensione del terreno e alle società convenute per aver esse conservato l’occupazione dell’immobile senza titolo, occorre, tuttavia, prendere atto che la sentenza di primo grado «ha condannato esclusivamente il Consorzio a pagare agli attori a titolo di risarcimento del danno per la perdita della proprietà» la somma all’uopo dovuta, sicché avendo i COGNOME prestato acquiescenza al capo della pronuncia del Tribunale di Potenza concernente l’estraneità della società RAGIONE_SOCIALE alla vicenda risarcitoria ed avendo essi chiesto espressamente all’adita Corte di Appello che soltanto in riferimento alla posizione del Consorzio RAGIONE_SOCIALE della Provincia di Potenza la sentenza del Tribunale di Potenza fosse riformata nei termini esposti nell’atto di appello, deve considerarsi «inammissibile» la domanda avanzata dai COGNOME di condanna anche di COVIP MODE al chiesto risarcimento del danno.
Il mezzo ora proposto dai Tolla si vale di quattro motivi ai quali ha inteso aderire con ricorso incidentale adesivo il Consorzio, mentre non ha svolto attività processuale RAGIONE_SOCIALE.
Il Procuratore Generale ha formalizzato le proprie conclusioni chiedendo l’accoglimento del primo, del secondo e del terzo motivo del ricorso principale e l’accoglimento del ricorso incidentale, inammissibile risultando il quarto motivo di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso -con cui si censura la sentenza non definitiva per violazione degli artt. 384, 389 e 394 cod. proc. civ., nonché degli artt. 112, 342 e 345 cod. proc. civ. per non essersi essa attenuta al principio di diritto enunciato dall’ordinanza cassatoria 10680/2014, dato che, essendosi ivi ricondotta la vicenda in esame, caratterizzata da un preventivo annullamento del provvedimento di esproprio, nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 934 cod. civ., non si sarebbe potuto statuire l’inammissibilità, viceversa decretata dal decidente di appello, della domanda di restituzione del bene -nonché l’analoga doglianza fatta valere con il ricorso incidentale adesivo, sono fondati e meritano adesione.
Giova previamente rammentare che nel motivare l’accoglimento del pregresso ricorso per cassazione l’ordinanza sopra citata si è data cura di compendiarne le ragioni osservando che «la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato che la illegittima occupazione di un fondo privato in seguito all’annullamento, da parte del giudice amministrativo, del decreto di espropriazione comporta l’obbligo dell’espropriante alla restituzione dell’immobile al proprietario, non essendo configurabile una vicenda di occupazione ed. espropriativa, il cui fondamento è nella conservazione alla mano pubblica di un’opera destinata a soddisfare un interesse della P.A. e, quindi, un’opera intrinsecamente pubblica
(Cass 7514/11). La realizzazione senza titolo di opere e manufatti di natura privata su terreno altrui, pur se conformi agli strumenti urbanistici ed autorizzati dall’autorità comunale, è, infatti, disciplinata non dalla regola dell’occupazione appropriativa, ma dalla specifica disposizione dell’art. 934 cod. civ. che, ponendo il principio dell’accessione, stabilisce che la costruzione si incorpora al suolo ed appartiene immediatamente al proprietario di questo, senza attribuire rilevanza alcuna alla sua consistenza o alla sua destinazione né alla coincidenza o meno degli interessi dell’esecutore con quelli della collettività, pur rivelati da una dichiarazione di pubblica utilità, conseguendo da ciò che la costruzione su fondo altrui di opere e manufatti appartenenti a privato, ma in assenza di provvedimenti di esproprio o asservimento, configura un fatto illecito di natura permanente, che obbliga al risarcimento del danno non già il Comune che ha dato luogo all’occupazione (tenuto all’indennizzo relativo), ma l’autore dell’illegittima detenzione del bene dopo la scadenza del periodo di occupazione, per non aver consentito al proprietario il pieno ed esclusivo godimento del fondo (Cass 23798/06)».
Come bene ha osservato il Procuratore Generale il presupposto di questa pronuncia è che la domanda restitutoria dei Tolla non sia mai venuta meno, diversamente non potendo giustificarsi l’applicazione dell’art. 934 cod. civ. che costituisce un modo di acquisto della proprietà in ragione del quale il proprietario del suolo diviene proprietario delle opere che altri vi realizza e può perciò esercitare i diritti corrispondenti all’esserne divenuto proprietario, ivi compreso quello di reclamarne la restituzione se altri illegittimamente li detenga. L’intangibilità che governa l’affermato principio di diritto non trova ostacolo nella circostanza che la domanda restitutoria non fosse stata più coltivata in conseguenza del rigetto pronunciatone in
primo grado, perché, come è noto, i limiti e l’oggetto del giudizio di rinvio sono fissati esclusivamente dalla sentenza di cassazione, la quale non può essere sindacata o elusa dal giudice di rinvio, neppure in caso di violazione di norme di diritto sostanziale o processuale o per errore del principio di diritto affermato, la cui giuridica correttezza non è sindacabile dal giudice del rinvio ( ex plurimis , Cass., Sez. II, 29/10/2018, n. 27343), con la conseguenza che dovendo quel giudice attenersi al principio fissato con la decisione cassatoria, non gli è consentito di circoscriverne la portata o di limitarne altrimenti gli effetti, segnatamente dando ingresso a valutazioni e giudizi che l’efficacia di quel principio tendono a porre in non cale, tanto più se le circostanze che ne legittimano la rilevanza siano state già acquisite al giudizio e siano perciò già ricomprese nel materiale processuale delibato dalla Corte di cassazione. In sostanza, come si è già altrove più volte affermato, il giudice del rinvio deve uniformarsi non solo alla regola giuridica enunciata, ma anche alle premesse logico-giuridiche della decisione, attenendosi agli accertamenti già compresi nell’ambito di tale enunciazione, senza poter estendere la propria indagine a questioni che, pur se non esaminata nel giudizio di legittimità, costituiscono il presupposto stesso della pronuncia, formando oggetto di giudicato implicito interno, atteso che il riesame delle suddette questioni tende a porre nel nulla, può limitare gli effetti della sentenza cassatoria, in contrasto con il principio di intangibilità ( ex plurimis , Cass., Sez. I, 3/03/2022, n. 7091).
La sentenza non definitiva qui impugnata, nel dichiarare inammissibile la domanda restitutoria dei Tolla non si è attenuta al quadro di diritto cui si è fatto cenno e va perciò cassata.
Il secondo motivo di ricorso -con cui si censura la sentenza definitiva per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunziato e per contraddittorietà, illogicità e travisamento in relazione agli artt. 277 e 278 cod. proc. civ. per aver essa dichiarato inammissibile la domanda risarcitoria in danno di RAGIONE_SOCIALE quantunque nella sentenza non definitiva, pronunciata di seguito alla cassazione di una sua precedente decisione, la Corte di appello non interloquendo sullo specifico profilo della responsabilità di questa, avesse lasciato intendere che dell’illecito riscontrato dovesse rispondere anche COVIP -; ed il terzo motivo di ricorso -con cui si censura la sentenza definitiva per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, per contraddittorietà e travisamento dei fatti, omesso esame di un fatto decisivo ed ancora per violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 100 e 102 cod. proc. civ., in relazione all’art. 394 cod. proc. civ. cod. proc. civ. per non essersi attenuta al principio di diritto enunciato dall’ordinanza cassatoria 10680/2014 dato che, essendosi ivi ricondotta la vicenda in esame, caratterizzata da un preventivo annullamento del provvedimento di esproprio, nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 934 cod. civ., non si sarebbe potuta statuire l’inammissibilità, viceversa decretata dal decidente di appello, della domanda risarcitoria in danno di RAGIONE_SOCIALE non essendo ravvisabile la rinuncia ad una pretesa sorta in dipendenza dell’ordinanza cassatoria -nonché l’analoga doglianza fatta valere con il ricorso incidentale adesivo, esaminabili congiuntamente per unitarietà della censura, sono entrambi fondati e meritevoli di accoglimento.
Vanno qui richiamate le medesime ragioni che hanno consentito di accogliere il primo motivo di ricorso.
Come si è già fatto notare all’atto di cassare la prima sentenza di appello l’ordinanza 10680/2014 aveva ritenuto di precisare che
poiché l’occupazione illegittima di un bene altrui è fonte di un illecito permanente, obbligato al risarcimento del danno è «l’autore dell’illegittima detenzione del bene dopo la scadenza del periodo di occupazione, per non avere consentito al proprietario il pieno ed esclusivo godimento del bene». Di conseguenza, dato che nella specie non è in contestazione che il bene, già appreso dal Consorzio, sia venuto in possesso di COVIP che persevera nella sua detenzione, del danno che ciò comporta in capo ai Tolla, che si sono visti privati del suo godimento e del profitto che ne avrebbero potuto perciò ritrarre in difetto di ciò, non può che rispondere l’autore di quell’illecito, sì che rettamente ad esso e solo ad esso andranno imputati gli effetti risarcitori. Anche qui, in buona sostanza, fa testo il principio dell’intangibilità del principio di diritto enunciato dalla sentenza di rinvio al quale il destinatario di esso si trova incontrovertibilmente vincolato, non potendo sindacarne la legittimità, come si è detto, neppure se esso fosse frutto di un errato apprezzamento della realtà processuale.
In disaccordo da ciò la sentenza definitiva, per questo impugnata, va doverosamente cassata.
Il quarto motivo di ricorso -con cui si censura la sentenza definitiva per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio con riferimento agli artt. 2043 e 2056 cod. civ., in relazione all’art. 1223 cod. civ. circa la valutazione e liquidazione del danno, nonché in relazione all’art. 2697 cod. civ. sull’onere della prova per aver essa erroneamente quantificato il danno da occupazione illegittima imputato a RAGIONE_SOCIALEva, in ragione dell’accoglimento dei primi tre motivi di ricorso, dichiarato assorbito.
Vanno, dunque, accolti il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso principale in uno con il ricorso incidentale adesivo, mentre va dichiarato assorbito il quarto motivo del ricorso principale.
CassatE le impugnate sentenze nei limiti dei motivi accolti, la causa va rinviata al giudice a quo per la rinnovazione del giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il primo, il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale ed il ricorso incidentale e dichiara assorbito il quarto motivo del ricorso principale; cassa le impugnate sentenze nei limiti dei motivi accolti e rinvia la causa avanti alla Corte di appello di Potenza che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il