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Occupazione abusiva: condanna al rilascio immobile

Un’ordinanza del Tribunale di Ancona affronta un caso di occupazione abusiva di un immobile di edilizia residenziale pubblica. Un soggetto si era introdotto clandestinamente in un alloggio vuoto, manomettendo anche le utenze. L’ente gestore dell’immobile ha agito in giudizio con un’azione di reintegrazione nel possesso. Il Giudice ha accolto la domanda, ordinando l’immediato rilascio dell’appartamento, riconoscendo che l’occupazione clandestina e contro la volontà del gestore costituisce spoglio e che l’ente gestore è un detentore qualificato legittimato ad agire.

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Pubblicato il 30 dicembre 2024 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Occupazione abusiva di immobile pubblico: la condanna al rilascio immediato

L’occupazione abusiva di immobili, specialmente quelli destinati all’edilizia residenziale pubblica, rappresenta una grave problematica sociale e giuridica. Danneggia non solo il patrimonio pubblico, ma lede anche i diritti di chi, avendone titolo, attende in graduatoria l’assegnazione di un alloggio. Una recente ordinanza del Tribunale di Ancona offre un chiaro esempio di come l’ordinamento giuridico risponda a tali situazioni, fornendo strumenti rapidi ed efficaci per ripristinare la legalità. Analizziamo la decisione per comprendere i principi applicati.

Il caso: occupazione e manomissione di utenze

Un ente regionale per l’abitazione pubblica si è rivolto al Tribunale per ottenere il rilascio immediato di un proprio alloggio, occupato senza alcun titolo da un privato. L’appartamento, di proprietà comunale e gestito dall’ente, era sfitto e in attesa di essere assegnato secondo le procedure pubbliche.

Le indagini delle forze dell’ordine avevano non solo accertato la presenza dell’occupante abusivo, ma anche una serie di gravi illeciti, tra cui:

* La manomissione dell’impianto elettrico condominiale per sottrarre energia elettrica.
* La manomissione dell’impianto idrico.
* Una situazione generale di degrado e pessime condizioni igienico-sanitarie dell’immobile.

L’ente gestore ha quindi avviato un’azione possessoria per recuperare la disponibilità materiale dell’alloggio.

L’azione legale e la qualifica dell’ente gestore

L’ente ha agito con un’azione di reintegrazione nel possesso, prevista dall’art. 1168 del Codice Civile. Questo strumento è concesso a chiunque sia stato privato del possesso in modo violento o clandestino.

Un punto cruciale della decisione è il riconoscimento dell’ente gestore come “detentore qualificato”. Sebbene la proprietà dell’immobile fosse del Comune, l’ente ne aveva la gestione in virtù di una convenzione. Questo gli conferiva la disponibilità materiale del bene e un interesse diretto a tutelarlo, legittimandolo pienamente a proporre l’azione possessoria, come peraltro previsto dalla stessa convenzione.

L’analisi del Tribunale sull’occupazione abusiva (spoglio)

Il Giudice ha ritenuto fondata la domanda, analizzando i due elementi costitutivi dello spoglio:

L’elemento oggettivo: la clandestinità

Lo spoglio deve essere avvenuto in modo “violento o occulto”. Il Tribunale ha chiarito che non è necessaria una violenza fisica. La clandestinità ricorre quando lo spossessamento avviene all’insaputa del possessore, che non ha potuto venirne a conoscenza con l’ordinaria diligenza. Nel caso di specie, l’ente gestore non può effettuare un controllo quotidiano su tutti gli immobili, quindi l’occupazione avvenuta in un appartamento sfitto è stata ritenuta clandestina. La scoperta è avvenuta solo a seguito dei controlli dei Carabinieri.

L’elemento soggettivo: l’animus spoliandi

Questo requisito consiste nella consapevolezza di agire contro la volontà, anche solo presunta, del possessore. Il Giudice ha affermato che, una volta provata la violenza o la clandestinità dell’atto, l’ animus spoliandi è insito nel fatto stesso. Occupare un alloggio pubblico sapendo di non averne titolo e di agire all’insaputa dell’ente è una chiara manifestazione della volontà di privare il legittimo detentore della disponibilità del bene.

Le motivazioni della decisione

Il Tribunale ha accolto la domanda di reintegrazione sulla base di una solida motivazione. In primo luogo, ha stabilito che l’ente gestore era pienamente legittimato ad agire in quanto detentore qualificato dell’immobile. In secondo luogo, ha ritenuto provati tutti gli elementi dello spoglio. L’occupazione era avvenuta in modo clandestino, all’insaputa dell’ente, e con la chiara intenzione di privarlo della disponibilità dell’alloggio (animus spoliandi). Il convenuto, non costituendosi in giudizio, non ha fornito alcuna prova di un eventuale consenso o di altre circostanze che potessero escludere l’illegittimità della sua condotta. Il Giudice ha inoltre specificato che, per qualificare l’occupante come “autore morale” dello spoglio, non era necessario provare che fosse stato lui materialmente a forzare l’ingresso o a manomettere le utenze, essendo sufficiente che si fosse consapevolmente avvantaggiato della situazione illecita.

Conclusioni: le implicazioni della sentenza

L’ordinanza ha conseguenze pratiche immediate e importanti. Innanzitutto, è stato ordinato al convenuto di reintegrare immediatamente l’ente nella disponibilità dell’immobile, liberandolo da persone e cose. Inoltre, l’occupante è stato condannato a pagare tutte le spese legali del procedimento. Questa decisione riafferma un principio fondamentale: l’ordinamento fornisce una tutela rapida ed efficace contro l’occupazione abusiva, proteggendo non solo la proprietà privata, ma anche il patrimonio pubblico e gli enti che lo gestiscono per finalità sociali. Si sottolinea come l’azione di reintegrazione sia uno strumento potente per ripristinare la legalità, anche senza dover affrontare i tempi più lunghi di un giudizio ordinario sulla proprietà.

Chi può agire in giudizio in caso di occupazione abusiva di un alloggio pubblico?
L’ordinanza chiarisce che non solo l’ente proprietario, ma anche l’ente gestore (in questo caso, l’ERAP) può agire. Esso è considerato un “detentore qualificato” e ha il diritto di chiedere la reintegrazione nel possesso per recuperare l’immobile.

Per ordinare il rilascio di un immobile occupato, è necessario provare come l’occupante è entrato?
No. Secondo il provvedimento, non è necessario accertare le modalità esatte dell’ingresso (es. forzatura della serratura). È sufficiente dimostrare che l’occupazione è avvenuta in modo “clandestino” (all’insaputa del gestore) e contro la sua volontà, configurando uno spoglio.

L’occupante abusivo deve essere l’autore materiale delle manomissioni per essere condannato al rilascio?
No. Il giudice ha ritenuto non necessario accertare l’identità di chi ha materialmente consentito l’accesso o effettuato gli allacci. L’occupante viene considerato “autore morale” dello spoglio, in quanto trae consapevolmente vantaggio dall’occupazione illegale, e questo basta per ordinare il rilascio dell’immobile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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